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2019-07-18
Lucano furioso contro «gli sbirri»
Ansa
Uno dei capitoli dell'inchiesta sul sistema d'accoglienza a Riace gli investigatori l'hanno intitolato: «La distrazione di fondi e case per l'accoglienza in favore della manifestazione a favore del sindaco». Dopo i concertoni estivi con Roberto Vecchioni, Peppe Barra e Bennato, dopo le performance di Sabina Guzzanti, che sono costate 100.000 euro di soldi stanziati per l'accoglienza dal ministero e dalla Prefettura (i famosi 35 euro) e distratti dai conti di associazioni e cooperative, ecco spuntare dai faldoni dell'indagine una nuova impresa del reuccio dell'accoglienza Domenico Mimmo Lucano da Riace.
Ormai ex sindaco, tuttora esiliato dal paese dei Bronzi e in attesa del processo nel quale è stata depositata tutta la documentazione raccolta dall'accusa. È tra questi documenti che sono finite le informative della Guardia di finanza che ricostruiscono le ultime prodezze del personaggio sul quale la Rai voleva fare una fiction con Beppe Fiorello. La manifestazione verso la quale ha distratto i fondi delle associazioni dell'accoglienza e messo a disposizione di amici, compagni di partito e giornalisti le case che avrebbero dovuto ospitare i profughi è quella del 13 ottobre 2017.
In quell'occasione Lucano pontificò: «Io non voglio trovare alibi ma devo fare chiarezza, non voglio che restino ombre e quindi in Procura chiarirò tutto. Sono sicuro di non aver fatto male e forse ci sono difformità burocratiche, ma l'applicazione pratica del modello di accoglienza è sotto gli occhi di tutti».
Quel modello, che la Procura di Locri chiama «sistema», gli costa un processo. E mentre il re dell'accoglienza sperava con quelle parole di diradare le ombre, la Guardia di finanza ascoltava le sue telefonate e quelle degli altri indagati.
La scoperta: le associazioni, messe sotto da Lucano, pare abbiano disertato l'iniziativa. L'amministratore di Città futura, Fernando Capone, infatti, si lamenta con un certo Vincenzo della scarsa partecipazione delle associazioni alla manifestazione. «In particolare», annotano gli investigatori, «etichetta il presidente di un'associazione come un traditore, perché si è rubato i soldi dei rifugiati e ha acquistato un'autovettura di valore intestandola al padre per non dare nell'occhio della gente del paese». E dice: «I presenti erano solo i vari operatori delle associazioni e pochi altri, mentre il resto veniva da fuori Riace». Un flop, insomma. Ma le associazioni hanno dovuto offrire anche gli alloggi. Cosimina Ierinò di Città futura si mette a disposizione. Ed ecco pronti i posti letto: Porta dell'Acqua, Tullia, Casa Sud, Casa Lucia, Asmara, Spirito Santo, Torretta e Sant'Anna. Arrivano i primi sms con le prenotazioni. «Ciao vengo per la manifestazione, mi tieni Porta dell'Acqua?». Il presidente del Consiglio comunale di Giogiosa Ionica Maurizio Zavaglia: «Ci sono posti letto per venerdì?». La conversazione con la giornalista Roberta Ferruti, invece, viene riassunta così dai finanzieri: «Cosimina le propone di alloggiare a casa Porta dell'Acqua, ma la donna sa già che lì dovrà dormire Chiara con una sua amica. Quindi dopo aver verificato la disponibilità delle case di Città futura, Cosimina le consegna le chiavi di Casa Tullia».
E dopo varie telefonate di questo tenore, Lucano, che ammette, «ne abbiamo tante di case», fa il resoconto degli alloggi occupati dagli ospiti che arriveranno a Riace per la sua manifestazione difensiva. L'elenco ricalca quello ricostruito dalla Guardia di finanza. E subito dopo la manifestazione, arriva il bilancio. Lucano parla con Zavaglia, lamentandosi del prefetto e in maniera dispregiativa apostrofa tutti come «sbirri». Non ha gradito neanche le parole del presidente di Libera don Luigi Ciotti: «Non mi è piaciuta quando don Ciotti disse siamo sbirri... sono loro sbirri... porca la pu... l'istituzione sono sbirri... i poteri forti sono sbirri... non la popolazione... quelli no... non contano un cazzo».
Lucano si lamenta della Guardia di finanza. E l'amico gli dice: «Tu hai fatto quella manifestazione, sei un incubo... però è stata la nostra forza». E infatti, per completare la strategia difensiva, Lucano pensa a una candidatura alla politiche con Liberi e uguali, «per difendersi meglio dall'indagine in corso», scrivono i finanzieri. Un aspetto, questo, ricostruito nel capitolo sul «voto di scambio». A spiegarglielo è il giornalista Francesco Sorgiovanni.
Lucano riteneva che la filiera delle associazioni l'avrebbe sostenuto. E dice: «Può significare che in cambio di queste cose (le utilità, precisa la Guardia di finanza ndr) mi davano i voti?». Il giornalista chiosa: «No, questo è il voto di scambio, Mimmo».
