2023-06-05
Lobby green, chi finanzia la rivolta
Non solo Ultima generazione: dietro tutti gli attivisti spuntano i soldi dei miliardari. Da Bayer a Apple, dai petrolieri a Rockfeller: ecco chi sostiene la «causa verde».Uno dei settori in cui i gruppi di pressione sono particolarmente attivi è l’agroalimentare. Quella strana alleanza tra Greenpeace e giganti come Nestlè.Nella battaglia sull’auto elettrica sono entrate in campo anche le lobby dei componenti che non hanno ricevuto la certificazione green di Bruxelles e ora rischiano di essere tagliati fuori dai mercati finanziari.Lo speciale contiene tre articoli.Finanziano i movimenti ambientalistici, sono in grado di condizionare le politiche dei governi e di plasmare le decisioni a Bruxelles. Dietro la transizione ecologica si muovono gruppi di potere che risultano determinanti in tante normative adottate dalla Commissione europea. Sono lobby al servizio di Paesi o di interessi economici. Per costoro la mole di denaro legata ai temi ambientalistici è una manna e il salvataggio del pianeta è un nuovo settore sul quale investire. Prendiamo ad esempio Ultima Generazione. Sarebbe ingenuo pensare che sia soltanto un gruppo di ragazzi che vivono nell’utopia di poter creare un mondo perfetto dove non esistono più emissioni inquinanti e ogni attività è a impatto zero. Dietro di loro ci sono montagne di soldi. Tra i finanziatori troviamo Climate Emergency Fund, un ente che ha elargito fondi, alcuni di appena 2.000 dollari, a oltre un centinaio di movimenti nel mondo e conta 30.000 attivisti. Fondato da Aileen Getty, erede della famiglia di petrolieri Getty che sul quotidiano inglese The Guardian ha preso le difese degli attivisti di Just Stop Oil, e dalla figlia dell’ex senatore Robert Kennedy, Rory Kennedy, questa organizzazione non profit di Los Angeles, ha tra i suoi supporter registi, produttori e attori di Hollywood. Nel consiglio siedono Geralyn Dreyfous, un filantropo del mondo dell’arte, Sarah Ezzy, direttrice della Aileen Getty Foundation e l’ambientalista Shannon O’Leary Joy, produttrice di documentari. Non è una novità il favore con cui lo star system guarda le politiche ecologiste. A settembre 2022 il regista Adam McKay che ha diretto il film Don’t look up, un’allegoria sul riscaldamento globale, ha donato 4 milioni di dollari al fondo ed è entrato a far parte del consiglio di amministrazione. Abigail Disney, erede della fortuna Disney, ha donato 200.000 dollari. Questo parterre di rappresentanti del cinema facilita la creazione di contenuti di marketing molto sofisticati e ad alto impatto mediatico. Le azioni spontanee dei giovani attivisti hanno alle spalle una macchina di propaganda molto efficace e ben rodata che si serve del linguaggio del cinema e della televisione.Nel 2019, il Climate Emergency Fund ha registrato entrate totali per 2.383.778 dollari e nel 2022 ha dichiarato di aver erogato 4 milioni di dollari. Tra le sue donazioni figurano 15.000 dollari per il social network di emergenza climatica Art not War, e 50.000 dollari al Climate Mobilization Project. Inoltre ha donato 35.000 dollari al Sustainable Markets Foundation per la formazione degli attivisti sul clima. Altri contributi sono andati a vari gruppi come l’Alliance of Community Trainers (15.000 dollari) e il Social Good Fund (7.500 dollari).Il Climate Emergency Fund è il più noto ma sono numerosi i gruppi di pressione americani. Il Climate Mobilization è un gruppo di difesa ambientale che vuole dichiarare una sorta di «emergenza climatica»; il Climate Emergency Coalition promuove l’eliminazione graduale dei combustibili fossili entro un decennio. Tra i più attivi c’è il Center for Climate Integrity (Cci) che sostiene le politiche volte ad affrontare il cambiamento climatico. L’organizzazione afferma