2021-02-06
Lo scoglio rendiconti e i nostri errori rischiano di far sfumare i fondi Sure
Per pagare la cassa integrazione, il governo ha previsto più risorse rispetto a quelle usate finora. Ciò significa che potremmo dover restituire parte dei 27,4 miliardi concessi dalla Commissione. E questo è solo l'inizio.Quanto stiamo per raccontarvi è solo un piccolo antipasto rispetto a quanto potrebbe accadere nei prossimi anni con riferimento ai prestiti dell'Ue all'Italia. L'unica differenza sarà solo l'ordine di grandezza delle cifre che, con il Recovery fund, potrebbe essere dieci volte superiore.Ieri, nel giro di poche ore, si sono susseguiti un lancio del sito Dagospia.it ed una immediata smentita di fonti Inps. Dagospia ha titolato: «L'Inps ha sbagliato a rendicontare i fondi e siamo fuori di 6 miliardi con il fondo Sure - giro frenetico di chiamate tra il Mef e il gabinetto di Paolo Gentiloni - Il problema? L'Unione europea non ci rimborsa per ciò che non è rendicontato». Fonti Inps, intorno alle 15, hanno parlato di «false voci su disallineamenti nei calcoli di rimborsi e rendicontazioni al Mef per i fondi». L'Istituto guidato da Pasquale Tridico ha puntualizzato che «nelle stime di cassaintegrazione, esiste come sempre una stima ex ante, prudente, sui flussi in base alle richieste autorizzate e un successivo rendiconto, ancora non chiuso, sui pagamenti effettuati in base al monitoraggio della spesa, che a oggi registrano un tiraggio medio intorno al 50%, quindi più basso della stima da autorizzazioni. In ogni caso, questa differenza sottolinea anche un miglior andamento dell'economia rispetto alle originali previsioni. Tuttavia, si deve mantenere, come per ogni prestazione, una linea prudenziale nelle stime, anche perché l'uso di misure di sostegno all'economia avrà effetti anche nel 2021. Ciò non implica alcuna perdita delle risorse a valere su Sure, che possono essere utilizzate fino a marzo 2022».La toppa appare peggiore del buco. Non a caso Dagospia la definisce «moscia». Infatti mette a nudo il complesso e delicato meccanismo che sta alla base del prestito Sure, finalizzato a finanziare un incremento straordinario di spese per la cassaintegrazione e per altre indennità a lavoratori autonomi, a partire dal febbraio 2020. Quanto richiesta dal ministro Nunzia Catalfo il 7 agosto scorso e successivamente accordato dalla Ue con decisione del Consiglio 1349/2020 del 25 settembre 2020 è infatti un importo - «fino a un massimo di 27,4 miliardi», recita la decisione - basato su una spesa programmata. Tale spesa è la somma di tutti gli stanziamenti, cioè previsioni, contenuti nel decreti legge Cura Italia e Rilancio di marzo e maggio scorso. Ma una cosa sono le previsioni e ben altra sono le erogazioni effettive e se la Ue non ricevesse rendicontazioni circa la spesa effettiva almeno pari al prestito erogato avrebbe titolo per richiedere la parziale restituzione. Solo pochi giorni fa è stata erogata la terza rata di 4,4 miliardi, che ha portato a 20,9 miliardi il totale di quanto fin qui prestato, con una durata media di 15 anni.Tenendo questo in mente, apprendiamo dall'Inps che i pagamenti eseguiti, rispetto alla cassaintegrazione autorizzata, sono solo il 50%. L'Istituto attribuisce tale scarto a «un più favorevole andamento dell'economia». Ma a noi sorge il dubbio che sia anche attribuibile a una certa lentezza nei pagamenti. Resta il fatto che le stime sembrano grossolanamente superiori alla spesa effettiva, a prescindere dalle cause. E questo per il commissario Ue Gentiloni non è affatto irrilevante. Infatti, ogni sei mesi, a partire dal prossimo 31 marzo, lo Stato membro debitore dovrà produrre un rendiconto (ai sensi dell'articolo 13 del regolamento 672/2020) «in merito all'esecuzione di tali spese pubbliche programmate». Ciò significa, per i funzionari della Commissione, avere evidenza di come stiano procedendo i pagamenti ed è molto probabile che, con approssimarsi di tale scadenza, al Mef e all'Inps si siano accorti di una differenza enorme tra pagamenti eseguiti e relative previsioni. E temano di conseguenza gli strali di Bruxelles che, stando alla spiegazione fornita dall'Inps, non dovrebbero però esserci perché c'è tempo fino al marzo 2022.Ci sia consentito però obiettare che la decisione del settembre scorso parla di «disponibilità del prestito» fino al 28 marzo 2022 e non di esecuzione dei pagamenti. Tali esborsi sono sempre e solo quelli previsti dai decreti legge citati e, se non raggiungessero 27,4 miliardi, la restituzione delle somme appare inevitabile. La possibilità di richiedere altre rate del prestito entro marzo 2022 non c'entra nulla con la progressione dei pagamenti a lavoratori e imprese che, per stessa ammissione dell'Inps, è molto al di sotto delle stime. Forse sono sicuri che accelererà nei prossimi mesi? E su questi temi non ci possono essere equivoci. Infatti l'accordo di prestito tra Ue e Italia prevede che l'ufficio anti frode della Ue (Olaf) e la Corte dei conti europea possano effettuare indagini, controlli, ispezioni in loco con loro funzionari, per verificare che i fondi prestati siano stati spesi per i fini inizialmente previsti.Se su una questione così relativamente semplice si sollevano dubbi di questo tipo, non oseremmo pensare alla palude burocratica in cui potrebbero finire i fondi del Recovery fund, se e quando arriveranno.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)