E dopo aver commentato con un amico la candidatura di Marco Minniti nel collegio di Reggio Calabria, Lucano pensa alla sua, e dice che per lui «è una possibilità in più di difendersi nella sua vicenda giudiziaria». Sperava nelle immunità. Ma gli è andata male. E la Guardia di finanza appunta: «L'evento non si realizzerà, in quanto nessuno del partito Liberi e uguali gli proporrà un posto in lista».
Fabio Amendolara
L’orribile filo rosso che lega l’accoglienza ai bimbi rubati
L'aspetto più insopportabile è che tutto avviene sempre sotto il cappello della bontà. Con la scusa delle «buone intenzioni» e dell'«umanità» si sono creati sistemi disumani che di buono non hanno proprio nulla. E, guarda caso, è sempre la stessa area politica - quella progressista - a fare da terreno di coltura.
Dopo aver compulsato pagine e pagine di carte giudiziarie, ci rendiamo conto che c'è una inquietante somiglianza fra il modello di gestione dei migranti e quello di gestione dei minorenni nel nostro Paese. In entrambi i casi si tratta di giri d'affari spropositati, quantificabili in miliardi di euro. Soldi che finiscono sempre alla stessa categoria di personaggi, ovvero i gestori di associazioni, Onlus, cooperative e via dicendo.
Nel caso dei migranti ormai sappiamo come funziona, e la vicenda riguardante Mimmo Lucano e il sistema Riace non è che l'ennesima conferma. Gli stranieri arrivano, vengono accolti in massa, poi sono presi in carico dai buoni samaritani. I quali incassano fior di denari dallo Stato e li spendono nei modi più vari, il più delle volte evitando accuratamente di destinare i soldi interamente alla cura degli aspiranti profughi.
La partita di giro dei bimbi funziona nella stessa maniera. I piccoli vengono tolti alle famiglie dai servizi sociali, vengono affidati a case famiglia, e sono seguiti da sedicenti specialisti. Le case famiglia e le strutture di accoglienza incassano un bel po' di soldi per ogni bimbo (esattamente come accade con i migranti).
Ovviamente, perché tutto funzioni, bisogna che non manchi mai la materia prima. Bisogna, cioè, che ci siano sempre nuove persone da inserire nel sistema. Per quanto riguarda gli immigrati, per parecchio tempo il rifornimento è stato costante grazie al viavai di barconi e taxi del mare. Poi, almeno per ora, il grande flusso sembra essersi interrotto. Nel caso dei bambini, invece, si provvede a toglierli alle famiglie con la scusa degli abusi diffusi. In questo modo, il business è sempre garantito.
Viene portato avanti in nome di alti valori: generosità, attenzione verso i più deboli. Dietro, però, ci sono i consueti due demoni: l'ideologia da una parte (quella di sinistra) e il denaro dall'altra. Stesso meccanismo, stesse organizzazioni, stessi partiti di riferimento: quella che vediamo all'opera è la cultura che disprezza la famiglia e la nazione, che vuole cancellare i confini e le identità, che immagina esseri umani sostituibili, trasportabili come pacchi postali.
Si definiscono buoni, ma fanno soldi sulla pelle dei più deboli.
Riccardo Torrescura
Sui centri profughi truffa allo Stato da 1.300.000 euro: quattro arresti
Migranti picchiati, umiliati e trattati peggio delle bestie, spiega il procuratore aggiunto di Imperia, Grazia Pradella. Accuse pesantissime, pronunciate dal magistrato mentre illustra l'operazione Patroclo della Guardia di finanza, che ha smantellato un'associazione a delinquere che gestiva due centri di accoglienza per profughi a Sanremo e Vallecrosia: «Abbiamo delle intercettazioni dove si disquisisce sul tipo di cibo da dare e viene deciso di dare polmone e frattaglie per ottimizzare i costi: un tipo di cibo che probabilmente le persone non danno neppure ai loro gatti», dice Pradella, «e chi provava a ribellarsi è stato picchiato e umiliato».
Ma nel mirino degli inquirenti non ci sono soltanto i maltrattamenti. C'è anche la frode che si basava sulla comunicazione quotidiana di un numero maggiore di migranti presenti nei due centri rispetto a quello reale e c'è la sovrafatturazione di costi per erogare i servizi previsti in base all'appalto pubblico. La Fiamme gialle hanno quantificato in 1 milione e 300.000 euro, su un importo complessivo di un milione e 700.000 di fondi pubblici erogati, l'entità della truffa. Sono quattro gli arrestati: Gianni Morra, responsabile della cooperativa sociale Caribù e per la Procura mente dell'organizzazione, la fidanzata Emanuela De Mita, che intratteneva i rapporti con la Prefettura di Imperia, Guido Cabasso, noto avvocato di diritto societario di Torino e Antonella Morra, sorella di Gianni. Si contano poi una decina di indagati a piede libero, tra cui Alessandra Lazzari, attuale viceprefetto di Torino e in passato funzionario della Prefettura imperiese: per lei l'ipotesi è quella di abuso d'ufficio.
«Abbiamo scoperto un sistema collaudato e molto elaborato per cui due centri di accoglienza per migranti in attesa di protezione venivano gestiti con metodi truffaldini», continua il procuratore, «e contrari a quello che è il senso di umanità delle cooperative onlus che dovrebbero badare non solo all'accoglienza ma anche al benessere fisico e psicologico dei migranti. In questo caso tutto ciò non è avvenuto». La cooperativa Caribù con sede a Cuneo, secondo l'accusa, avrebbe trattenuto dal 50 al 70% dei contributi statali destinati agli ospiti, denaro poi investito in società di famiglia. Inoltre «tra i metodi per risparmiare c'era lo sfruttamento del lavoro» si legge nell'ordinanza del gip, «e un trattamento inaccettabile delle condizioni fisiche e psichiche dei migranti, trattati come animali».