che il mondo ha meno di 15 anni per affrontare conseguenze di «proporzioni esistenziali» legate all’inquinamento e ha stimato che gli Stati Uniti dovranno investire centinaia di miliardi per costruire 50.000 miglia di dighe per prevenire inondazioni catastrofiche. È finanziata dal miliardario inglese Christopher Hohn attraverso la sua Children’s Investment Fund Fondation. L’organizzazione si è fatta promotrice di diverse azioni contro le compagnie petrolifere e di campagne per costringere le aziende energetiche convenzionali a pagare sanzioni per i danni subiti dal cambiamento climatico. Nel giugno 2019, insieme a Resilient Analytics, l’organizzazione ha pubblicato High tide tax: The Price to Protect Coastal Communities from Rising Seas, uno studio sui costi che i vari stati americani dovranno affrontare per arginare con dighe l’innalzamento del livello del mare a seguito dei cambiamenti climatici. La sola Florida dovrebbe spendere 76 miliardi di dollari. Gli autori suggeriscono che le dighe dovrebbero essere finanziate da tasse imposte alle compagnie energetiche convenzionali, perché responsabili del mutamento del clima. Lo studio è stato finanziato da istituzioni di attivisti tra cui il Rockefeller Family Fund che ha anche contribuito con 1 milione di dollari al lancio dell’organizzazione nel 2017.Un gruppo ambientalista molto attivo è il Citizens’ Climate Lobby che forma e sostiene i volontari e lavora per una legislazione sul clima con l’obiettivo di tagliare le emissioni di Co2 ponendo fine ai sussidi alle società dei combustibili fossili. Si batte per una tassa sul carbonio. Ha ramificazioni in Europa, in Germania, Francia, Polonia, Romania, Portogallo e Italia.I gruppi di pressione americani operano anche in Europa e sono in grado di condizionarne pesantemente la politica soprattutto sui temi della transizione ecologica. La loro presenza negli organismi della Ue è totalmente trasparente. Ad oggi figurano iscritti al registro delle lobby 12.143 soggetti. Sono società di consulenza, think-tank, organizzazioni non governative, sindacati, istituti di ricerca, studi legali, associazioni commerciali e di categoria e imprese. Le Ong sono le più numerose (3.495) e il loro numero non ha smesso di crescere nemmeno durante la pandemia. Dominano le grandi multinazionali come Bayern, Apple, Google e Meta. Ognuna di loro, secondo la piattaforma LobbyFacts, ha investito nel 2022, nell’attività di lobby presso le istituzioni europee tra i 6 e 6,5 milioni di euro. Questa cifra dà la dimensione del carattere strategico della loro azione. La politica sulla transizione ecologica è un terreno di battaglia interessante per gruppi di pressione politica. Un esempio di attività di lobbying a sostegno di una maggiore azione per il clima, è una lettera aperta inviata da oltre 150 amministratori delegati di importanti aziende globali nel maggio 2022 al presidente della Commissione europea, in cui si chiedeva all’Ue di accelerare la transizione verde come un modo per rafforzare la sicurezza energetica. Firmata da aziende tra cui Microsoft, Unilever e Iberdrola, la lettera raccomanda misure specifiche, come l’accelerazione dei miglioramenti dell’efficienza energetica e il passaggio alle energie rinnovabili.Una delle più attive organizzazioni ambientaliste a Bruxelles, è la Climate Action Network Europe che conta 180 membri attivi in più di 38 Paesi europei e 47 lobbisti nelle istituzioni comunitarie. I suoi settori di interesse nella politica comunitaria sono gli Est (i diritti per le emissioni di Co2), i negoziati sul clima, le energie rinnovabili, i finanziamenti sul clima e le relazioni tra Europa e Cina.I lobbisti della mobilità green hanno come punto di riferimento l’americana Transport&Environment che ha un’enorme influenza sulla