2018-12-08
«Lucano non gestisca il denaro pubblico. Ama violare la legge»
Pietra tombale del Tribunale del riesame sul modello Riace: «Il sindaco agiva pensando al proprio tornaconto elettorale». È sprezzante il giudizio dei giudici di Reggio Calabria sull'operato del sindaco di Riace, Domenico Mimmo Lucano. Nonostante la misura cautelare sia stata attenuata, l'idea che i giudici si sono fatti di lui è pessima.«Si è divertito a violare la legge, definendola stupida e piegando pericolosamente e più volte la sua funzione ai suoi progetti asseritamente sempre umanitari, incurante dei potenziali pericoli anche per la sicurezza pubblica». E lo ha fatto per finalità elettorali. Per i voti della sua filiera clientelare composta da chi si è spartito la torta dell'accoglienza: coop, associazioni, operatori e consulenti vari. È sprezzante il giudizio dei giudici del tribunale del Riesame di Reggio Calabria sull'operato del sindaco di Riace, Domenico Mimmo Lucano. Nonostante la misura cautelare sia stata attenuata e il re dell'accoglienza un tempo cocco di Laura Boldrini sia passato dagli arresti domiciliari all'esilio dal suo paesello, l'idea che i giudici si sono fatti di lui è pessima. E nelle motivazioni dell'ordinanza lo fanno nero. «Lucano non può gestire la cosa pubblica né gestire denaro pubblico, mai ed in alcun modo. Egli è totalmente incapace di farlo e, quel che ancor più rileva, in nome di principi umanitari e in nome di diritti costituzionalmente garantiti viola la legge con naturalezza e spregiudicatezza allarmanti»: altro che festeggiamenti perché era tornato libero. Lucano viene descritto come un violatore di leggi seriale compulsivo che si sentiva protetto da un cordone ideologico. E, per dirla come i giudici, «afflitto da una sorta di delirio di onnipotenza, con volontà pervicace e inarrestabile», ha cercato «di mantenere quel sistema Riace rilucente all'esterno, ma davvero opaco e inverminato da mille illegalità al suo interno». E tra quelle illegalità c'è di certo l'organizzazione di matrimoni tra immigrate e anziani del luogo. Il collegio presieduto dal giudice Tommasina Cutroneo in modo molto coraggioso, perché da sempre Lucano è circondato da un fitto sistema protettivo che comprende stampa, sindacati e movimenti dell'ultrasinistra, disegna il ritratto della metà oscura del primo cittadino, che è l'esatto contrario dell'immagine raccontata sui giornali. Lucano ha più volte propagandato la volontà di far rimanere a Riace il più a lungo possibile cittadini migranti e richiedenti asilo per un senso di umanità, perché «era un dovere civile» e per combattere lo spopolamento. La narrazione dei giudici, però, delinea un contesto in cui «le persone, la cui sofferenza e il cui terribile vissuto verrebbero da Lucano portate a vessillo del suo agire», si legge nel documento giudiziario, «si trasformano contraddittoriamente in freddi numeri». Numeri, ma soprattutto voti. È questo il nuovo particolare che emerge dal Riesame. Lucano avrebbe avuto un tornaconto politico-elettorale, facendo la conta dei voti «che gli sarebbero derivati», scrivono i giudici, «dalle persone impiegate nelle associazioni o destinatarie di borse lavoro e prestazioni occasionali». In molti erano inutili ai fini lavorativi o, addirittura, non espletavano l'incarico perché in sovrannumero rispetto ai bisogni, eppure erano stati assunti e remunerati anche in via occasionale per il ritorno elettorale del re dell'accoglienza. Nelle intercettazioni il primo cittadino sciorina dati e stime di consenso. Come in questa: «La politica di merda mi tiene, non pensare... perché soltanto di Città futura sono cento voti, mi sono fatto un conto di tutti quelli che lavorano». E quando ha appreso di essere sotto inchiesta, «con callida freddezza», sostengono le toghe dello Stretto, «ha progettato la sua candidatura alle politiche come capolista, al fine di arginare l'azione giudiziaria nei suoi confronti». E anche se «allo stato dei fatti non ci sono elementi che portano ad affermare che Lucano avrebbe tenuto per sé i finanziamenti ottenuti, anche se ciò è suscettivo di rigoroso accertamento, allarma il ruolo attivo del sindaco nel destinare il denaro pubblico a finalità diverse da quelle per le quali veniva erogato». La sentenza, nella sua ultima parte, mette una pietra tombale sull'accoglienza a Riace: «L'inerzia del sindaco nel tollerare sottrazioni e distrazioni di denaro da parte di quel nugolo indistinto di persone entrate a far parte delle associazioni, il suo attivismo nel coprirle per fini elettorali e di ostinato mantenimento di quel modello Riace, pieno di illegalità, e la sua pervicacia nel continuare a elaborare brogli e stratagemmi anche a fronte delle indagini in corso pur di non perdere i finanziamenti e mantenere intatta quella immagine perfetta di Riace, consegnata al mondo in ogni modo». Il paladino dell'immigrazione alla fine è caduto miseramente. E questa volta non basteranno le parole della Boldrini, gli inviti di Luigi De Magistris né le comparsate da Fabio Fazio per salvarlo. Ieri Lucano ha provato a distogliere ancora una volta l'attenzione tramite un'intervista rilasciata all'agenzia di stampa la Presse: «Arrivano i migranti e c'è chi rimane al sole a mettere la crema abbronzante. Il dramma che stiamo vivendo è che chi la pensa in un modo un po' inumano, che dice “devono andare a casa loro", che usa termini spregevoli verso chi chiede aiuto, odia te perché invece hai una sensibilità diversa». Una sensibilità che per i giudici del Riesame ha invece ben altri significati, molto lontani dalle motivazioni poste alla base della candidatura di Riace al premio Nobel.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)