Con i soldi ricavati dalla truffa, e risparmiati dando frattaglie ai profughi, Emanuela De Mita si è comprata, secondo gli investigatori, anche una pompa per la piscina di casa. La fattura, poi, l'ha inviata direttamente alla Prefettura, addebitandola alle spese per gli stranieri. Con altri fondi ha acquistato biancheria intima per sé stessa. La sovrafatturazione avveniva anche attraverso l'interposizione di una serie di società, tra cui la Libra srl, di Cuneo, utilizzate per drenare dai conti della cooperativa: per esempio, l'immobile, sede di uno dei centri d'accoglienza, acquistato dai due fratelli Gianni e Antonella Morra, tramite mutuo, veniva affittato alla Libra srl, sempre di proprietà degli arrestati, per 38.000 euro all'anno (pari al premio annuale del mutuo) a fronte di una richiesta di rimborso alla Prefettura di 90.000 euro.
Si stanno infatti svolgendo controlli anche sul ruolo ricoperto dalla prefettura della città ligure, che aveva affidato la gestione alla Caribù, senza pubblicare alcun bando, e nonostante alla cooperativa mancasse uno dei requisiti indispensabili: il fatto di esercitare l'attività di accoglienza migranti da almeno un anno. Ma il procuratore Pradella promette di fare luce anche su questo, inquietante, aspetto: «Sul punto mi riservo di compiere tutti gli accertamenti che si renderanno opportuni in prosieguo», assicura, «certo è che sono mancati, quantomeno in parte i controlli: ci sono fatture che sono state rimborsate sei o sette volte per vari periodi. Inoltre, quando la struttura ospitava 38 migranti, veniva denunciata la presenza di 81 persone con l'appropriazione del relativo costo e quindi è chiaro che c'è stato un sistema nei controlli non adeguato». L'operazione Patroclo è stata anche commentata dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini, sulla sua pagina Facebook: «Arrestate quattro persone che, facendo business sulla pelle degli immigrati, si erano intascate 1,3 milioni di euro. Altro che solidarietà», scrive il vicepremier leghista, «complimenti alla Guardia di finanza e alla magistratura. Tolleranza zero per i furbetti dell'accoglienza. Avanti così».
Alfredo Arduino
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L'ex primo cittadino spese i soldi destinati ai centri migranti per pagare una manifestazione a suo favore dopo le prime perquisizioni in Comune. E con un amico si lamentava del prefetto e della Guardia di finanza.Con la scusa delle «buone intenzioni» e dell'«umanità» si sono creati sistemi disumani che di buono non hanno proprio nulla.Stranieri umiliati e sfruttati in una cooperativa di Imperia. Denunciavano 81 ospiti ma ne avevano solamente 38. E da mangiare davano loro polmone e frattaglie.Lo speciale contiene tre articoliUno dei capitoli dell'inchiesta sul sistema d'accoglienza a Riace gli investigatori l'hanno intitolato: «La distrazione di fondi e case per l'accoglienza in favore della manifestazione a favore del sindaco». Dopo i concertoni estivi con Roberto Vecchioni, Peppe Barra e Bennato, dopo le performance di Sabina Guzzanti, che sono costate 100.000 euro di soldi stanziati per l'accoglienza dal ministero e dalla Prefettura (i famosi 35 euro) e distratti dai conti di associazioni e cooperative, ecco spuntare dai faldoni dell'indagine una nuova impresa del reuccio dell'accoglienza Domenico Mimmo Lucano da Riace. Ormai ex sindaco, tuttora esiliato dal paese dei Bronzi e in attesa del processo nel quale è stata depositata tutta la documentazione raccolta dall'accusa. È tra questi documenti che sono finite le informative della Guardia di finanza che ricostruiscono le ultime prodezze del personaggio sul quale la Rai voleva fare una fiction con Beppe Fiorello. La manifestazione verso la quale ha distratto i fondi delle associazioni dell'accoglienza e messo a disposizione di amici, compagni di partito e giornalisti le case che avrebbero dovuto ospitare i profughi è quella del 13 ottobre 2017. In quell'occasione Lucano pontificò: «Io non voglio trovare alibi ma devo fare chiarezza, non voglio che restino ombre e quindi in Procura chiarirò tutto. Sono sicuro di non aver fatto male e forse ci sono difformità burocratiche, ma l'applicazione pratica del modello di accoglienza è sotto gli occhi di tutti». Quel modello, che la Procura di Locri chiama «sistema», gli costa un processo. E mentre il re dell'accoglienza sperava con quelle parole di diradare le ombre, la Guardia di finanza ascoltava le sue telefonate e quelle degli altri indagati. La scoperta: le associazioni, messe sotto da Lucano, pare abbiano disertato l'iniziativa. L'amministratore di Città futura, Fernando Capone, infatti, si lamenta con un certo Vincenzo della scarsa partecipazione delle associazioni alla manifestazione. «In particolare», annotano gli investigatori, «etichetta il presidente di un'associazione come un traditore, perché si è rubato i soldi dei rifugiati e ha acquistato un'autovettura di valore intestandola al padre per non dare nell'occhio della gente del paese». E dice: «I presenti erano solo i vari operatori delle