Commissione europea. Questa Ong progressista è entrata a gamba tesa nella discussione sul trasporto elettrico chiedendo di bandire la vendita di vetture termiche, altrimenti, disse, la maggioranza degli automobilisti non avrebbe scelto spontaneamente di guidare un’auto elettrica. Ma più che un consiglio era un diktat che la Commissione ha prontamente accolto, emanando la proposta di vietare le termiche dal 2035. T&E è così massimalista nelle sue posizioni che durante il negoziato sui carburanti per l’aviazione era nettamente contraria al biofuel. Della T&E La Verità si è già occupata mettendo in evidenza la rete di finanziatori. Il bilancio 2022 è di 12 milioni di euro e per circa la metà forniti da quattro Ong importanti: Climate Imperative Foundation, Climate Works Foundation, European Climate Foundation (Ecf), Schwab Charitable Fund. La prima delle quattro ha ricevuto nel 2021 un contributo di 20 milioni di dollari dalla Silicon Valley Community Foundation, un gigante no profit di orientamento democratico che ha tra i finanziatori Mark Zuckerberg, Jack Dorsey (fondatore di Twitter). Dentro la Ecf figura il fondo Bloomberg Philantropies, il Rockefeller Brothers Fund che finanzia direttamente T&E.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lobby-green-chi-finanzia-rivolta-2660922815.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="agroalimentare-sotto-attacco-quella-strana-alleanza-tra-greenpeace-e-giganti-come-nestle" data-post-id="2660922815" data-published-at="1685923543" data-use-pagination="False"> Agroalimentare sotto attacco. Quella strana alleanza tra Greenpeace e giganti come Nestlè Uno dei settori in cui i gruppi di pressione sono particolarmente attivi è l’agroalimentare. «A Bruxelles è in corso la discussione sulla riduzione dei pesticidi, sul taglio delle emissioni industriali comprese quelle emesse dagli allevamenti (proposta che noi definiamo “ammazza stalle”) e sul ripristino della natura, con il rischio di una netta riduzione della disponibilità di terreni agricoli produttivi. Sono temi sui quali le Ong ambientaliste hanno molta influenza. Mi riferisco, tra le altre, a Greenpeace, Friends of Earth, Bird Life che su questi temi promuovono campagne di informazione fuorviante, basate su studi con scarsa attendibilità scientifica, per dire che l’agricoltura e gli allevamenti inquinano» spiega Paolo Di Stefano rappresentante di Coldiretti a Bruxelles . «Le operazioni di marketing sono molto potenti perché ben finanziate. Pensiamo ad esempio alla capacità di penetrazione che può avere la comunicazione del potenziale inquinante di una stalla paragonata a una sorta di Ilva, di grande industria. O all’immagine bucolica di restituire alla natura parte dei terreni coltivati togliendoli alla produzione. Nessuno dice che l’effetto sarebbe un maggior import da Paesi che non hanno gli stessi standard di qualità e sicurezza europei. Per non parlare della perdita di posti di lavoro e del degrado che si avrebbe in intere aree con la perdita della biodiversità» commenta Di Stefano. I gruppi di pressione spesso sono rappresentati dai singoli Stati. «In generale a livello di Consiglio europeo c’è uno scontro tra Nord e Sud Europa. Sulla riduzione di pesticidi, l’Italia avrebbe danni peggiori, ad esempio, dell’Irlanda dove agricoltura è fatta essenzialmente di pascoli e allevamenti. Su alcuni temi invece si muovono le multinazionali». È il caso del Nutriscore, un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari ideato dalla Francia, adottato da Belgio, Olanda, Germania e Lussemburgo. Il meccanismo assegna un colore e quindi un «via libera» ad ogni alimento in base al livello di zuccheri, grassi e sale calcolati su una base di riferimento di 100 grammi. Ma è un sistema che penalizza la dieta mediterranea e