2021-06-14
«Lo ius soli sarebbe un errore. Gli italiani non sono razzisti»
Il senatore della Lega, Tony Chike Iwobi: «La nostra legge sulla cittadinanza è tra le migliori in Europa. La politica ha il compito sacrosanto di regolare gli ingressi: e lo dico da immigrato».Gli rivolgiamo anche la domanda più sciocca, quella a cui è abituato a rispondere da anni. Tony Chike Iwobi si sente forse un leghista atipico? Lui, con pazienza, chiede sornione di rimando dove stia scritto che se sei di colore sei di sinistra. Provocarlo è praticamente impossibile, ti risponderà sempre con una risata piena e sicura. E snocciolerà una sfilza di cifre mandate a memoria. «Perché senza i numeri la politica non la puoi fare, fai solo ideologia». Primo senatore della Repubblica italiana di origini africane, nasce a Gusau nel 1955. La «i» del suo cognome si pronuncia «ai». A Spirano, nella bergamasca, lo chiamano semplicemente Tony. A che età è arrivato in Italia?«Avevo 22 anni. Ho studiato un po' negli Usa grazie ai miei genitori, e poi dalla Nigeria sono ripartito per l'Università per stranieri di Perugia, nel '77, con permesso di studio. In Italia ho ricominciato da zero, e non è un modo di dire». Periodi difficili?«Anni di veri sacrifici e insieme di gioia. Ho presto raggiunto un amico di infanzia in provincia di Bergamo. Lì ho conosciuto colei che sarebbe diventata mia moglie un solo anno dopo. Stiamo per festeggiare l'anniversario di matrimonio numero 43, abbiamo due figli e due nipoti. La mia famiglia è la mia forza». Primo lavoro?«Lo stalliere, tra i cavalli di Spirano. Guadagnavo 150.000 lire al mese». Da stalliere a senatore?«Ho fatto anche il manovale edile. E lo spazzino, ma solo per tre mesi. Lavoravo e studiavo. A Treviglio mi sono diplomato e poi mi sono laureato in informatica, scelta azzeccata perché era una professionalità molto richiesta. All'Amsa di Milano ho lavorato 15 anni, ne sono diventato dirigente».E poi?«Imprenditore, con una mia azienda di servizi informatici, che ho gestito fino all'elezione a senatore». Il partito le ha chiesto di lasciarla?«No, una mia decisione. Questo è un Paese particolare, non volevo dar spazio a critiche. Serve impegno, a fare il parlamentare. Non ho più cariche in azienda, vorrà dire che quando l'esperienza politica dovesse finire resterò disoccupato».Ecco: a un certo punto in lei nasce la passione per la politica. «Prima ho fatto il dirigente sindacale. E poi mi sono candidato come consigliere comunale, esperienza straordinaria, durata vent'anni, anche come assessore ai servizi sociali. Nel 2012 ho mancato l'elezione in Regione Lombardia per 35 voti. La Lega era al 2-3% ai tempi, fu una campagna elettorale faticosa». Perché Tony Chike Iwobi si è impegnato proprio con la Lega?«Il cavallo di battaglia dell'epoca era il federalismo fiscale. Ho studiato i testi di Gianfranco Miglio, affascinato, perché nella mia Nigeria il federalismo aveva risolto molti problemi, pur nella complessità del Paese. Se aveva funzionato nel terzo mondo, ho iniziato a immaginare quanto avrebbe potuto fare in Italia».Ci crede ancora?«È l'unico sistema politico che possa unificare il Paese, responsabilizzandolo. Una ristrutturazione che è necessaria». Era la Lega di Umberto Bossi. «Oggi mio collega in Senato». Che rapporto avete?«Ama chiamarmi “porco"». Ah. In che senso?(Ride) «Non le so dire come mai, ma mi ha sempre visto come un don Giovanni. Lo fa con simpatia».Lo seguiva a Pontida?«Certo, non ne ho mancata una. Un momento di aggregazione di una grande famiglia. Per confrontarsi e divertirsi insieme». Nostalgia di quel Carroccio?«No, perché il mondo è in continua evoluzione e così la Lega. Ho vissuto quella storia a pieno. È una grossa responsabilità, quando la gente si fida di te, sa?».Non si è mai preso una sbandata per un altro partito?«Mai. Sono uno che quando ha in mente un obiettivo non cambia idea».In Lega è stato responsabile dell'immigrazione. «Sono stato vicepresidente della commissione Affari esteri, oggi sono in quella per la tutela e la promozione dei diritti umani. E faccio parte del comitato parlamentare Schengen».Salì su un palco con Matteo Salvini con la maglietta con scritto «stop invasione». Se la prese pure Mario Balotelli: «Forse non gli hanno detto che è nero». «Lo ignorai, voleva usarmi per costruire la sua immagine mediatica. Ma bisognerebbe parlare solo quando si conoscono le cose. L'Italia è purtroppo un Paese profondamente ideologizzato, diviso».Domanda banale: si definirebbe un leghista atipico?«Penso invece sia giusto che me lo chieda: mi consente di domandarle chi dice che il colore della pelle appartenga all'esperienza politica della sinistra. Nella Bibbia non sta scritto, mi pare».La sinistra accoglie, la destra espelle?