associazioni e pochi altri, mentre il resto veniva da fuori Riace». Un flop, insomma. Ma le associazioni hanno dovuto offrire anche gli alloggi. Cosimina Ierinò di Città futura si mette a disposizione. Ed ecco pronti i posti letto: Porta dell'Acqua, Tullia, Casa Sud, Casa Lucia, Asmara, Spirito Santo, Torretta e Sant'Anna. Arrivano i primi sms con le prenotazioni. «Ciao vengo per la manifestazione, mi tieni Porta dell'Acqua?». Il presidente del Consiglio comunale di Giogiosa Ionica Maurizio Zavaglia: «Ci sono posti letto per venerdì?». La conversazione con la giornalista Roberta Ferruti, invece, viene riassunta così dai finanzieri: «Cosimina le propone di alloggiare a casa Porta dell'Acqua, ma la donna sa già che lì dovrà dormire Chiara con una sua amica. Quindi dopo aver verificato la disponibilità delle case di Città futura, Cosimina le consegna le chiavi di Casa Tullia». E dopo varie telefonate di questo tenore, Lucano, che ammette, «ne abbiamo tante di case», fa il resoconto degli alloggi occupati dagli ospiti che arriveranno a Riace per la sua manifestazione difensiva. L'elenco ricalca quello ricostruito dalla Guardia di finanza. E subito dopo la manifestazione, arriva il bilancio. Lucano parla con Zavaglia, lamentandosi del prefetto e in maniera dispregiativa apostrofa tutti come «sbirri». Non ha gradito neanche le parole del presidente di Libera don Luigi Ciotti: «Non mi è piaciuta quando don Ciotti disse siamo sbirri... sono loro sbirri... porca la pu... l'istituzione sono sbirri... i poteri forti sono sbirri... non la popolazione... quelli no... non contano un cazzo». Lucano si lamenta della Guardia di finanza. E l'amico gli dice: «Tu hai fatto quella manifestazione, sei un incubo... però è stata la nostra forza». E infatti, per completare la strategia difensiva, Lucano pensa a una candidatura alla politiche con Liberi e uguali, «per difendersi meglio dall'indagine in corso», scrivono i finanzieri. Un aspetto, questo, ricostruito nel capitolo sul «voto di scambio». A spiegarglielo è il giornalista Francesco Sorgiovanni.Lucano riteneva che la filiera delle associazioni l'avrebbe sostenuto. E dice: «Può significare che in cambio di queste cose (le utilità, precisa la Guardia di finanza ndr) mi davano i voti?». Il giornalista chiosa: «No, questo è il voto di scambio, Mimmo».E dopo aver commentato con un amico la candidatura di Marco Minniti nel collegio di Reggio Calabria, Lucano pensa alla sua, e dice che per lui «è una possibilità in più di difendersi nella sua vicenda giudiziaria». Sperava nelle immunità. Ma gli è andata male. E la Guardia di finanza appunta: «L'evento non si realizzerà, in quanto nessuno del partito Liberi e uguali gli proporrà un posto in lista». Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lucano-furioso-contro-gli-sbirri-2639221542.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lorribile-filo-rosso-che-lega-laccoglienza-ai-bimbi-rubati" data-post-id="2639221542" data-published-at="1765349592" data-use-pagination="False"> L’orribile filo rosso che lega l’accoglienza ai bimbi rubati L'aspetto più insopportabile è che tutto avviene sempre sotto il cappello della bontà. Con la scusa delle «buone intenzioni» e dell'«umanità» si sono creati sistemi disumani che di buono non hanno proprio nulla. E, guarda caso, è sempre la stessa area politica - quella progressista - a fare da terreno di coltura. Dopo aver compulsato pagine e pagine di carte giudiziarie, ci rendiamo conto che c'è una inquietante somiglianza fra il modello di gestione dei migranti e quello di gestione dei minorenni nel nostro Paese. In entrambi i casi si tratta di giri d'affari spropositati, quantificabili in miliardi di euro. Soldi che finiscono sempre alla stessa categoria di personaggi, ovvero i gestori di associazioni, Onlus, cooperative e via dicendo. Nel caso dei migranti ormai sappiamo come funziona, e la vicenda riguardante Mimmo Lucano e il sistema Riace non è che l'ennesima conferma. Gli stranieri arrivano, vengono accolti in massa, poi sono presi in carico dai buoni samaritani. I quali incassano fior di denari dallo Stato e li spendono nei modi più vari, il più delle volte evitando accuratamente di destinare i soldi interamente alla cura degli aspiranti profughi. La partita di giro dei bimbi funziona nella stessa maniera. I piccoli vengono tolti alle famiglie dai servizi sociali, vengono affidati a case famiglia, e sono seguiti da sedicenti specialisti. Le case famiglia e le strutture di accoglienza incassano un bel po' di soldi per ogni bimbo (esattamente come accade con i migranti). Ovviamente, perché tutto funzioni, bisogna che non manchi mai la materia prima. Bisogna, cioè, che ci siano sempre nuove persone da inserire nel sistema. Per quanto riguarda gli immigrati, per parecchio tempo il rifornimento è stato costante grazie al viavai di barconi e taxi del mare. Poi, almeno per ora, il grande flusso sembra essersi interrotto. Nel caso dei bambini, invece, si provvede a toglierli alle famiglie con la scusa degli abusi diffusi. In questo modo, il business è sempre garantito. Viene portato avanti in nome di alti valori: generosità, attenzione verso i più deboli. Dietro, però, ci sono i consueti due demoni: l'ideologia da una parte (quella di sinistra) e il denaro dall'altra. Stesso meccanismo, stesse organizzazioni, stessi partiti di riferimento: quella che vediamo all'opera è la cultura che disprezza la famiglia e la nazione, che vuole cancellare i confini e le identità, che immagina esseri umani sostituibili, trasportabili come pacchi postali. Si definiscono buoni, ma fanno soldi sulla pelle dei più deboli. Riccardo Torrescura <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lucano-furioso-contro-gli-sbirri-2639221542.