
Un libro del giornalista inglese Douglas Murray descrive l'autolesionismo di un continente confuso e senza bussola. Stiamo perdendo la nostra casa in nome dei «diritti». La Brexit è la difesa estrema davanti alle migrazioni.«La strana morte dell'Europa: immigrazione, identità e islam» è un libro che in Inghilterra va forte. Già nella lista dei bestseller del Sunday Times, edito dalla Bloomsbury, esce in questi giorni la sua ristampa aggiornata e l'edizione economica. L'ha scritto Douglas Murray, trentottenne editorialista dello Spectator, rivista britannica politico culturale. La parola inglese «strange» può essere tradotta con strano, ma anche con bizzarro o paradossale. Scegliete voi l'aggettivo più calzante. Perché l'Europa muore? «Perché l'Europa», per Murray, «sta attuando il proprio suicidio. O almeno i suoi leader hanno deciso di commettere tale suicidio. Se poi anche il popolo europeo decida di suicidarsi o no ciò è, naturalmente, un'altra cosa».Murray, in questo volume (la prima edizione è del maggio 2017) ricco di spunti di riflessione, fa trapelare, in fondo, anche la vera ragione della Brexit: i britannici, per primi, hanno preso atto che la politica del multiculturalismo europeo, del cosmopolitismo «alla berlinese» sta fallendo e ne hanno tratto le conseguenze. Brexit è la difesa estrema davanti alle migrazioni di massa che montano dall'Europa dal Sud. Se la volontà dei britannici di controllare i propri confini in autonomia ha prevalso pur di un soffio, il dibattito di questi giorni sulle navi di migranti da accogliere o respingere mostra la fragilità di un sistema mal pensato o, forse, affatto pensato da un'Europa politicamente labile. L'inchiesta di Murray, autore neo conservatore e sostenitore delle ragioni dell'Occidente, lo ha condotto a Berlino, Parigi, in Scandinavia, a Lampedusa e in Grecia. Il giornalista ha incontrato politici, personale delle Ong, agenti dei servizi segreti, polizia di confine e, soprattutto, migranti. Proprio di questi ultimi scrive: «Qualunque sia la mia opinione sulle situazioni che li hanno portati qui e la risposta del nostro continente, le nostre conversazioni si sono sempre concluse con l'unica cosa che avrei potuto dire loro onestamente: «Buona fortuna».Se è autentica l'empatia con i migranti, merce umana in balìa dei traffici delle mafie, lo è altrettanto la critica ai politici europei che hanno gestito, o creduto di farlo, le politiche migratorie. «Dopo il suo lavoro per il governo britannico», afferma Murray, «Sarah Spencer (attuale direttore di Global exchange on migration and diversity di Compas, ndr) premiata come «comandante dell'ordine dell'impero britannico (Cbe)», una delle più alte onorificenze d'Oltremanica, ammise, dopo quegli anni al governo durante i quali lei e i suoi colleghi avevano aperto le paratie «antinondazione», che non c'era una politica per l'integrazione: «Credevamo solo che i migranti si sarebbero integrati». Tutto qua. La critica di Murray a un'Europa debole, incapace dunque anche di integrare, il cui «ventre molle» è soprattutto la ricca e (troppo) autocritica Germania, è spietata: «Alla fine l'Europa non sarà più Europa e i popoli dell'Europa avranno perso il solo posto al mondo che chiamavano casa». Il messaggio è: per accogliere e integrare occorre un'Europa forte e con le idee chiare su come gestire le migrazioni. «La natura dell'Europa», spiega l'autore, «è sempre mutata, esempio ne siano le sue città commerciali quali la spettacolare Venezia. Hanno sempre mostrato una grande e inusuale apertura alle idee e alle influenze straniere. La loro apertura era prodigiosa: non era, tuttavia, sconfinata».Per Murray è dopo la seconda guerra mondiale che inizia «il primo movimento di massa di popoli nell'Europa occidentale, a causa della mancanza di manodopera». Ma, ben presto, l'Europa si è lasciata sopraffare dalle migrazioni, senza riuscire a fermare il flusso. «Così le strade delle fredde e piovose città settentrionali d'Europa», scrive, «si riempivano di gente vestita in maniera adatta per le colline del Pakistan o per le tempeste di sabbia dell'Arabia». Sulla debole o mancata integrazione l'Europa ha le sue colpe. Ma, soprattutto, le sue scuse. Che Murray elenca: «Gli europei hanno sempre trovato il modo di fingere che potesse funzionare. Insistendo, ad esempio, sul fatto che se l'integrazione non fosse avvenuta con la prima generazione, allora sarebbe potuta accadere con i loro figli, i nipoti o un'altra generazione ancora a venire. O che non importava se le persone fossero o meno integrate. È stato spesso sostenuto», continua il giornalista, «che l'immigrazione è un vantaggio economico