2022-12-19
Lucetta Scaraffia: «I cattolici si facciano sentire. O sono condannati a sparire»
Lucetta Scaraffia (Imagoeconomica)
Il membro del Comitato di bioetica: «Il Papa ha cercato di evitare terreni di scontro duro Ma i problemi ci sono lo stesso. Bisogna affrontarli senza derive dogmatiche o clericali».Il governo di Giorgia Meloni le ha appena rinnovato l’incarico come membro del Comitato nazionale per la bioetica. Lucetta Scaraffia, d’altronde, è una personalità di spessore: professoressa di storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, non è incasellabile entro rigidi e polarizzati steccati ideologici: femminista, contraria alle derive dell’ideologia Lgbt, cattolica. E proprio ai cattolici, alcuni giorni fa, ha dedicato un appello, pubblicato dalla Stampa. Il suo invito è a ricominciare a discutere dei temi etici. Ricominciare a discutere innanzitutto tra loro, no?«Certo. E con i laici. Abbandonando la logica del muro contro muro».Allude a quello che il Papa ha identificato come il morbo del «clericalismo»?«O si rischia di scadere nel clericalismo, o si rischia di essere del tutto assenti. Con papa Francesco, i temi etici sono spariti».Magari è stata una postura strategica. Rispetto ai tempi in cui Benedetto XVI difendeva i «principi non negoziabili», la Chiesa ha perso molto mordente sulla società. Cercare di evitare lo scontro diretto può essere un modo per impedire ulteriori smottamenti.«Però i problemi ci sono lo stesso. E se non se ne parla, non si risolvono. D’altronde, io non ho in mente quello che lei chiama scontro. Semmai, penso a un incontro. A una discussione, appunto. Nell’approccio dei cattolici c’è poco di strategico: si finisce semplicemente per scomparire. Perché gli altri, intanto, parlano. Ma quando qualcuno va a morire in Svizzera, chi è chiamano sui media a dibattere? I vescovi».E questa sarebbe la deriva clericale?«Scusi, ma ci sono tanti cattolici che conoscono questi problemi molto meglio dei vescovi, perché sono sul fronte: i medici, ad esempio».Cattolici in grado di proporre un’alternativa sensata e competente alle tesi radicali?«Persone che possono sostenere le ragioni dei cattolici in modi meno dogmatici, più articolati, più legati alla realtà».Ciò che lei attribuisce al Papa, cioè la preferenza per battaglie più gradite ai progressisti, come quelle per i migranti, fa parte della stessa tendenza? «È stato un tentativo di evitare terreni di scontro duro. Però poi lo scontro si verifica comunque, visto che lo stesso Francesco a volte dice frasi terribili».Ad esempio?«Quella sull’aborto, che ha fatto inorridire ogni donna: “È come affittare un sicario per risolvere un problema”. Qui si parla del corpo delle donne, della sofferenza fisica e psicologica…».Ritiene che ai membri del clero manchi un po’ di sensibilità?«Penso che i laici dovrebbero avere un ruolo più da protagonisti. Prendiamo il fine vita: è un tema sul quale i medici e gli infermieri - in generale gli operatori sanitari - avrebbero moltissimo da dire. Non sono questioni che possono essere trattate solo con la teologia. Il fine vita ormai è un tema medico e giuridico. Parlino i giuristi e i medici cattolici».Spostare più in là i paletti fissati dalla Consulta, sostenendo che possono accedere al suicidio assistito anche persone che non dipendono da sostegni vitali e alimentazione o idratazione artificiali, ci metterebbe su un insidioso piano inclinato?«Se le cose vengono fatte con senso di responsabilità, no. D’altronde, ormai, c’è stato un cambiamento totale delle condizioni del morire. Oggi ci sono tante persone che stanno in una zona grigia tra la vita e la morte: in questi casi, è lecito discuterne in termini concreti. Persino la Chiesa è contraria all’accanimento terapeutico».Può spiegare meglio cosa intende per «zona grigia»?«È quella in cui si finisce attraverso il ricorso ai metodi delle moderne tecnoscienze. Per intenderci, sono le condizioni in cui versava la povera Eluana Englaro. Persone salvate - secondo me in modo sbagliato: non si possono salvare tutti - con tentativi di rianimazione effettuati oltre il tempo massimo per evitare danni cerebrali irreversibili. Un tempo, una situazione come quella di Eluana non si sarebbe verificata, per il semplice fatto che un individuo in quelle condizioni sarebbe morto subito».Il paradosso è che è stato lo sviluppo scientifico a creare dilemmi del genere?«La scienza ci ha messo nella situazione di dover analizzare e capire dove sta la soglia oltre la quale bisognerebbe smetterla di soccorrere».Torniamo al piano inclinato, però: ha in mente le derive di Paesi come Belgio e Olanda?