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="sui-centri-profughi-truffa-allo-stato-da-1-300-000-euro-quattro-arresti" data-post-id="2639221542" data-published-at="1765349592" data-use-pagination="False"> Sui centri profughi truffa allo Stato da 1.300.000 euro: quattro arresti Migranti picchiati, umiliati e trattati peggio delle bestie, spiega il procuratore aggiunto di Imperia, Grazia Pradella. Accuse pesantissime, pronunciate dal magistrato mentre illustra l'operazione Patroclo della Guardia di finanza, che ha smantellato un'associazione a delinquere che gestiva due centri di accoglienza per profughi a Sanremo e Vallecrosia: «Abbiamo delle intercettazioni dove si disquisisce sul tipo di cibo da dare e viene deciso di dare polmone e frattaglie per ottimizzare i costi: un tipo di cibo che probabilmente le persone non danno neppure ai loro gatti», dice Pradella, «e chi provava a ribellarsi è stato picchiato e umiliato». Ma nel mirino degli inquirenti non ci sono soltanto i maltrattamenti. C'è anche la frode che si basava sulla comunicazione quotidiana di un numero maggiore di migranti presenti nei due centri rispetto a quello reale e c'è la sovrafatturazione di costi per erogare i servizi previsti in base all'appalto pubblico. La Fiamme gialle hanno quantificato in 1 milione e 300.000 euro, su un importo complessivo di un milione e 700.000 di fondi pubblici erogati, l'entità della truffa. Sono quattro gli arrestati: Gianni Morra, responsabile della cooperativa sociale Caribù e per la Procura mente dell'organizzazione, la fidanzata Emanuela De Mita, che intratteneva i rapporti con la Prefettura di Imperia, Guido Cabasso, noto avvocato di diritto societario di Torino e Antonella Morra, sorella di Gianni. Si contano poi una decina di indagati a piede libero, tra cui Alessandra Lazzari, attuale viceprefetto di Torino e in passato funzionario della Prefettura imperiese: per lei l'ipotesi è quella di abuso d'ufficio. «Abbiamo scoperto un sistema collaudato e molto elaborato per cui due centri di accoglienza per migranti in attesa di protezione venivano gestiti con metodi truffaldini», continua il procuratore, «e contrari a quello che è il senso di umanità delle cooperative onlus che dovrebbero badare non solo all'accoglienza ma anche al benessere fisico e psicologico dei migranti. In questo caso tutto ciò non è avvenuto». La cooperativa Caribù con sede a Cuneo, secondo l'accusa, avrebbe trattenuto dal 50 al 70% dei contributi statali destinati agli ospiti, denaro poi investito in società di famiglia. Inoltre «tra i metodi per risparmiare c'era lo sfruttamento del lavoro» si legge nell'ordinanza del gip, «e un trattamento inaccettabile delle condizioni fisiche e psichiche dei migranti, trattati come animali». Con i soldi ricavati dalla truffa, e risparmiati dando frattaglie ai profughi, Emanuela De Mita si è comprata, secondo gli investigatori, anche una pompa per la piscina di casa. La fattura, poi, l'ha inviata direttamente alla Prefettura, addebitandola alle spese per gli stranieri. Con altri fondi ha acquistato biancheria intima per sé stessa. La sovrafatturazione avveniva anche attraverso l'interposizione di una serie di società, tra cui la Libra srl, di Cuneo, utilizzate per drenare dai conti della cooperativa: per esempio, l'immobile, sede di uno dei centri d'accoglienza, acquistato dai due fratelli Gianni e Antonella Morra, tramite mutuo, veniva affittato alla Libra srl, sempre di proprietà degli arrestati, per 38.000 euro all'anno (pari al premio annuale del mutuo) a fronte di una richiesta di rimborso alla Prefettura di 90.000 euro. Si stanno infatti svolgendo controlli anche sul ruolo ricoperto dalla prefettura della città ligure, che aveva affidato la gestione alla Caribù, senza pubblicare alcun bando, e nonostante alla cooperativa mancasse uno dei requisiti indispensabili: il fatto di esercitare l'attività di accoglienza migranti da almeno un anno. Ma il procuratore Pradella promette di fare luce anche su questo, inquietante, aspetto: «Sul punto mi riservo di compiere tutti gli accertamenti che si renderanno opportuni in prosieguo», assicura, «certo è che sono mancati, quantomeno in parte i controlli: ci sono fatture che sono state rimborsate sei o sette volte per vari periodi. Inoltre, quando la struttura ospitava 38 migranti, veniva denunciata la presenza di 81 persone con l'appropriazione del relativo costo e quindi è chiaro che c'è stato un sistema nei controlli non adeguato». L'operazione Patroclo è stata anche commentata dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini, sulla sua pagina Facebook: «Arrestate quattro persone che, facendo business sulla pelle degli immigrati, si erano intascate 1,3 milioni di euro. Altro che solidarietà», scrive il vicepremier leghista, «complimenti alla Guardia di finanza e alla magistratura. Tolleranza zero per i furbetti dell'accoglienza. Avanti così». Alfredo Arduino
