2024-08-19
«L’offensiva ucraina non cambia nulla»
Il generale Paolo Capitini: «Zelensky ha buttato il meglio delle sue forze, tra poco dovrà decidere se ritirarle o perderle tutte Se voleva forzare un negoziato ha sbagliato. Intanto la Russia continua ad avanzare nel Donbass come prima».Generale Paolo Capitini, grazie per avere accettato nel pieno delle ferie agostane di parlare con La Verità. Mi ricordi solo una cosa prima di cominciare. Lei è militare di aviazione o di terra?«Bersagliere, quindi fanteria!».Partiamo allora dal fronte orientale europeo, generale. Qual è stato il risultato sul campo della controffensiva ucraina a Kursk? Cambia completamente lo scenario?«A me sembra di no. Perché a Sud, dove i russi attaccavano e andavano avanti, continuano ad attaccare e ad andare avanti come prima. Non è cambiato niente. Quello che è cambiato è che gli ucraini hanno buttato in questa impresa il meglio delle forze che avevano. Direi anzi, quasi tutto quello che avevano. E ora sono bloccate lì. Dietro il fronte del Donbass però Kiev non ha più riserve. Se i russi volessero potrebbero infierire in maniera definitiva da quella parte, dove l’esercito ucraino è sguarnito. Questa è la situazione da un punto di vista militare».Quale può essere allora il significato di una mossa del genere da parte dell’esercito ucraino, Generale?«Secondo me gli ucraini se ne andranno tempo una settimana o dieci giorni. Non sono in condizioni di tenere occupato il meglio delle loro forze armate in un’impresa senza speranza. Questo è quello che posso immaginare. Può essere che qualcuno a Kiev immagini di impostare un negoziato. La Russia si riprende Kursk e l’Ucraina i territori occupati da Mosca. Ma sinceramente credo che Putin non prenderebbe minimamente in considerazione questa proposta».Ma detto fra noi l’esercito russo in questa lunga guerra, oddio le guerre sono anche più lunghe…«Lunga, sì!».Dicevo, l’esercito russo sta dimostrando tutti i suoi limiti. La tanto favoleggiata Armata Rossa non esiste più«L’Armata Rossa era basata sul principio delle grandi penetrazioni corazzate. Divisioni su divisioni che andavano avanti e marciavano velocemente. Era un po’ il concetto estremizzato della guerra corazzata alla tedesca durante la Seconda guerra mondiale. Quella non c’è proprio più! Perché non ci sono più queste divisioni corazzate; questa artiglieria semovente con a supporto un enorme numero di elicotteri, da cui i paracadutisti possono lanciarsi in profondità con 48 ore di anticipo per 50 chilometri oltre il fronte in attesa appunto delle corazzate. Questa era la paura della Nato e della Germania durante la Guerra fredda».Quindi cosa rimane, generale?«I russi hanno scelto per necessità - ed anche per convenienza - una guerra statica. Si sono schierati su tutto questo lungo fronte e alle loro spalle non hanno grandi riserve perché non temono il buco da parte dell’esercito ucraino. Hanno impiegato sul fronte l’80% delle loro risorse. Dietro non c’è quasi niente se non un po’ di logistica. Qualche unità a riposo, certo. Ma non grandi riserve. Non tengono cioè occupate forze di pregio dietro da utilizzare in caso di necessità o opportunità. E quando poi succede quello che è avvenuto a Kursk, la Russia non è in grado di mobilitare nell’immediato dalla sera alla mattina gli 80.000 uomini necessari per rispondere. Ma lo faranno. È chiaro che ci arriveranno e in questo lasso di tempo gli ucraini dovranno scegliere…».Vale a dire?«Dovranno decidere se rimanere lì e vaporizzarsi - costi quel che costi - sperando in un improbabile immediato negoziato. Oppure ritirarsi contenti di aver fatto fare una brutta figura a Putin».Parrebbe di capire che entrambi gli eserciti si stiano preparando, senza dirlo, ad un inevitabile negoziato…«Ogni esercito si prepara tutti i giorni all’inevitabile negoziato. Sarebbe il sogno di ogni militare che la guerra durasse appena un giorno o che finisca nel più breve tempo possibile. La guerra è funzionale alla politica come acceleratore di un cambiamento di scenario non raggiungibile altrimenti. Ma quando non si è più in grado di modificare con le armi lo scenario, lo sforzo bellico diventa uno spreco di risorse. Si oscilla cioè intorno ad un punto di equilibrio per poi fermarsi».Quindi, indipendentemente da chi vincerà le elezioni americane a novembre di quest’anno, il nuovo inquilino alla Casa Bianca dovrà gestire il negoziato. Ovvio che la conduzione di questo negoziato cambierà a seconda di chi sarà il presidente. Giusto?