«Quella è una cosa spaventosa».Di recente, in Canada, a un’atleta paralimpica è capitato che chiedesse allo Stato una scala per disabili e, invece, le venisse proposta l’eutanasia. Il nodo è questo: quando cominci, dove ti fermi? Come freni la tentazione di usare la «dolce morte» come una misura per ridurre il peso degli «improduttivi»?«Su questo ho scritto un libro con Ferdinando Cancelli, che è un medico esperto di fine vita. E abbiamo raccontato come, in Belgio, l’eutanasia venga ormai proposta con grande solerzia perché è un modo per risparmiarsi le terapie. Però va precisata una cosa».Ovvero?«Qui non si tratta di legittimare l’eutanasia. Questa è da escludersi in modo assoluto. In questo momento, si sta parlando di intervenire sulla zona grigia tra la vita e la morte - e in questo caso, anche i cattolici possono maturare un giudizio diverso».È sempre così facile stabilire il confine? «No. Però bisogna provarci. È ragionevole mettere in discussione le tecniche mediche mediante le quali si riescono a tenere in vita persone che, diversamente, sarebbero morte. E che, invece, si vengono a trovare in una condizione per nulla desiderabile. Si ricordi che, nel 1952, Pio XII, quando gli fu chiesto un parere sulle persone rianimate e tenute in vita con la respirazione artificiale, rispose che, a suo avviso, l’anima le aveva già abbandonate».Davvero?«Come vede, pure la Chiesa non è rimasta immobile, benché ami presentarsi come una continuità totale. Peraltro, quell’affermazione di Pio XII era criticabile, dal momento che esistono persone le quali, rianimate, possono davvero tornare a vivere».Il Comitato di bioetica sarà nuovamente interpellato sulla questione?«Penso di sì, perché l’evoluzione tecnoscientifica dei mezzi per tenere in vita le persone è rapida, purtroppo o per fortuna. La differenza è che i documenti prodotti in passato, risalgono a un’epoca di dogmatismo».Si riferisce ai pareri del Comitato sul fine vita?«Sì, alla fase in cui si spaccava in due. Io lo so, perché c’ero: i cattolici, allora, erano tenuti a mantenere posizioni rigide, i laici sostenevano l’opposto e non si cercava mai un compromesso».Oggi, dunque, le condizioni sono mutate?«Sull’eutanasia non sono possibili aperture. Ma in altri casi si può trovare un compromesso».C’è uno spirito più collaborativo, nell’attuale Comitato?«Non ne ho la certezza, perché ancora non conosco alcuni dei membri nominati. Ma c’è un ragionamento politico che è necessario svolgere».Lo svolga.«I cattolici sono destinati a perdere. O meglio, è l’approccio dogmatico che è destinato a perdere. Una sconfitta totale, tuttavia, lascerebbe in campo soltanto l’etica sul fine vita legata all’idea del consenso: la persona che, nelle Disposizioni anticipate di trattamento, aveva dichiarato che in certe condizioni preferirebbe morire, viene fatta morire. Io sono molto contraria a questa etica del consenso, temo che sia pericolosissima».Come si può arginarla?«Se i cattolici intervengono nel dibattito, si può sviluppare un’alternativa migliore. Per questo il mio è un discorso politico. Vorrei evitare che l’etica del consenso diventasse quella dominante. I cattolici possono impedirlo, ma solo non opponendo una forma di dogmatismo».I fronti, intanto, si moltiplicano. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha bocciato una norma danese che vietava a una donna di adottare due gemelli, figli biologici del marito, ma concepiti tramite maternità surrogata. E la Commissione Ue promuove un regolamento per vincolare i Paesi membri a riconoscere le adozioni gay. L’Italia dovrebbe adeguarsi a queste indicazioni?«No, nessuno ci deve obbligare: anche in questo caso, ci troviamo di fronte a posizioni dogmatiche. Per di più, certe pratiche sono basate sullo sfruttamento delle donne povere. Noi non possiamo accettarlo. È una questione di diritti umani ed è su questa base che dovremmo lanciare la sfida. Esistono degli argomenti che possiamo avanzare e che sono accettabili anche dai laici».Il filosofo John Locke l’avrebbe chiamata la «ragionevolezza del cristianesimo».«Infatti. In Francia, molti laici e moltissime femministe sono contrari all’utero in affitto».E il cosiddetto «interesse dei minori»? Chi spinge in quella direzione lo tira in ballo sempre. È successo pure con l’eutanasia infantile.«È una foglia di fico. E l’eutanasia infantile non può esistere; al massimo, va accettata la sospensione delle cure, quando non servono più». Il premier ha ragione, quando insiste sul sostegno economico che andrebbe offerto alle donne disagiate, per dissuaderle dall’interrompere la gravidanza?«È un approccio concreto e sensato. È giustissimo che ci sia una possibilità autentica di scelta».