Giancarlo Giorgetti e Christine Lagarde (Ansa)
La Banca centrale europea riconosce «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del Trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi, ma restano i dubbi sulla finalità della norma». Secondo indiscrezioni, Giorgetti intenderebbe segnalare al presidente dell’istituto centrale europeo, Christine Lagarde, che l’emendamento non è volto a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori dal bilancio di Bankitalia escludendo una massa che aggirerebbe il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il senatore della Lega, Claudio Borghi, uno dei relatori della manovra, intanto incalza: «Vediamo chi si stufa prima. Basterebbe domandarsi a che titolo la Bce si mette a sindacare su cose che non sono conferite alla Banca centrale». Poi ribadisce che «non esiste la possibilità e nessuno ha mai detto che vuole utilizzare le riserve auree, anzi io avrei comprato altro oro».
Questo intoppo rischia di complicare l’iter della manovra, proprio mentre i lavori in Senato si apprestano a entrare nel vivo, con il pacchetto di emendamenti del governo atteso per domani. «Saranno pochissimi, verranno prediletti quelli parlamentari», ha spiegato il senatore di Fdi, Guido Liris, uno dei relatori della legge di bilancio, e ha previsto che la votazione in commissione Bilancio del Senato potrebbe essere fissata per il prossimo fine settimana con l’auspicio di far approvare il testo in Aula da martedì 16 dicembre.
La formulazione definitiva delle modifiche è strettamente legata all’esito del lavoro sulle coperture. Il primo dossier sul tavolo del Mef è quello delle banche e assicurazioni: va messo nero su bianco l’accordo raggiunto nei giorni scorsi per un contributo di 600 milioni in due anni, che dovrebbe tradursi in un’ulteriore riduzione della deducibilità delle perdite pregresse. A impattare sulle assicurazioni c’è anche l’incremento - previsto da un emendamento di Fdi - dell’aliquota sulla polizza Rc auto per infortunio del conducente. Altre risorse sono attese dall’aumento graduale della Tobin tax, dalla tassa sui pacchi e dalla rivalutazione dei terreni. Ancora incerto il destino della tassazione agevolata dell’oro da investimento. Sono attese correzioni alla misura sulla cedolare secca per gli affitti brevi a uso turistico. C’è un accordo ampio sul ritorno all’aliquota del 21% per il primo immobile locato e la riduzione da 5 a 3 del numero di immobili da cui scatta l’attività di impresa che prevede un diverso trattamento fiscale.
Si lavora anche sulla norma sui dividendi (la stretta verrebbe limitata alle partecipazioni sotto il 5%), sull’esclusione delle holding industriali dall’aumento dell’Irap, sullo stop al divieto di portare in compensazione i crediti e sull’allargamento dell’esenzione Isee sulla prima casa.
Si stanno valutando le detrazioni per i libri e la stabilizzazione triennale dell’iperammortamento. «Sulle banche mi pare si sia arrivati a un accordo. L’orientamento è quello di arrivare finalmente a un punto di incontro. Il governo decide ovviamente, ma stavolta c’è anche il consenso delle banche», ha affermato il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
In arrivo la conferma delle risorse aggiuntive per le forze dell’ordine stanziate negli anni scorsi. È quanto emerso nel corso dell’incontro tra il governo e le organizzazioni sindacali delle forze armate e del comparto sicurezza e soccorso pubblico. È stato ribadito anche che «nuovi spazi potranno liberarsi se si chiuderà positivamente la procedura europea sugli squilibri di bilancio».
Inoltre, per quanto riguarda il rinnovo dei contratti per il triennio 2025-2027, il governo ha ribadito l’impegno a una convocazione immediata dei sindacati. Durante l’incontro sono stati affrontati i temi della valorizzazione delle carriere, dell’età pensionabile e delle misure di previdenza dedicata, dei tempi di liquidazione del trattamento di fine servizio, del turn over e degli interventi volti a rafforzare ulteriormente la tutela e la sicurezza del personale.
Per fare il punto sui tempi e sull’iter della manovra, non è escluso un nuovo giro di riunioni con il governo. Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, ha ribadito che «le risorse sono quelle che abbiamo stanziato, la manovra deve chiudersi a 18,7 miliardi».
Continua a far discutere il raddoppio del tetto al contante, attualmente a 5.000 euro, con l’introduzione di una imposta di bollo di 500 euro ogni pagamento cash per importi tra 5.001 e 10.000 euro.
