2020-02-13
Lo scoppio del nuovo caso Regeni fa gli interessi di Macron in Egitto
Leonardo vende 20 elicotteri al governo di Abdel Al Fattah Al Sisi e Fincantieri due fregate, alla faccia di Parigi. La polemica sui diritti umani rischia però solo di penalizzare l'industria italiana. Intanto Luigi Di Maio incontra Serraj e Haftar.Non appena è stato definito il perimetro di vendita all'Egitto di due fregate prodotte da Fincantieri, i giornali di sinistra si sono scatenati. Per qualche giorno si riapre il caso di Giulio Regeni e subito dopo scoppia un nuovo caso. Uno studente dell'università di Bologna, Patrick Zaky, è stato arrestato, torturato e ora rischia il carcere a vita per il reato di tentato rovesciamento del regime. Tra le accuse aver conosciuto Regeni. Sono temi molto delicati da affrontare. Ma se da un lato le battaglie per i diritti umani sono fondamentali, dall'altro c'è sempre qualcuno che sarà peggio di Abdel Al Fattah Al Sisi. Per fare in modo che regimi meno affidabili proliferino, l'Egitto dovrà continuare ad armarsi. In questo momento le due nazioni in concorrenza diretta sulle forniture sono la Francia e appunto l'Italia. Non ci riferiamo soltanto alle due Fremm da valore indicativo di 1,2 miliardi. In ballo c'è anche una commessa da 20 elicotteri Aw 149 prodotti da Leonardo. E al momento solo in fase di ipotesi c'è anche una mega fornitura di caccia Typhoon Eurofighter. Presto per dire che cosa accadrà. Ma non a caso ieri è stato tirato in ballo il ministro degli esteri, Luigi Di Maio. Intervistato da Repubblica l'ex leader grillino ha difeso la presenza dell'ambasciatore ma ha vacillato sul ruolo dell'Italia nell'area. Dal ministero di Di Maio passa anche l'autorizzazione all'export delle fregate e degli elicotteri. In base alla legge 185 il ministero non si è ancora pronunciato. E non avremmo alcun motivo per negare l'export. L'Egitto non è infatti in black list. Ci sono però molti attori pronti a sfruttare il dramma di Zaky, il nuovo Regeni, per cercare di cambiare le carte in tavola. Appresa la notizia delle trattative tra Fincantieri ed Il Cairo, Le Figaro ha titolato «Uno schiaffo dell'Egitto alla Francia. Un modo molto trasparente per rivendicare il ruolo privilegiato che Yves Le Drian ha costruito nel 2015. Biosgna al contrario dare atto al capo di Fincantieri, Giuseppe Bono, di aver avviato una serie di mosse a incastro che spingeranno la Francioa a dover prendere atto dell'uscita dall'Egitto oppure a cedere sulla grande operazione con Stx, al momento bloccata dall'Antitrust europeo (su chiaro input politico francese). Insomma, dietro alle battaglie per i diritti umani di certa stampa italiana, ci sono le quinte colonne dei francesi pronte a fregarsi le mani nel momento in cui il ministero degli Esteri prendesse tempo a scapito delle nostre esportazioni. In questo momento l'Egitto sta rialzando la testa, dopo lo smacco subito per via dell'ingresso in campo della Turchia. Ankara avrebbe detto no ai caccia di ultima generazione F 35, e in modo parziale potrebbe essere l'Egitto a subentrare nell'acquisto dei velivoli di Lockheed Martin. Per gli Usa sarebbe una soluzione ottimale. A farne le spese anche in questo caso sarebbero i caccia Rafale francesi. Sono per questo motivo settimane delicate nelle relazioni tra Italia, Francia Usa ed Egitto. A fine mese a Napoli si terrà un importante incontro con l'obiettivo di fare il punto delle relazioni franco italiane nell'ambito dell'industria dello spazio. L'evento cade in concomitanza con il tentativo di far ripartire il trattao del Quirinale, una simil replica del trattato di Aquisgrana. A spingere in questa direzione è chiaramente il Colle, eppure un'Europa unita non dovrebbe avere accordi bilateriali di tale entità. Soprattutto noi non dovremmo firmarne uno con la Francia. Non solo perché cercherebbe di imporre una filiera nella attività spaziali, ma anche perché un eventuale trattato renderebbe quasi impossibile i blitz come quello di Fincantieri in corso per vendere le Fremm al governo di Al Sisi. Un tale trattato renderebbe anche difficile muoversi in autonomia in scenari come la Libia. La diplomazia delle armi anche se siamo su un piano nettamente separato, consente spesso attività informali di supporto reciproco in zone di guerra. Ieri Di Maio si è recato senza preavviso in Libia, dove ha incontrato il premier di Tripoli Fajez Al Serraj e dove stamattina incontrerà Khalifa Haftar. Ad accompagnarlo nelle attività di ministro mediatore, il numero uno dell'Aise, il generale Luciano Carta. L'obiettivo è cercare di riprendere le fila del discorso avviato a Berlino. La tregue tra le due fazioni libiche non è mai scattata veramente. E per il nostro Paese indossare la casacca dei mediatori significa mantenere almeno un piede in Libia ed evitare che il corridoio turco tagli fuori gli interessi dell'Eni in Libia e anche in Egitto. Dove dal punto di vista energetico ancora oggi restiamo il primo vero player del Mediterraneo orientale.
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