2025-01-20
«L’Occidente che nega sé stesso genera il nuovo antisemitismo»
L’intellettuale ebreo Vittorio Robiati Bendaud: «La cultura woke scardina le fondamenta liberali. Gaza è stata il via libera all’odio, che ha trovato nella sinistra israeliana un alleato inatteso».«Sarà un libro destinato a fare rumore». Vittorio Robiati Bendaud emerge da un (troppo) lungo silenzio mettendo in ordine le carte del suo ultimo saggio. Si è ritirato in compagnia di api e cani. Siamo in epoca di genocidi presunti; probabilmente leggeremo di un genocidio vero, costante e silente. Resta una pietra miliare, quasi profetico se non fosse che parlare di profeti con Vittorio significa inerpicarsi lungo le impervie vie della teologia, il suo La stella e la mezzaluna: breve storia degli ebrei nei domini dell’Islam (Guerini editore) uscito già 7 anni fa, ma attualissimo. Vittorio è uno degli intellettuali ebrei italiani della nuova generazione: metà italiano, metà ebreo di Libia, è geneticamente costituito come ponte tra croce e stella; l’essere stato allievo prediletto del rabbino Giuseppe Laras, aver partecipato al dialogo fecondo tra Laras e il cardinale di Milano Carlo Maria Martini, e aver seguito per anni il tribunale rabbinico fa di lui l’uomo della preveggenza del mondo ebraico.Reggerà la tregua a Gaza? Gli ultraortodossi ce l’hanno con Netanyahu, anche se ci hanno detto che era Bibi a non volere l’accordo?«Se reggerà non so dirlo, ci sono molte volontà da tenere insieme. Però una cosa è chiarissima: chi voleva annientare Israele ha capito che era il momento giusto. Stavolta c’era davvero di mezzo la sopravvivenza, la dignità e la credibilità di Israele. Dunque la sinistra israeliana, non sapendo resistere alle pressioni esterne, ha dato l’idea che Bibi fosse contestato: Netanyahu è diventato il parafulmine. Egualmente oggi nella politica interna c’è chi teme di non riuscire a proteggersi. Perché la verità è che Gaza è stato il via libera all’odio antisemita che non si è mai sopito».Le piazze pro Pal sono in realtà piazze antiebraiche?«Con le piazze possiamo dire che è saltato il banco, l’antisemitismo ha mantenuto intatte le sue strutture. È una brace sempre accesa che ha covato sotto la cenere. Ora la cenere è stata soffiata via, dimostrando che sono cambiate le forme dell’antisemitismo ma non la sostanza. Una parte dell’opinione pubblica occidentale, i giovani sono aizzati dai maître à penser e da una certa stampa che invocano l’antisionismo, ma in realtà è odio antiebraico. Chi lo fomenta sa di avere più sponde su cui lavorare. Sa anche che c’è un enorme disparità, anche numerica, tra chi sta con Israele e gli ebrei, e chi è contro, e Israele non è riuscito a invertire la narrazione mainstream. Gli antisemiti trovano un alleato inatteso nella sinistra israeliana che produce un’eterogenesi dei fini: vuole difendere Israele indebolendone il governo e finisce per alimentare l’antisemitismo attraverso l’antisionismo».Visto da Israele, questo rigurgito antisemita com’è?«Spero di sbagliarmi, ma mi pare che Israele sia un Paese avanti di 30 anni rispetto all’Europa sulla strada del decadimento. Parte consistente della popolazione israeliana è araba. Ma questo popolo musulmano non è un monolite, la maggioranza sa che le conviene vivere in Israele rispetto a qualsiasi Paese islamico vicino. Diverso è il discorso per gli ebrei che sono polarizzati. Potrei rappresentarlo con due città: Tel Aviv ultralaica, modernista; Gerusalemme, con scenari stupendi ma aspra, rocciosa, arroccata. Ci sono gli ultralaici e gli oltranzisti religiosi. Per tentare di governare una società così composta e contrastante servono quattro condizioni: una certa diffusa prosperità economica minima; l’ascensore sociale; una formazione scolastica di base di altissimo livello; un codice simbolico sociale condiviso, di identificazione e di riferimento, che mitighi anche gli istinti brutali del capitalismo. In Israele oggi, escluse alcune università di altissimo livello, il resto scarseggia. Ed è quello che sta capitando anche in Occidente, il che rende le nostre società liberali estremamente vulnerabili dai potentati economici esterni e, in particolare, da parte dell’islam, tanto in economia che in demografia. La cosa mirabile è che oggi Israele regge assai di più di quanto ci saremmo immaginati».Ma la soluzione può essere «due popoli due Stati»?«Ho visto una vignetta che rende ragione di questo luogo comune. Si rappresenta Macron che è incredulo di fronte all’ingovernabilità e alle rivolte delle banlieues con Netanyahu che lo guarda e ripete, circa Parigi: “Due popoli due Stati”. Per fortuna in Italia c’è Giorgia Meloni, che si prodiga per fugare ciò che accade in Francia e altrove; con l’implosione della società si tiene distante dagli istinti retrivi e oppositivi delle destre feroci. Certo è che la soluzione non può essere né il cupio dissolvi delle sinistre, che vorrebbero sotto sotto cancellare Israele; né l’attrazione che le destre feroci hanno verso il dispotismo dei Paesi islamici; né quel pacifismo etereo propugnato in maniera serafica dalla Chiesa cattolica. Ed è tutto da vedere che effettivamente esista una soluzione decente e praticabile... Guardando alla Palestina, oggi esiste una realtà islamica locale che si definisce palestinese. Ma è complicato, perché se togli gli ebrei, che peraltro hanno caratteristiche diversissime gli uni dagli altri - dall’etiope al tedesco, passando per l’iracheno, il persiano e il marocchino -, pensando all’identità araba hai dei grandi polmoni storicamente e linguisticamente ben identificabili: quello nordafricano occidentale, il Maghrib; l’Egitto ex copto e islamizzato; quello del Levante, il Mashriq; la Penisola arabica. Gli arabi, storicamente, si identificavano in questo grande, e glorioso, popolo e in queste macroaree. In realtà, con il disfacimento dell’Impero ottomano - che era sì un impero islamico, ma non arabo, a cui gli arabi erano assoggettati -, sono stati disegnati degli Stati che sono qualcosa di nuovo in questa situazione. Ragionare di un’identità nazionale specifica in quel contesto non è semplice e, specie per il pubblico occidentale ignaro, veicola cortocircuiti e menzogne, perlopiù in chiave antisraeliana». Torniamo sull’antisemitismo: si sa che dalla Francia gli ebrei sono fuggiti. E in Italia? Cresce la preoccupazione dopo le intimidazioni? «Mah, mi chiedo quando non ci sia stato l’antisemitismo. Tuttavia, l’Italia per diverse ragioni - e parlo anche di quel sedime culturale cattolico tradizionale, che non è stato ancora divelto - è ancora indietro nella recrudescenza antisemita rispetto ad altri Paesi europei. Abbiamo anche un governo che ha persone intelligenti e coglie almeno parte del fenomeno, o quantomeno non lo nega. Tuttavia, dobbiamo analizzare alcune ragioni ulteriori di questo nuovo antisemitismo. Credo che risieda nel fatto che l’Occidente ha abbandonato sé stesso. La disgrazia della “cultura” woke; l’aver ormai assimilato, senza scandalo alcuno, che Dio sia davvero morto, in senso nietzschiano; la sfiducia nel diritto e nella scienza occidentali, come pure nelle riserve di senso bibliche e greche, sono elementi di disgregazione. Ci sono i sintomi della sclerotizzazione della società in una struttura piramidale classista, che piace alle destre estreme, perché definisce un ordine; ci sono nuove tentazioni eversivo