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Xi Jinping ed Emmanuel Macron (Ansa)
Il rinvio della discussione si è reso necessario per l’ostilità di un gruppo di Paesi. Nove Stati membri (Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Irlanda, Malta, Portogallo e Slovacchia, capitanati dalla Repubblica Ceca) si sono, infatti, opposti alla deliberazione, esortando Bruxelles a procedere con la «massima cautela possibile», avvertendo che norme fuori misura rischierebbero di «soffocare l’innovazione» e di «violare accordi commerciali». Un documento ceco condiviso dai nove ministri dell’Industria ha avvertito che una tale politica dovrebbe essere considerata solo «l’ultima risorsa». Il costo di questa politica per le aziende Ue è stato stimato, nel non paper, in oltre 10 miliardi di euro all’anno a causa dell’obbligo di acquistare componenti europei più costosi. La norma non considererebbe «fatto in Europa» un prodotto solo assemblato nella regione ed è questo il problema soprattutto per Slovacchia e Cechia (ma sospettiamo anche per l’Ungheria). Da notare che il tentativo di frenare e indebolire la proposta non è venuto solo da alcuni Stati, ma anche dall’interno della Commissione, dove le direzioni generali Commercio ed Economia hanno espresso timori per l’impatto di queste misure sulla competitività e sull’utilizzo di fondi pubblici per acquisti interni.
La Germania, fino a poco tempo fa contrarissima all’iniziativa, nelle ultime settimane è apparsa più morbida, tanto che non figura tra i Paesi scettici. Ma una regia di Berlino, in casi come questo, è praticamente una certezza. Non sempre la Germania ha necessità di comparire esplicitamente. Il blocco temporaneo al «Made in Europe» è un vero e proprio sgambetto ai danni della Francia, che cerca di proteggere la propria manifattura dall’assalto delle merci cinesi. Proprio qui si innesta l’enorme spaccatura tra Francia e Germania, un contrasto stridente che nessuna conferenza stampa con i sorrisi tirati può dissimulare. Lo stallo unionale è frutto del divario tra la retorica allarmata della Francia e il contorto approccio della Germania alla questione cinese.
Il presidente francese Emmanuel Macron, appena sbarcato dall’aereo dopo tre giorni di visita a Xi Jinping in Cina, ha usato toni estremamente preoccupati per descrivere il ruolo marginale dell’Europa nel panorama globale, dove è «intrappolata tra Stati Uniti e Cina». Egli ha definito lo stato attuale come «lo scenario peggiore», in cui l’Europa è diventata il «mercato dell’aggiustamento» per la produzione cinese, in buona parte deviata dai dazi americani. Considerazione ovvia e assai tardiva. Dall’entourage di Xi Jinping, però, è filtrata una certa sorpresa dato che, durante i tre giorni di visita, i toni di Macron erano stati tutt’altro che bellicosi. Tornato all’Eliseo, Macron ha avvertito Pechino che, se non interverrà per correggere lo squilibrio commerciale giudicato «insostenibile», l’Ue potrebbe adottare «misure forti», inclusa l’imposizione di dazi. Per Parigi, la protezione dell’industria è una «questione di vita o di morte per l’industria europea».
Dall’altra parte, però, la Germania dà prova di profonde ambiguità. Nonostante si stia confrontando con una drammatica crisi industriale (con 23.900 fallimenti aziendali, il picco degli ultimi undici anni, e la perdita acquisita quest’anno di oltre 165.000 posti di lavoro nel solo settore manifatturiero), Berlino continua a privilegiare i rapporti bilaterali con Pechino. Mentre l’Unione è bloccata, il ministro degli Esteri, Johann Wadephul, e quello alle Finanze, Lars Klingbeil, si recano in Cina a poche settimane l’uno dall’altro per chiedere condizioni di favore, in particolare per le terre rare, essenziali per l’industria.
Probabilmente a Pechino non credono ai loro occhi, con questo via vai di ministri e presidenti europei che arrivano a chiedere questo e quello. Ma l’orientamento dei tedeschi è mantenere ed espandere le relazioni commerciali con la Cina, il loro «partner commerciale più importante», come ha detto Wadepuhl. Questa condotta confligge con gli obiettivi di riduzione del rischio di cui si parlava fino a qualche tempo fa a Bruxelles e di cui, come è facile notare, non si parla praticamente più. L’impegno, ora, è tutto rivolto a mostrare indignazione per la nuova strategia di Donald Trump verso l’Europa, a quanto sembra.
Certamente la spinta tedesca contrasta con le idee della Francia sull’atteggiamento da tenere nei confronti dell’enorme surplus cinese, che nei primi undici mesi dell’anno ha superato i mille miliardi di dollari. Il ripiegamento delle merci cinesi dagli Stati Uniti verso l’Europa era un effetto atteso, dopo l’aumento dei dazi americani verso Pechino. In otto mesi, l’Unione non ha fatto nulla per proteggersi e ora Parigi grida «Al fuoco!», mentre Berlino, ispiratrice dell’immobilismo di Commissione e Consiglio, punta ancora a ritagliare per sé uno status privilegiato.
Di fronte all’aggressiva politica commerciale cinese, l’Unione europea si ritrova in pezzi, congelata da Berlino che, intanto, fa affari e cerca accordi con Pechino.