più in generale i prodotti made in Italy. «Al momento la discussione su questo tema è stata sospesa. Ciò non toglie che continui il pressing delle multinazionali che lavorano alla modifica dei prodotti in modo da adattarli ai target del Nutriscore. In prima linea ci sono grandi aziende come Nestlè e Danone (membri di FoodDrinkEurope, la confederazione dell’industria alimentare europea), o grandi catene di supermercati come Carrefour in Francia e Delhaize in Belgio (membri di Eurocomerce, l’associazione europea dei retailers). Molto influente nell’ambito di questo dibattito è anche il Beuc che riunisce 45 organizzazioni europee di consumatori di 32 Paesi, tra cui le più attivamente pro-Nutriscore sono senza dubbio quelle dei Paesi che lo hanno già adottato, come ad esempio l’organizzazione dei consumatori francese». Un’altra azione di lobbying è per i cibi sintetici. «I finanziamenti alla ricerca sono arrivati da Sergey Brin, il fondatore di Google, Bill Gates, Richard Branson, fondatore del Virgin Group ma anche celebrità come Leonardo Di Caprio». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lobby-green-chi-finanzia-rivolta-2660922815.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-fornitori-delle-auto-elettriche-costretti-dalla-ue-a-espatriare" data-post-id="2660922815" data-published-at="1685923543" data-use-pagination="False"> I fornitori delle auto elettriche costretti dalla Ue a espatriare Nella battaglia sull’auto elettrica sono entrate in campo anche le lobby dei componenti che non hanno ricevuto la certificazione green di Bruxelles e ora rischiano di essere tagliati fuori dai mercati finanziari. Senza il via libera della Commissione nessun investitore è disposto a fare credito. Il riconoscimento della Commissione è come una tagliola; per chi non ce l’ha, lavorare diventa impossibile. Bruxelles ha etichettato i veicoli elettrici come investimenti sostenibili, ma non i singoli componenti nonostante i produttori stiano spendendo milioni in nuove tecnologie. «Dal nostro punto di vista è semplicemente ingiusto se lo stesso prodotto viene trattato in modo diverso», ha affermato Wolf-Henning Scheider, ceo di Zf Friedrichshafen, uno dei più grandi produttori mondiali di componenti per auto, che ha avviato una campagna di lobbying a Bruxelles per imporre un ripensamento delle regole. Il codice di tassonomia dell’Ue dà l’etichetta verde della sostenibilità all’assemblaggio di auto, furgoni e camion a emissioni zero ma non a chi produce le singole parti. Fornitori come Bosh, Mahle, Zf, che costruiscono gli assi e le trasmissioni utilizzati negli impianti di assemblaggio dei veicoli, non hanno il bollino green. Eppure, come ha detto Stefan Hartung, ceo di Bosch, il 70% del valore di un’auto è racchiuso nei suoi componenti. E quindi non ha senso classificare un motore elettrico all’interno di un veicolo elettrico come verde, se l’azienda che lo produce non ottiene lo stesso timbro. Sebbene le norme non escludano ancora le aziende dal mercato dei fondi di investimento, la tassonomia Ue è sempre più importante come punto di riferimento, dalle principali banche alle autorità pubbliche, che cercano di incanalare denaro verso progetti sostenibili. Questo dà un’idea del carattere strategico dell’azione delle lobby. Tant’è che, come riportato dal sito Politico, la Commissione potrebbe esaminare l’inclusione di alcuni componenti automobilistici utilizzati esclusivamente nella produzione di veicoli elettrici, come i propulsori. Ma qualora non si arrivasse ad una conclusione nel breve termine, i grandi gruppi di questo settore potrebbero decidere di trasferire all’estero la loro produzione, dal momento che le condizioni normative renderebbero l’Europa poco competitiva.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.