2019-02-05
Mai con Maduro. Mattarella
questa volta ha ragione
Sergio Mattarella ha dato al governo un'indicazione condivisibile: il despota erede di Hugo Chavez incarna una delle ultime dittature comuniste al mondo, mentre il suo rivale promette di ridare parola al popolo. Fra tirannia e libere elezioni, il nostro Paese non può avere dubbi. So che questo articolo lascerà di stucco qualche lettore, perché per una volta sono d'accordo con Sergio Mattarella, cioè con un intervento a gamba tesa sulla politica estera del governo. Capita raramente che io condivida le parole del presidente della Repubblica, anche perché di solito sono ispirate dalla più pura conservazione dello status quo. Però questa volta no: il capo dello Stato fa un'eccezione e spinge per il cambiamento. Ovviamente non qui, in Italia, e nemmeno in Europa, di cui ogni sussurro è ascoltato dal Quirinale in religioso silenzio, manco fosse la bocca della verità. No, non è l'Ue a spingere Mattarella per il cambiamento e neppure l'attuale maggioranza, a cui credo che l'uomo del Colle sia totalmente allergico. Il presidente reclama una svolta in Sud America, anzi per la precisione in Venezuela. In pratica, nell'ora in cui il governo esita, non decidendosi a scegliere fra il compagno Maduro e il giovane Guaidò, ossia tra un dittatore che affama il proprio popolo e un autonominato sostituto, il capo dello Stato si schiera con quest'ultimo, invitando la maggioranza pentastellata a non barcamenarsi quando in ballo c'è la democrazia.In effetti, fra le cancellerie europee, quella italiana è rimasta la sola a non aver stabilito da che parte stare. Se cioè schierarsi al fianco dell'erede di Hugo Chavez, ovvero di un signore che ha fatto sprofondare il Venezuela in un baratro di povertà, dove la popolazione non ha più i soldi per comprarsi cibo e medicine. Oppure porsi al fianco dell'opposizione e del suo nascente leader, chiedendo che Maduro si faccia da parte il più presto possibile. Non ho dubbi circa la scelta che dovrebbe operare l'Italia. Essendo la nostra una democrazia liberale - o per lo meno, questo è ciò che mi piacerebbe che fosse - penso che non possa stare che dalla parte delle elezioni e della libera scelta popolare. Due cose che non possono certo essere rappresentate dall'uomo che, alla morte di Chavez, ha ricevuto in dono la guida del Venezuela.Il Paese era uno dei più ricchi del Sud America, prima che finisse nelle mani dell'ex militare che sognava la rivoluzione bolivariana. Già negli anni di Chavez l'economia cominciò a boccheggiare, ma il peggio è arrivato con il successore. L'inflazione è alle stelle e gli stipendi mensili equivalgono a pochi euro. Le materie prime scarseggiano e nonostante il Venezuela abbia giacimenti di petrolio la benzina non si trova. Non ci sono medicine e la carne costa una fortuna.La povertà è tale che le persone scappano, cercando di raggiungere gli Stati Uniti o per lo meno i Paesi confinanti. Però Maduro, che ha via via eliminato i suoi concorrenti, si è reso inamovibile, delegittimando il Parlamento e controllando, oltre all'informazione, l'esercito e la magistratura. Quella in atto a Caracas è di fatto una dittatura comunista, una delle poche che ancora resistono nel mondo nonostante il generale fallimento del comunismo.A far gettare la spugna all'erede di Chavez non sono bastate le manifestazioni di protesta, l'isolamento nel mondo e neppure il disastro economico. Ora sulla scena è spuntato un giovane ingegnere che un po' per caso si è ritrovato alla guida dell'Assemblea nazionale. Juan Guaidò si è autoproclamato presidente e gli Stati Uniti lo appoggiano, così come lo appoggiano molti Paesi europei. Gli unici che stanno dalla parte di Maduro, a questo punto, sono la Russia, la Cina, l'Iran, la Turchia e la Lega Araba che, diciamoci la verità, non rappresentano il fior fiore della democrazia. A difendere il dittatore comunista è in pratica il riservato circolo dei despoti mondiali, una comunità che non mette al primo posto il rispetto delle regole. Certo, Guaidò non è stato eletto con normali elezioni, bensì indicato dall'Assemblea nazionale. Ma tra uno che promette di fare le elezioni e restituire la parola al popolo e un altro che sta in carica mettendo in galera gli oppositori, limitando la libertà di stampa e usando l'esercito e la magistratura per far fuori gli avversari, la scelta non è neppure in discussione.Dunque non si capisce che cosa aspetti il governo del cambiamento a schierarsi con il cambiamento. In Venezuela, fra l'altro, vive quasi un milione di persone con origini e (qualche volta) il passaporto italiani. Difenderli dai danni provocati da un regime comunista dovrebbe perciò essere una priorità. Perfino Mattarella se n'è accorto. Con il quale, per una volta, ci tocca essere d'accordo: la democrazia non si discute.