«No, ma lo si pensa. Negli Stati Uniti la sinistra non ha connotazione in questo senso, mette altro al centro. E pure in Nigeria. Non mi capacito di questo ragionamento. Lei crede che l'Italia sia un Paese democratico? Io sì, e allora ognuno ha il sacrosanto diritto di appartenere agli ideali che più sente suoi».Non è che ci siano tanti leghisti di origine africana. (Ride ancora) «E allora vuol dire che Salvini ha azzeccato con me, premiando anche la mia fedeltà». Molte frasi infelici sono salite agli onori delle cronache, come quella di Calderoli che definì «orango» Cécile Kyenge. «Sbagliò, purtroppo, e glielo dissi. Ho sempre cercato di far capire a tutti che per quanto un progetto possa essere grandioso, se manca il rispetto fallisce». Dicono di lei anche che la Lega la usa in virtù del colore della pelle. «Ognuno ha il diritto di insinuare quel che vuole, sono in tanti a fare questo tipo di affermazione. Si critica senza sapere. No, non mi sono mai sentito usato, e le assicuro che non lascio lo spazio alle persone di usarmi. Se invece mi parla di essere al servizio degli italiani, allora sì, lo faccio volentieri». Le sue bacheche sui social la ritraggono quasi sempre ai gazebo di paese. «Giro tanto, sì, nel fine settimana. Molti politicanti tendono a dimenticare che il fondamento della politica è il territorio».Episodi di razzismo ne ha mai dovuti affrontare?(Pausa) «Guardi, dobbiamo stare attenti a usare certi termini. Cos'è il razzismo? È quando un individuo pensa di essere superiore all'altro. Un atteggiamento che cade con la conoscenza reciproca, sempre. Oggi si usa un termine per alimentare un'ideologia politica, ma è un errore anche concettuale. Le scuse di Letta per il suicidio di un ragazzo di colore dimostrano come ci sia in ballo un'operazione mediatica e politica. Non va bene». Non vorrà dirci che l'hanno accolta tutti nel migliore dei modi. «Invece glielo dico. È ovviamente impossibile che tutti stiano dalla tua parte, ma ho sempre goduto del rispetto dalla quasi totalità della comunità in cui vivo». Che poi i bergamaschi un po' diffidenti lo sono, no? «Quando arrivai le auto avevano ancora la targa “BG": per me ha sempre significato “brava gente". Sono profondamente diffidenti, ma appena ti conoscono ti danno l'anima. La verità è che gli italiani razzisti non lo sono. E che c'è a chi fa comodo dipingerne alcuni così».A chi e perché?«A chi non ha la capacità né il desiderio di confrontarsi. E dimentica che quando punti un dito contro l'avversario, le altre quattro puntano su di te». Con un governo Draghi non c'era forse l'occasione per dialogare tra parti opposte?«Le assicuro che il dialogo invece c'è, eccome. Certo, serve tempo per rimediare agli errori commessi, ma io il percorso lo vedo».E sull'immigrazione come si fa?«Smettendo di confondere l'immigrazione che è propria del dna dell'uomo, parola e atto nobile di chi è in movimento e viaggia, con quello che accade nel nostro Paese da anni. Perché occorrono regole, e sono il compito sacrosanto della politica sana. E glielo dice un immigrato». Arrivato con il permesso di soggiorno. Ma c'è chi scappa dalla sofferenza.«Forse si parla troppo poco di tutti quei giovani italiani che hanno dovuto lasciare il nostro Paese per trovare qualcosa di migliore all'estero. E poi vorrei parlare di dati. Perché altrimenti si fa politica sul nulla».I dati cosa dimostrano?«Che l'immigrazione può essere una ricchezza se gestita. E che la sinistra li ignora perché è comodo che la gente non li conosca. Ci sono 5.306.548 stranieri comunitari ed extracomunitari in Italia, che incidono sulla popolazione per l'8,8%. Tra questi 3.438.707 sono i permessi di soggiorno validi. Nessuno poi parla dei tipi di permessi di soggiorno». Perché?«Perché mentre 1.657.591 sono i permessi per famiglia, e 1.403.505 quelli per lavoro, i permessi per asilo politico sono 194.799. E poi si tace sempre del valore dei contributi di chi produce ricchezza per il Paese in maniera regolare».Torno a chi scappa. «Sono di origine africana, conosco il mio continente, la sua storia. L'Africa è stata depredata per secoli delle sue risorse naturali, oggi di quelle umane. Perché non lasciare l'Africa libera di crescere, collaborando affinché gli africani possano progredire? E magari scegliere con libertà di andare dove vogliono, senza imboccare i tunnel della morte?».Ius soli. Una buona battaglia su cui ragionare insieme?«Non dopo i dati che le ho citato. Perché non è prioritario rivedere una delle leggi migliori a livello europeo. E perché non ha senso obbligare chi è figlio di genitori stranieri a diventare cittadino italiano. C'è chi magari non lo desidera neppure, perché un giorno vuole tornare nel suo Paese d'origine».
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 15 ottobre 2025. Ospite Daniele Ruvinetti. L'argomento di oggi è: "Tutti i dettagli inediti dell'accordo di pace a Gaza".