2022-03-14
L’Occidente appiccica al conflitto la bandierina che risulta più comoda
La tragedia che accade sul campo non conta più: c’è chi accusa Vladimir Putin di essere maschilista e omofobo, chi è ossessionato dal nemico sovietico, chi è solo conformista. Un’armata Brancaleone che ci porta allo sfascio.La sensazione è che esistano almeno due guerre parallele. Da una parte c’è il conflitto fisico, terragno, impastato di sangue e fango tra Russia e Ucraina. Dall’altra c’è invece la guerra-non guerra combattuta dall’Occidente. Un conflitto, questo sì, del tutto metafisico, che ogni giorno di più assume i connotati di una battaglia contro i fantasmi. Da un lato, dunque, la guerra vera che si combatte a Est. Dall’altro una guerra che si svolge su un piano totalmente diverso, immateriale e per lo più immaginario. Leggendo i giornali e osservando con attenzione i talk show, la frattura emerge con prepotenza. A Kiev e Mariupol si combatte contro il nemico, qui invece ciascuno combatte contro i propri demoni, che non sempre coincidono con Vladimir Putin. Da quando le truppe russe hanno varcato il confine, dalle nostre parti si sta cercando con disperata insistenza di imporre una narrazione unica che disegni uno scontro di civiltà. La lettura manichea della situazione prevede che da un lato ci sia il diavolo ex sovietico, simbolo di oppressione, e dall’altro gli alleati che si battono per i diritti e la democrazia. In verità, questo scontro non esiste. Ciò a cui assistiamo è un conflitto fra potenze: Nato e Stati Uniti su un fronte, Russia sull’altro. L’Europa, un po’ suonata, sta nel mezzo a prendere colpi, mentre l’Ucraina soffre sul serio. Questo, almeno, avviene nel mondo reale. Nella dimensione parallela tutta occidentale, invece, vanno in scena le più disparate ossessioni. Abbiamo, ad esempio, i cantori della superiorità morale progressista che da giorni sostengono la necessità di rimpinzare gli ucraini di armi affinché possano annientare i perfidi putiniani. Ecco, costoro sono impegnati in una crociata contro il Grande Satana illiberale. L’escalation militare è, in qualche modo perverso, il naturale approdo della loro avversione per la Russia putiniana, che nelle loro fantasie è l'emblema di ogni male. Il cattivo Vladimir non è semplicemente un invasore, ai loro occhi, bensì il rappresentante di un universo antico e deprecabile, un ostacolo sulla strada della rivoluzione. I progressisti sono in guerra per «i diritti», si battono contro gli omofobi, contro i sostenitori della Chiesa ortodossa e la loro visione tradizionale dell’esistenza, contro la «mascolinità tossica» di cui Putin è evidentemente un prodotto. Gli artiglieri del politicamente corretto sono pronti addirittura a sostenere che sia proprio la «innata violenza maschile» la causa del conflitto, e credono che affondando la Russia si affermerà una nuova forma di paradiso in terra: la fine della Storia intesa millenaristicamente come compimento della Storia. Che si tratti di una costruzione posticcia lo dimostrano i fatti. Vediamo ucraini che combattono per la patria e la bandiera, non per la parità di genere. Vediamo in campo forze paramilitari dichiaratamente identitarie, nazionaliste se non nazionalsocialiste. Tra i supporter della resistenza ci sono i polacchi, fino all’altro giorno considerati dei cloni di Putin, omofobi e bigotti, oggi improvvisamente divenuti onesti difensori degli ideali liberaldemocratici. Gli stessi polacchi, a loro volta, sono mossi da antica avversità alla Russia, non certo dal desiderio di organizzare un Gay pride a Kharkiv. Ma non importa, ai nostri liberal eccitati: poiché per loro si tratta effettivamente di scontro di civiltà, ogni mezzo diventa lecito, compresa la plateale menzogna. La Stampa, per dire, ieri ha pubblicato in prima pagina la foto della bimba ucraina di 9 anni con fucile e lecca lecca. Uno scatto che lo stesso giornale definisce non vero ma «verosimile», perché lo ha scattato il padre della piccola con l’intento esplicito di creare una icona mediatica. Ebbene, se a fini propagandistici si sdogana la foto «verosimile», allora tanto vale trasmettere in tv le immagini di un videogame e spacciarle per riprese di guerra, come in effetti è accaduto. Tanto, nello scontro di civiltà tutto è concesso. È ingiusto però focalizzarsi solo sui progressisti. Ci sono anche numerosi conservatori (o sedicenti tali) che fungono da reparti di complemento. Costoro si oppongono a Putin perché lo vedono come una sorta di nuovo rappresentante dell’Urss. Ansiosi di impegnarsi nella loro personale guerra fredda fuori tempo massimo, i destrorsi filo ucraini in parte ritrovano nella resistenza di Kiev la virilità che manca alla politica italiana, e si godono un po’ di eroismo riflesso immaginando di essere dei piccoli Jan Palach in assenza di falci e martelli. In questo senso, sono uguali e contrari a certi ex comunisti che sostenevano il Cremlino quando l’Urss c’era davvero e ora sono fedelissimi della Nato per pulirsi la fedina. Questa guerra è fatta così: è una somma di false coscienze. Ci sono le grandi corporation che non disdegnano di fare affari con i più spietati regimi ma ora bandiscono i russi. Ci sono gli editorialisti molli che ne approfittano per sentirsi ancora una volta moralmente superiori, come se nel periodo del Covid non avessero già dato più che a sufficienza. Ci sono gli intellettuali che non vedono l’ora di accanirsi su colleghi a cui fino a ieri lisciavano il pelo (quando insultavano i no vax o i sovranisti andavano bene, adesso vanno svillaneggiati come una Donatella Di Cesare qualsiasi). Ci sono gli amanti del conformismo a tutti i livelli, i politicanti privi di idee che vedono nella bandiera ucraina un ideale con cui colmare il loro vuoto. Tutti insieme, questi bei tipi compongono una armata Brancaleone che ci sta mandando allo sfascio, e che obiettivamente non sta aiutando gli ucraini a vincere, anzi. E se per la guerra vera che sta colpendo l’Ucraina una trattativa seria potrebbe persino rivelarsi risolutiva, per la guerra immaginaria combattuta dai nostri eroi da tinello temiamo che nemmeno un’ottima psicoterapia sia sufficiente.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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