«Anche i russi stanno scommettendo su questo scenario. Il loro potenziale bellico è in costante crescita. E lo sarà fino al primo quarto del 2025 quando raggiungerà il picco. Più carri, più missili, più tutto. Dopodiché potrà solo scendere. Perché la produzione segnerà il passo. Meno carri, meno camion, meno missili, meno tutto. Mosca ritiene di avere un orizzonte di 5-7 mesi per alimentare la guerra senza impoverirsi».Lato nostro, generale, gli arsenali si sono svuotati? E se sì, in quale misura?«Ci sono vincoli Nato che obbligano gli Stati membri a mantenere in arsenale livelli minimi di armamenti, munizionamento e sistemi d’arma. Per intendersi a titolo di esempio, se hai 100 cannoni puoi disporne di 40 ma mantenerne in cantina sempre 60. Noi abbiamo fornito tutto ciò che potevamo. Ora si è accesa la spia rossa. Siamo in riserva ma abbiamo carburante nel motore. Di più non possiamo dare o fare. Consideri poi che abbiamo messo a disposizione sistemi d’arma come gli obici di artiglieria americani M109L che noi non usavamo più. Li abbiamo risistemati e consegnati all’Ucraina. Quindi di fatto non ci siamo privati di armi che avremmo potuto utilizzare per nostri scopi».Generale, la nostra industria bellica è preparata al replenishment? A riempire di nuovo gli arsenali nel frattempo un po’ svuotati? Se sì in che tempi?«Tutto l’Occidente si è orientato alla produzione di armi estremamente sofisticate in bassissimi numeri. Produciamo armi fantastiche che costano un botto di soldi ma in bassissima quantità. Riorientarsi alla produzione di massa di cose a bassa tecnologia, tipo i colpi di artiglieria, non è semplicissimo. Un proiettile è un bicchiere di ghisa che pesa 40 chili con dentro colato il tritolo. Un po’ come riempire un cono gelato. Tecnologia zero. Consideri che l’Himars, il missile utilizzatissimo in Ucraina, ha componenti che sono prodotte in 17 stabilimenti diversi. Per produrne di più non si tratta di costruire un nuovo stabilimento, bensì di fare l’upgrade ai 17 insediamenti produttivi esistenti. E se chiedi all’industria bellica di riconvertirsi alla produzione di munizioni a basso costo, devi necessariamente assicurare il mantenimento delle forniture più costose già programmate».Generale lei mi dà l’assist per affrontare il tema della saturazione dei nostri sistemi di difesa di cui lei ha parlato spesso prima e più di tutti. Io l’ho capita così. Noi abbiamo armi stratosferiche e costose che dobbiamo però «sprecare» per rispondere ad una pioggia di armi e droni da quattro soldi. Lei mi parlava di apparecchi fatti in maniera quasi artigianale con un motore di una vespa montato sopra.«Se tu hai 100 (fra apparecchi molto moderni ed alcuni un po’ meno) e devi difenderti dall’arrivo di 110, qualcosa passa. È inevitabile».Insomma, tutto questo divario tecnologico fra noi e loro alla fine sul campo un po’ si perde!«Il vantaggio ce l’hai se spari il primo colpo. Io posso colpirti nel più sperduto posto della Mongolia senza che tu te ne accorga e lasciandoti tramortito. Ma in una guerra di usura, come quella in Ucraina, vince chi ne tira di più».Passando al Medioriente si sussurra che gli americani avrebbero convinto Teheran a procrastinare la reazione contro Tel Aviv consegnando la lista dei dieci agenti del Mossad coinvolti nell’eliminazione del leader di Hamas Haniyeh. In Italia ne ha parlato solo Atlanticoquotidiano.it«Io non lo farei. Israele ne ha altrettanti di elenchi. Ma di agenti americani».L’opzione militare permanente di Teheran contro Israele rimane l’attacco via cielo su larga scala…«Stante la situazione dei negoziati di Doha in corso, l’attacco ha una giustificazione solo con un nuovo innesco. Se tutto viaggia sottotraccia dove il non detto è: “aspettate che stiamo parlando” è chiaro che tutti aspettano che finiscano di parlare».La soluzione a Gaza è più vicina? E se sì quale?«Israele esige il controllo del cosiddetto corridoio Philadelphia dal quale tutto passa: armi, munizioni, uomini, feriti, comandi. Qualsiasi cosa. Senza questo controllo Hamas non sarebbe eliminata. E tutta l’azione militare di Israele, dal suo punto di vista, sarebbe servita a cosa? Tempo 2-5 anni Hamas tornerebbe ciò che è oggi, con la gente però ancora più arrabbiata. In altre parole, lo sforzo bellico di Israele non avrebbe cambiato la situazione».Israele è alle corde? Non può permettersi uno sforzo così lungo. È un’economia florida ma non grande!«La scommessa di Tel Aviv è stata questa: invece che una guerra ogni 5-7 anni ne affrontiamo una tosta che ci fa stare in pace fino al 2040. Ma al momento la missione non è affatto compiuta. Hamas, Hezbollah, gli Huthi e Teheran sono tutti lì. Più avvelenati di prima».Agli elettori americani interessa più la questione Israele-Palestina che non la guerra in Ucraina. Concorda?«Gli americani sono in guerra permanente. Per loro non è una novità. Interessa più quello che succede a casa che non Gaza».
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