«The Man on the Inside 2» (Netflix)
La serie con Ted Danson torna su Netflix il 20 novembre: una commedia leggera che racconta solitudine, terza età e nuovi inizi. Nei nuovi episodi Charles Nieuwendyk, ex ingegnere vedovo diventato spia per caso, indaga al Wheeler College.
Se After Life fosse stato più schiacciato sulla commedia, sulla ricerca minuziosa della risata, allora sarebbe stato perfettamente sovrapponibile a The man on the inside. Una stessa idea di fondo anima le due serie televisive, il tentativo di raccontare con disincanto la solitudine di chi abbia passato gli -anta e si avvicini, seppur riluttante, alla terza età. After Life, con Ricky Gervais ad interpretare magistralmente il protagonista, era la storia di un vedovo, incapace di venire a patti con la scomparsa della moglie. Non aveva pace, non poteva trovarne: si trascinava attraverso la sua quotidianità ormai vuota, cercando il fantasma della donna che aveva amato. Si rideva, certo, ma di quella risata a denti stretti, tipica dello humor inglese. Gervais era cinismo e ironia, sottile e potente, non, però, smaccatamente simpatico. Cosa, quest'ultima, che si è rivelato, invece, Tad Danson, non più capo della scientifica di Csi, ma ingegnere in pensione, rimasto vedovo dell'amata moglie.Danson, dismessi i panni seriosi del poliziotto, ha accettato di recitare un ruolo di primo piano in The man on the inside, la cui seconda stagione è pronta a debuttare su Netflix giovedì 20 novembre. Niente a che vedere con la parte che, negli ultimi anni, gli ha permesso di ristrutturare la sua carriera. Con The man on the inside, Danson è tornato indietro: agli albori della sua professione, alla commedia. Ad un ruolo, quello di Charles Nieuwendyk, che gli ha permesso di ritrovare leggerezza, senza perdere con ciò la capacità di restare vicino al reale.Charles ha una settantina d'anni, nello show. Una figlia, una carriera ormai conclusa. Era professore di ingegneria, e come tale ha deciso di andare in pensione, pensando e sperando di poter condividere il proprio tempo con l'amore della sua vita. Invece, la moglie è morta, lasciandolo solo in una casa troppo grande, dove il tempo sembra avere un decorso proprio, lento e faticoso. Charles potrebbe starsene seduto a maledire il cielo e piangersi addosso. Un bel giorno, però, sceglie di darsi una scossa: un colpo di reni, l'acquisto di un giornale e via, veloce, fino agli annunci di lavoro, tra i quali scorge la possibilità di inventarsi una vita nuova. Qualcuno, una detective privata, cerca un uomo anziano che lavori come spia, infiltrandosi all'interno di una casa di riposo per uscire con un dossier accurato che spieghi chi e come commetta i furti denunciati dai vecchietti. Quel che segue, nella prima stagione, è una commedia degli equivoci, divertente e attuale. Capace, nel suo dipanarsi, di denunciare la solitudine di cui sono vittime tanti anziani e, parimenti, la cattiva gestione di altrettante case di riposo. E capace, con l'imminente seconda stagione, di rinnovarsi senza perdere la leggerezza.I nuovi episodi di The man on the inside ritrovano Charles Nieuwendyk, ormai spia di professione. Non è più all'interno di una casa di riposo, ma si è rimesso dietro una cattedra, nel tentativo di capire chi abbia preso di mira il presidente del Wheeler College, Jack Berenger.
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Nuovo approccio dell'istituto di credito rivolto alle imprese pronte ad operazioni di finanza straordinaria. Le interviste a Stefano Barrese, Marco Gianolli e Alessandro Fracassi.
Matteo Bassetti e Sergio Abrignani (Imagoeconomica)