per i nostri Paesi, che in una «società che invecchia» è necessaria più immigrazione, che l'immigrazione fa le nostre società più colte e interessanti. Oppure che la globalizzazione rende l'immigrazione di massa inarrestabile». Con le scuse o le mezze verità, però, non si gestisce il fenomeno delle migrazioni né, tanto meno, si integra nessuno. Murray mette il dito in una larga piaga: «Il mondo sta arrivando in Europa proprio nel momento in cui l'Europa ha perso di vista quello che è. E mentre il movimento di milioni di persone di altre culture in una cultura forte e assertiva avrebbe potuto funzionare, il movimento di milioni di persone in una cultura colpevole, stanca e morente non può». La sua attenzione si sposta, necessariamente, sull'identità europea e sui valori in cui l'Europa si riconosce o dovrebbe riconoscersi: «Ci si aspetta che chiunque possa trasferirsi in Europa e diventare europeo. Se essere «europei» non riguarda la razza, come speriamo, allora è ancora più imperativo che riguardi «i valori». Ecco ciò che rende la domanda «Quali sono i valori europei?» così importante. Eppure», osserva Murray, «questo è un altro punto su cui siamo completamente confusi».L'identità di un continente passa o può passare anche per la religione? «Siamo, ad esempio, cristiani?», si chiede l'autore. «Negli anni 2000», scrive, «questo dibattito ha avuto un punto focale nella discussione sulla formulazione della nuova costituzione dell'Unione europea e sull'assenza di qualsiasi menzione del patrimonio cristiano del continente. Papa Giovanni Paolo II e il suo successore cercarono di correggere l'omissione sul retaggio cristiano di Europa. Ma, al posto della religione», nota Murray, «è stato sostituito il linguaggio, sempre più inflazionato, dei «diritti umani». «Quindi», conclude Murray, «mentre nel passato l'identità europea poggiava su fondamenta filosofiche e storiche ben specifiche (ad esempio lo stato di diritto, l'etica derivata dalla storia e dalla filosofia del continente), oggi l'etica e le credenze dell'Europa, anzi l'identità e l'ideologia dell'Europa, sono diventati «rispetto», «tolleranza» e «diversità». Tali definizioni superficiali ci possono far tirare avanti per qualche altro anno, ma non hanno alcuna possibilità di fare appello alle lealtà più profonde che le società devono essere in grado di raggiungere per sopravvivere a lungo. E invece di conservare una casa per i popoli europei, abbiamo deciso di far diventare l'Europa un'utopia, nel senso originale della parola greca: «nessun luogo».
Uomini del Racis in azione sul luogo del delitto alla periferia di Roma nel 2008 (Ansa)
Nato nel 1955, il Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche (da cui dipendono anche i RIS) è un fiore all'occhiello dell'Arma. L'anniversario è stato celebrato dalle autorità alla caserma «Salvo d'Acquisto» di Roma.
Il Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche, anche noto come RaCIS., rappresenta un’eccellenza nell'ambito delle indagini tecnico-scientifiche in Italia. La sua storia inizia nel 1955, quando venne fondato presso la Caserma «Podgora» di Roma con il nome di «Gabinetto Centrale di Documentazione e di Indagini Tecnico-Scientifiche dell’Arma». Inizialmente, il suo compito era fornire supporto didattico agli ufficiali e assistenza ai reparti operativi. Rinominato Centro Carabinieri Investigazioni Scientifiche (CCIS), il Reparto è stato trasferito nel 1976 alla Caserma «Magg. MOVM Ugo De Carolis». Negli anni ’90, con l’istituzione dei Sottocentri CIS di Messina e Parma e l’attivazione di 30 laboratori per l’analisi delle sostanze stupefacenti, il Ra.C.I.S. ha ampliato le sue capacità operative. Nel 1999, il CCIS e i Sottocentri assunsero l’attuale denominazione, con la creazione dei RIS di Roma e Cagliari. Successivamente, nel 2001, il comando del Ra.C.I.S. venne elevato al rango di Generale di Brigata.
Oggi ha sede a Roma ed è articolato su: un Reparto Tecnologie Informatiche, un Reparto Dattiloscopia Preventiva, un Reparto Analisi Criminologiche, un Reparto Ricerca e Sviluppo, nonché su 4 Reparti Investigazioni Scientifiche (RIS) dislocati a Roma, Parma, Messina e Cagliari; inoltre, 22 Sezioni Investigazioni Scientifiche (SIS), inquadrate nei Reparti Operativi dei Comandi Provinciali, hanno collegamento tecnico-funzionale e addestrativo con i RIS di competenza.
Il Ra.C.I.S. svolge un ruolo cruciale nel supporto alle indagini, rappresentando la struttura tecnico-scientifica dell’Arma per le richieste di indagine tecnica di Polizia giudiziaria dei Reparti dell’organizzazione Territoriale e Speciale, della Magistratura e delle altre Forze di Polizia.
Si occupa della raccolta e analisi di evidenze fisiche, chimiche, biologiche, telematiche e informatiche, conducendo esami su reperti, sostanze stupefacenti e dispositivi elettronici. Inoltre analizza i profili psicologici e comportamentali degli autori di crimini violenti e monitora il fenomeno delle violenze di genere. È anche impegnato nella ricerca scientifica, nell’innovazione tecnologica e nella formazione di personale specializzato, collaborando con organismi nazionali e internazionali. I quattro Reparti Investigazioni Scientifiche di Roma, Parma, Messina e Cagliari sono responsabili, secondo le proprie competenze areali, dello svolgimento delle analisi di laboratorio nei seguenti settori delle scienze forensi: biologia, chimica, balistica, dattiloscopia, fonica, grafica e audiovideo.
Un’importante componente del RaCIS è il Nucleo Carabinieri per il Riconoscimento Vittime di Disastri (DVI), operativo dal 2003. Il nucleo, composto da esperti in biologia, dattiloscopia e rilievi tecnici, si divide in due sezioni: Ante-Mortem, che raccoglie informazioni e campioni biologici delle persone scomparse, e Post-Mortem, che analizza i corpi non identificati per confrontare i dati raccolti. Il Nucleo DVI ha operato in numerosi disastri, tra cui l’attentato di Nassiriya nel 2003, lo tsunami in Asia nel 2004, il terremoto de L’Aquila nel 2009 e quello di Amatrice nel 2016.
In sintesi, il RaCIS rappresenta un pilastro fondamentale per le indagini scientifiche in Italia, grazie alla sua struttura avanzata, alle sue competenze specialistiche e al suo impegno costante nell’innovazione e nella collaborazione internazionale.
Lo sguardo del Reparto, per quanto riguarda le prospettive future, è rivolto principalmente allo studio delle applicazioni dell'Intelligenza Artificiale nell’ambito delle indagini forensi, che già oggi stanno rivoluzionando il modo con cui vengono raccolte, analizzate e interpretate le tracce.
Ad esempio grazie all’uso di avanzati sensori multispettrali e tecniche di ricostruzione 3D della scena del crimine basate sull’IA, gli investigatori potranno partecipare, in tempo reale e senza accedere direttamente, alle attività di sopralluogo in uno scenario virtuale dove valutare velocemente la tipologia e distribuzione delle tracce come le impronte digitali, i fluidi biologici, le armi, e gli oggetti e le sostanze di diversa natura.
Nuovi algoritmi di ricerca basati sull’IA permetteranno di comparare in modo sempre più efficiente e rapido le impronte digitali e le immagini 3D di bossoli e proiettili con i relativi elementi di confronto archiviati nelle rispettive banche dati. Anche l’analisi delle microtracce potrà essere realizzata con il supporto dell’IA, che, opportunamente addestrata, offrirà agli investigatori risultati in tempo reale, identificando, ad esempio, l’esatta composizione di frammenti di fibre, vetri o vernici, permettendo di risalire alla loro origine provenienza.
Sono numerosissimi i casi giudiziari, di rilevanza nazionale, trattati dal RaCIS, con un contributo che si è rivelato più volte decisivo.
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2025-11-27
Immigrazione: «I Paesi Ue vogliono collaborare a prescindere dall'estrazione politica»
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato Sara Kelany, (Fratelli d'Italia) membro del Parlamento e capo del dipartimento italiano per l'immigrazione a margine dell'evento Europe and migration: The Italian Approach Transcending Ideologies al Parlamento europeo di Strasburgo.
Friedrich Merz, Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Bordata alla triade Londra-Parigi-Berlino. Il capo del Ppe ce l’ha con Friedrich Merz. E lo mette contro Ursula von der Leyen.
Davanti alle telecamere si stringono la mano. Ma dietro le quinte, se ci sono da spartirsi quote di potere reale, si guardano in cagnesco. Stiamo parlando di Manfred Weber, Ursula von der Leyen e Friedrich Merz: tutti figli della stessa casa madre, quella Cdu che per decenni è stata la potente «balena bianca» teutonica, ma che Angela Merkel ha lasciato letteralmente in macerie. Macerie su cui i conservatori tedeschi vorrebbero iniziare a ricostruire. Eppure il tridente, a quanto pare, non gioca per la stessa squadra.
Vladimir Putin e Steve Witkoff (Ansa)
Putiferio per le soffiate su una chiamata in cui il mediatore Usa, atteso al Cremlino, dava consigli a Mosca. Il «Guardian» evoca lo zampino di Cia o servizi ucraini, che ad Abu Dhabi hanno visto gli 007 dello zar.
Le manovre diplomatiche per far concludere la crisi ucraina potrebbero trovarsi davanti a uno scoglio. Uno dei principali negoziatori americani, Steve Witkoff, è infatti finito nella bufera, dopo che Bloomberg News ha pubblicato la trascrizione di una telefonata da lui avuta con il consigliere di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, lo scorso 14 ottobre. Dal testo è emerso che l’inviato americano ha dato all’interlocutore dei consigli su come lo zar avrebbe dovuto affrontare il colloquio telefonico con Donald Trump, che si sarebbe tenuto due giorni dopo.