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Romano Prodi (Ansa)
Emmanuel Macron secondo i sondaggi non va oltre l’11% dei consensi in Francia dove da mesi di fatto non c’è un governo, Keir Starmer in Gran Bretagna è definito un premier zombie e anche Friedrich Merz a Berlino non se la passa benissimo: l’opinione pubblica guarda sempre più a destra verso Afd. Se ne sono accorti tutti tranne Romano Prodi, con al seguito Mario Monti, che ieri ha trovato modo di dire che l’Europa per rilanciarsi deve ripartire dall’asse franco-tedesco. Sta di fatto che Zelensky è il più traballante di tutti e Donald Trump lo ha brutalmente incalzato dicendo che da troppo tempo in Ucraina non si vota, gli unici due capi di governo o di Stato che stanno saldi ai loro posti li ha trovati a Roma: Giorgia Meloni e Leone XIV. È una notazione che viene spontanea ascoltando Trump sferzare i leader europei e il presidente ucraino: «Stanno usando la guerra per non indire le elezioni, ma penso che il popolo ucraino dovrebbe avere questa scelta. E forse vincerebbe Zelensky. Non so chi vincerebbe. Parlano di democrazia, ma si arriva a un punto in cui non è più una democrazia».
Tornando sull’Europa a Politico il presidente americano ha confidato: «I leader europei parlano, ma non producono e la guerra continua all’infinito. Guidano Paesi decadenti, città come Londra o Parigi sono sovraccariche per via della massiccia e incontrollata immigrazione dal Medio Oriente e dall’Africa». Viene in mente un saggio di cinquant’ anni fa, lo scrisse Raymond Aron e si intitolava In difesa di un’Europa decadente. Ma ci sta che nessuno se ne ricordi. Trump per spiegare la decadenza se l’è presa col sindaco mussulmano di Londra Sadiq Khan, che «è un disastro», eletto solo perché «sono arrivate così tante persone immigrate che ora votano per lui». È il tema della perdita dell’identità europea. Che va fermata comunque, pena la perdita dell’Europa stessa. Per farlo Trump è pronto a sostenere candidati che abbiano la sua stessa visione anche a costo di crisi diplomatiche con chi oggi è al potere in Europa. Per spargere un altro po’ di sale sulle ferite di Bruxelles Donald Trump afferma: «Ho già appoggiato persone che molti europei non amano. Ho appoggiato Viktor Orbán». Quanto a Zelensky: «È come P.T. Barnum del circo: un showman in grado di vendere qualsiasi cosa in qualsiasi momento». A fronte di un attacco così forte ci si aspetta una reazione puntuta dell’Ue, invece nulla. Forse a palazzo Berlaymont non conoscono l’antico adagio: chi tace acconsente. Tocca così alla portavoce di Ursula von der Leyen, Paula Pinho abbozzare: «Mi asterrò dal commentare, se non per confermare che siamo molto soddisfatti e grati di avere leader eccellenti a partire dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, di cui siamo davvero orgogliosi, che può guidarci nelle molte sfide che il mondo deve affrontare». Su Zelensky ha replicato Anita Hipper portavoce della Commissione: «Questi sono tempi eccezionali, Zelensky è un leader democraticamente eletto». Poco d’altro. Kaja Kallas – alto rappresentante per la politica estera – commenta a mezza bocca: «Riguardo agli attacchi Usa contro strategia e modello europei dobbiamo dovremmo essere più sicuri di noi stessi». Prova a far finta di menar le mani Antonio Costa presidente del Consiglio europeo che dice: «Dobbiamo prendere atto delle accuse e agire di conseguenza». Che non si sa esattamente cosa voglia dire come le parole di Donald Tusk – premier polacco, l’ unico a replicare a Trump – che respinge al mittente le accuse americane. Per il resto è imbarazzato silenzio.
Rotto però in Italia da due reduci della grande Europa (a loro dire). Sono Romano Prodi e Mario Monti, premiati ieri dall’Ispi in tandem in via eccezionale. È stato Romano Prodi ad accusare Donald Trump di «disprezzare l’Europa» e a sostenere che «i recenti avvenimenti fanno capire che la nostra debolezza rende facile il compito di un presidente che sta voltando le spalle alla storia del suo stesso Paese, odia la democrazia e vede il futuro del mondo in un rapporto diretto tra oligarchi o dittatori o chiamateli poteri assoluti». Ovviamente i tempi belli erano quelli di quando lui era presidente della Commissione europea, poi quando la Francia ha deciso di bloccare la Costituzione l’Europa si è piano piano smarrita. «L’Europa in questi anni ha finito per odiare se stessa, succube di Orbán e dei suoi veti (ecco perché serve smontare l’unanimità, ndr), resa più fragile da debolezza del motore franco-tedesco che ha sempre retto l’Europa, tradizionalmente aiutato dall’Italia». Ma è dall’asse franco-tedesco che si deve ripartire. Non siamo su Scherzi a parte; lo pensa anche Mario Monti che ha svelato un segreto. Quando Prodi lo chiamò per rinnovargli l’incarico da commissario europeo lo convocò in un piccolo ristorante cinese. E questo spiega molto di Romano Prodi, delle sue predilezioni e forse anche del perché l’Europa è messa così e Trump la maltratta.
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