2024-02-13
Dopo Roma e Londra pure l’Olanda stoppa l’invio delle armi e così isola Israele
Bibi Netanyahu (Getty Images)
La Corte dell’Aja accoglie la tesi di gruppi pro arabi: in Europa a mandare aiuti restano in pochi. E se si sfilasse la Germania...Israele quasi come Mosca. Si allarga il perimetro di Stati che ha deciso di stoppare l’export di armi verso Gerusalemme. Prima, nonostante la sbandierata amicizia politica, è stata l’Italia. Come confermato il mese scorso dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, la Farnesina tramite Uama, il dipartimento preposto a fare rispettare le leggi sugli armamenti, aveva già provveduto a fermare le licenze verso Israele dallo scorso ottobre. L’esternazione di Tajani nasce dalle pelose polemiche della segretaria piddina Elly Schlein, ma contribuisce a togliere il velo sulle reali posizioni dell’Europa in fatto di armamenti. Infatti, con qualche mese di ritardo, ma comunque già dalla fine di novembre, anche la Gran Bretagna nel silenzio generale aveva attuato il bando all’export. Nel caso di Londra a restare fermi nel magazzini dell’isola sono principalmente i pezzi di ricambio dei carri armati dell’Idf, gli stessi impegnati nella Striscia di Gaza. Ma è la notizia giunta ieri dall’Olanda a fa pensare che le sanzioni verso Israele siano tra loro collegate, per una serie di fattori sociali e diplomatici che spingono verso il disarmo dello Stato ebraico. La Corte d’Appello dell’Aja ieri ha rigettato il ricorso del governo olandese verso tre associazioni filo palestinesi: Oxfam Novib, Pax e il Muslim right forum. Risultato, i giudici hanno ordinato lo stop dell’invio dei pezzi di ricambio del velivolo di quinta generazione F-35. Si tratta del modello prodotto dall’americana Lockheed Martin in consorzio con numerosi Paesi Nato ed esteso anche a Turchia e, appunto, Israele. I giudici arrivano alla decisione sorprendente dopo aver analizzato la denuncia riportata dalle associazioni e copiata dai rapporti di Onu, Amnesty International e dell’Unrwa, la stessa sotto il cui quartier generale a Gaza City erano stati installati i server di Hamas. Leggendo la trentina di pagine della sentenza si comprende come i giudici ammettano che non si possa decidere in via giudiziaria che Israele stia violando i diritti umani nella Striscia, «perché ciò richiederebbe ispezioni sul campo», ma al tempo stesso viste le relazioni di Onu e affini c’è un «rischio evidente» che Israele stia violando il diritto internazionale. «La conclusione», si legge sempre nel testo, «è che esiste un rischio evidente che parti dell’F-35 da esportare in Israele vengano usate per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario ai sensi dell’articolo 2 dell’Eugs». Che cosa è l’Eugs? Si tratta dello standard Ue per l’export di armi. Decide quando e dove si può o non si può mandare armi a Paesi terzi. Ecco, i giudici olandesi rompono così una barriera tra governi e potere giudiziario. Bypassano gli accordi internazionali e mettono nero su bianco che pur non potendo intervenire sui trattati e sul diritto commerciale sono titolati a fermarne un comma se ritengono che i governi si limitino a fare politica e ad attendere evidenze definitive di fronte ai diritti umani. Sui quali si può deliberare a tavolino dall’Aja. Dal punto di vista giudiziario per la prima volta si impone infatti lo stop a un trattato e a un contratto commerciale solo in base a presunte evidenze Onu e d’altro canto la Corte si innalza a ministro degli Esteri. Molti analisti temono che il precedente possa a breve influenzare un Paese del Nord come la Germania dove la comunità musulmana è così ampia da poter impattare pure sulle elezioni interne. Se Berlino mettesse al bando l’export di armi per Tel Aviv si farebbe più complicata. Come scritto sopra la Gran Bretagna è importante per i pezzi di ricambio, l’Italia ha rapporti relativi a tecnologia cyber, droni, ma la Germania fornisce pezzi pesanti. E non facilmente sostituibili in Europa. A beneficiarne sarebbero gli Stati Uniti. I quali rimarrebbero di fatto l’unico fornitore di Israele. Un bene? No, perché significherebbe commissariare lo Tsahal e pure lo Stato ebraico. Sono segnali delicati che si muovono lungo sentieri tecnici sotto traccia e lungo strade politiche con dichiarazioni ai quattro venti. A gennaio è stato il caso di Tajani, ieri di Giorgia Meloni. «Difendere il diritto di Israele a esistere», ha detto in occasione di un’intervista al Tg5, «ma rispetto per la popolazione civile». Beh, frase di buon senso e quasi ovvia. Interessante però valutarla nel giorno in cui l’Olanda stoppa le sue relazioni militari con Tel Aviv. Il nostro governo è sicuramente consapevole che in questo momento si è solidali con lo Stato ebraico in due modi. Mantenendo l’offerta militare più ampia possibile. Oppure puntando il dito su quanto sta realmente accadendo nei Paesi arabi. Tel Aviv non smetterà di bombardare Gaza finché l’Iran non ammetterà il proprio ruolo, Qatar ed Egitto non smetteranno di litigare su chi si prenderà la responsabilità di gestire Gaza. Senza un nuovo regime cooptato da un Paese arabo non ci sarà la certezza che Hamas non si riorganizzi e utilizzi quei depositi di armi ancora nascosti e quindi non fatti esplodere. Questi sono i due punti imprescindibili per valutare il futuro del Medio Oriente. Negare le evidenze significa limitarsi a giocare di sponda, accettare che la comunità musulmana in Europa acquisisca potere anche nelle decisioni geopolitiche.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson