Con la fuga all’estero di Stellantis, il nostro Paese è sguarnito sul fronte della produzione industriale Costruire un marchio da zero è impensabile. Meglio collaborare con Tokyo oppure coi fondi americani.
Con la fuga all’estero di Stellantis, il nostro Paese è sguarnito sul fronte della produzione industriale Costruire un marchio da zero è impensabile. Meglio collaborare con Tokyo oppure coi fondi americani.Pensare alla creazione di un nuovo marchio italiano della mobilità che tenga nella nazione il valore aggiunto delle produzioni aumentato dall’innovazione appare irrealistico. Ma se l’Italia vuole restare potenza economica non può perdere capacità nel settore come sta avvenendo: l’industria della mobilità è un traino primario per l’economia. Pur consapevole che un tale pensiero sia di probabilità minima, tentiamolo comunque. Va subito detto che questa impostazione non è una critica a Stellantis: l’azienda è libera di fare le sue scelte competitive. Ma anche il sistema industriale e finanziario italiano lo è. Inoltre, Stellantis non è più un marchio italiano globalizzabile. L’Italia ha un’enorme capacità di produrre componenti per veicoli di ogni dimensione, ma non c’è più un attore industriale italiano innovativo - Ferrari a parte - con strategia globale che stimoli il potenziale di questa capacità diffusa, per esempio la Motor Valley in Emilia. Cerchiamo quindi un’azione che ricostruisca uno o più marchi globali italiani nel settore.Il gruppo di ricerca dello scrivente (Stratematica) non è stato d’accordo con questa impostazione. Dopo che la Fiat, incoscientemente lasciata avere un potere monopolisitico di settore in Italia, ha perso negli ultimi tre decenni almeno due cicli di investimento innovativo era ovvio che dovesse agganciarsi come attore secondario a marchi più dinamici. Va riconosciuta a Sergio Marchione una genialità gestionale che avrebbe potuto sia tenere capacità primaria in Italia sia globalizzare il marchio Fiat. Ma morì troppo presto, lasciando la proprietà orfana di una vera capacità progettuale e quindi costretta a vendersi per mantenere una ricchezza residua. In sintesi, il gruppo di ricerca (di altissima qualità metodologica) non ha visto opzioni con probabilità sufficiente da comunicarle, pur considerando un potenziale nazionale nel settore dei veicoli super lusso e di quelli per compiti speciali. Ma chi scrive più i tre italiani in un gruppo di ricerca frequentato in maggioranza da ricercatori con diversa nazionalità ha sentito un’emozione davanti a un grafico che mostrava il lento declino del sistema industriale italiano: abbiamo bisogno di un nuovo marchio italiano futurizzante e globalizzabile nel settore della mobilità, in vero anche in altri settori, ma quello della mobilità portante. Un collega americano ha fatto gli auguri, suggerendo un titolo per il gruppetto di italiani: low probability tigers (tigri della bassa probabilità). È piaciuto. Lo studio delle opzioni è appena iniziato. L’analisi ha toccato l’esempio delle «Dune Buggy» a marchio italiano negli anni 70 del secolo scorso, poi fallito, per seguire l’idea di auto modulari costruite come kit basici poi rivestibili di molteplici carrozzerie, motorizzazioni e diverse aggiunte, il tutto entro un peso non eccessivo. L’intelligenza artificiale già disponibile rende possibili linee di produzioni robotizzate con grande varietà di configurazione. Bella l’idea di un collega di predisporre i sedili come esoscheletri che quando l’autista lo chiede si trasformano da sedile in strumento per portare carichi multipli, anche pesanti, e finito il lavoro esterno tornano ad essere sedile con funzioni super di sicurezza. Interessante anche l’idea dell’altro collega di derivare dai veicoli lunari capacità «tuttoterreno», con uscita di pannelli solari ripiegabili in caso di motorizzazione a batterie. E diffonderli in Africa e nei Paesi desertici costruendo sistemi locali di assemblaggio multivariato dei kit esportati dall’Italia. E con varianti per truppe speciali, polizia, ambulanze. Fatti a moduli componibili capaci di creare un «simil camion» modulare per trasporti massivi di persone o cose. Fattibile da una nuova industria? Sì. Ma di scala sufficiente per essere industria portante? No: bisogna pensare a veicoli di uso normale, pur speciali. Qualche idea è venuta, qui è troppo vaga per svelarla, ma la realizzazione richiede la collaborazione di grandi aziende di settore. Il partenariato strategico tra Italia e Giappone potrebbe essere esteso al settore dei veicoli? Il nuovo marchio automotive italiano potrebbe diventare start up anche statunitense, luogo migliore al mondo per mobilitare capitali di investimento, da quotare sia in Italia sia al Nasdaq? Come ombrello servirebbe un più forte accordo bilaterale tra Italia e Stati uniti, anche condizione per la produzione di nuovi veicoli militari super efficienti. Ed altro.Motoristica? C’è curiosità per gli e-fuel (idrogeno + carbonio) che la Germania ha imposto nella tassonomia verde dell’Ue: possono alimentare gli attuali motori a combustione riducendone le emissioni. Anche i biocarburanti di Eni suscitano il medesimo interesse. C’è anche per i motori a fuel cell (celle a combustibile) dove l’idrogeno combinato con l’ossigeno alimenta un motore elettrico. Batterie? Non tanto interesse per i pesi, il sistema di ricarica e l’affidabilità a meno che l’auto o camion vengano dotati di pannelli solari super efficienti. Pneumatici? Pirelli è azienda primaria nel mondo che certamente troverebbe quelli giusti per mezzi innovativi. Auto volanti? Cominciano ad esserci prototipi nel mondo che fanno intuire come predisporre un mezzo fatto di moduli per essere agganciato ad ali o eliche rotanti.In sintesi: da un lato resta bassa la probabilità di trovare il capitale di investimento in Italia per un marchio innovativo con grande scala nella mobilità, ma l’analisi preliminare mostra possibilità già esistenti per lanciare un’azienda innovativa a marchio italiano globalizzabile. Pensiamoci: giovani imprenditori, fondi di venture capital, università, aziende di componentistica, magici operai italiani specializzati? www.carlopelanda.com
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