
I 15 membri del Consiglio di sicurezza chiedono di attuare la risoluzione 1701, disattesa dal 2006. Il premier stigmatizza gli attacchi ai caschi blu e annuncia la sua presenza sul campo venerdì. Usa: «Embargo delle armi se non ci saranno miglioramenti a Gaza».Non è un segreto che la missione Unifil delle Nazioni Unite in Libano non abbia ottenuto risultati significativi fino a oggi. Le immagini dei tunnel sotterranei di Hezbollah, situati a poche centinaia di metri dalle strutture dell’Onu, confermano questa realtà, evidenziando ciò che è accaduto nel corso degli anni. Dopo una serie di prese di posizione contro Israele da parte di molte personalità politiche a livello internazionale - secondo le quali Israele avrebbe sparato volontariamente sui caschi blu compresi i soldati italiani - ha parlato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che ha respinto le accuse secondo le quali le truppe israeliane «hanno deliberatamente preso di mira le forze di pace dell’Unifil in Libano», definendole «completamente false» e ha ripetuto la richiesta «di ritirarle dalle zone di combattimento», ma Unifil ha già chiarito che non ci sarà alcun ritiro. È un dato di fatto che la missione Unifil non abbia finora prodotto risultati significativi, come ammesso dalla stessa Onu per bocca dei 15 membri del Consiglio di sicurezza che, come ha detto la rappresentante permanente della Svizzera, Pascale Baeriswy (presidente di turno), «riconoscono la necessità di ulteriori misure concrete per attuare la risoluzione 1701, varata con l’obiettivo di porre fine al conflitto tra Israele ed Hezbollah, scoppiato nel 2006». Ricordiamo per dovere di cronaca che la risoluzione, oltre al cessate il fuoco, prevedeva il ritiro di Israele dal Libano, ma solo dopo che l’esercito libanese e Unifil avessero preso il controllo della zona. Inoltre era previsto il disarmo di Hezbollah e di tutti i gruppi armati. Nel leggere la dichiarazione, Baeriswyl ha affermato che i membri del Consiglio hanno ribadito il loro sostegno all’Unifil, sottolineandone il ruolo nel sostenere la stabilità regionale: «Hanno espresso anche la loro profonda preoccupazione per le vittime e le sofferenze civili, la distruzione delle infrastrutture e il crescente numero di sfollati interni. Hanno invitato tutte le parti a rispettare il diritto umanitario internazionale». I membri hanno anche sottolineato «la necessità di iniziative diplomatiche che possano porre fine in modo duraturo al conflitto e consentire ai civili su entrambi i lati della linea blu di tornare sani e salvi alle loro case», ha sottolineato Pascale Baeriswy, che dovrebbe spiegare perché Unifil non ha fatto tutte le cose che sono contenute nella risoluzione 1701. Sempre a proposito di reazioni, ieri il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (che venerdì dovrebbe recarsi, secondo quanto ha annunciato, in Libano), in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre, si è recata prima alla Camera e poi al Senato per le comunicazioni di rito. Meloni ha affermato che «pur se non si sono registrate vittime o danni ingenti io penso che non si possa considerare accettabile l’attacco di Israele all’Unifil ed è la posizione che l’Italia ha assunto con determinazione a tutti i livelli: pretendiamo che venga garantita la sicurezza dei nostri soldati sia Unifil sia nella missione bilaterale, che insieme al resto della comunità internazionale hanno contribuito per anni alla stabilità del confine tra Israele e Libano». Poi il premier ha aggiunto che «l’atteggiamento delle forze israeliane è del tutto ingiustificato e palese violazione della risoluzione 1701 dell’Onu. Bisogna lavorare alla piena applicazione della risoluzione, rafforzando la piena capacità di Unifil e delle forze armate libanesi». Poi Giorgia Meloni ha parlato più in generale della situazione nell’area e del crescente odio verso gli ebrei: «Ricordare e condannare con forza ciò che è accaduto il 7 ottobre 2023 è il presupposto di ogni azione politica che dobbiamo condurre per riportare la pace in Medio Oriente, perché sempre più le pur legittime critiche a Israele si mescolano con un giustificazionismo verso organizzazioni come Hamas ed Hezbollah, e questo, piaccia o no, tradisce altro. Tradisce un antisemitismo montante che, credo, debba preoccuparci tutti. E le manifestazioni di piazza di questi giorni lo hanno, purtroppo, dimostrato senza timore di smentita». Sempre a proposito di frizioni con Israele, ieri il segretario di Stato americano, Antony Blinken, e quello alla Difesa, Lloyd Austin, hanno inviato una lettera al governo israeliano chiedendo «di adottare misure entro 30 giorni per migliorare la situazione umanitaria a Gaza» in modo da evitare un embargo sulle armi americane. Lo scrive su X il giornalista di Axios Barak Ravid. Nella lettera l’amministrazione Biden/Harris, a caccia del voto musulmano per le presidenziali di novembre, «chiede passi concreti ed esprime la profonda preoccupazione degli Stati Uniti per una situazione che sta deteriorando». Mentre scriviamo da Gerusalemme nessuna replica, tuttavia, l’ufficio di Netanyahu ha risposto attraverso una nota a un articolo del Washington Post in cui si affermava che il premier israeliano aveva detto all’amministrazione Usa che Gerusalemme avrebbe colpito obiettivi militari iraniani e non nucleari o petroliferi: «Israele ascolterà gli Usa, ma deciderà le azioni in base al proprio interesse nazionale», si legge nella nota.
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