totalitarie di una sinistra priva di nerbo, che si definisce progressista ma che vuole liquidare i principi liberali. Ci sono chimere rosa, green e da Image, con i loro manifesti politici e paraortodossie di risulta. C’è una Chiesa cattolica appassita, che cavalca e l’uno e l’altro, cercando di sopravvivere almeno come religione sociale funzionale a questo disastro, almeno finché dura: è il presente pontificato. Se salta il baluardo della difesa della libertà - quella libertà di cui ha parlato Meloni al suo insediamento, che è quella per cui si può anche morire e per cui si ha il dovere di difendersi -è tutto finito. Pensiamo alla cultura - si fa per dire - woke che tende a scardinare i fondamenti liberali e tutto ciò che l’ha preceduta: è l’anticamera di una nuova gerarchizzazione della società e dunque della schiavitù. Ma non dobbiamo perdere la speranza, paradossalmente forse anche nell’islam».Come nell’islam?«Moltissimi musulmani sono persone di intelligenza raffinata, e sanno perfettamente che loro hanno bisogno dell’Occidente, non solo in senso economico e strategico. Ma di un Occidente che fa il suo mestiere, e che non si cala le brache o accarezza, per narcisismo, attitudini politiche, culturali ed economiche suicidarie. La riprova ce l’abbiamo con il fatto che i cosiddetti patti di Abramo hanno tenuto e tengono, anche nella crisi di Gaza e nonostante questa. Se credo che il “genio” proprio dell’islam possa sovvertire le derive panislamiche e totalitarie o incanalarle altrimenti, l’altra speranza è di mettere in gioco noi, come fecero i Maccabei, le nostre residuali migliori energie e fonti di senso: grecità e Bibbia, con orgoglio e senza inibizioni».Ma il fine ultimo non è la umma islamica? «Sì, però i musulmani, anzi meglio gli arabi, sanno che anche la loro società può andare incontro a delle trasformazioni; sanno che oggi i paradisi fiscali sono loro (l’Occidente ha abdicato anche in questo); sanno che il genio islamico ha bisogno di un confronto e uno scambio con l’Occidente, che però deve ritrovarsi. Deve avere un’idea, un centro gravitazionale che si colloca in quell’idea complessa di libertà, erede della Grecia e poi della tradizione giudaico cristiana, che esige però un corrispettivo: il collante umano non si deve erodere appiattendosi sul liberismo economico, che pur resta gran cosa. Penso che i musulmani posti di fonte a questo Occidente possano semplicemente trovare conveniente venire a patti, ma anche apprezzare».Un’ultima osservazione: Papa Francesco pare andare più d’accordo con l’islam che con Israele. Sono tramontati i tempi in cui Wojtyla vi chiamava «fratelli maggiori»?«Il rapporto tra ebraismo e cattolicesimo è in profonda crisi, anche per lo sconquasso interno che attanaglia il cristianesimo. E poi non ci sono più i Giovanni Paolo II, i Benedetto XVI, o cardinali come Kasper, Martini o Biffi, diversissimi tra loro ma di indubbio spessore. Tuttavia, mi rendo conto della solitudine di questo Papa, in tempi duri, con faide interne, provato dall’età, con due miliardi di fedeli, almeno sulla carta, in crisi, e sfide culturali e religiose per cui nessuna diocesi occidentale è pronta. Da esterno penso questo: o il cristianesimo superstite sarà dialogico con l’ebraismo, o non sarà. E i nostri sono tempi in cui, a questo proposito, si sta rischiando il tutto per tutto. E forse quei cristiani tanto censori dell’ebraismo e di Israele, con vecchi e nuovi stilemi, sia teologici sia politici alla mano, non si sono resi ben conto di quanto rischiano circa la loro stessa esistenza nel prossimo e - ancor più - nel lungo futuro, incrinata da loro stessi».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.