2021-08-28
«La lista dei fuggitivi in mano ai talebani». Il presidente traballa
Uno scoop di «Politico» affossa Joe Biden, che crolla nei sondaggi. Contro di lui si scatena Donald Trump, ma anche lo stato maggiore dem.Sale a 200 morti e 200 feriti il bilancio del devastante attentato all'aeroporto di Kabul di giovedì. Sarebbe stato solo uno il kamikaze. Rientrato l'ultimo C-130 italiano. Roma prova a far muro contro la richiesta americana di riaprire il centro d'accoglienza in Sicilia.Lo speciale contiene due articoli.La crisi afgana continua ad agitare pesantemente le acque nel panorama politico statunitense. Joe Biden si trova infatti sempre più in difficoltà. E una recente rivelazione di Politico lo ha gettato ancora di più nell'imbarazzo. Secondo quanto riportato giovedì dalla testata, l'amministrazione americana avrebbe fornito ai talebani una lista delle persone che dovrebbero essere evacuate. La mossa, nelle intenzioni della Casa Bianca, avrebbe avuto come scopo quello di accelerare le operazioni di evacuazione. Una versione che non ha convinto tutti e che, secondo Politico, «ha suscitato indignazione dietro le quinte di parlamentari e funzionari militari». Da più parti si teme infatti che, consegnando ai talebani simili liste, possa essere messa a repentaglio la sicurezza dei soggetti in esse inclusi. Non sarà del resto un caso che, durante la conferenza stampa di giovedì, Biden si sia mantenuto estremamente vago sulla questione. «Non posso dirvi con certezza che in realtà ci sia stata una lista di nomi», ha dichiarato. Il problema degli elenchi rappresenta soltanto l'ultimo tassello di un caos che sta montando ogni giorno di più. L'imperizia con cui si sta gestendo l'evacuazione ha infatti notevolmente indebolito la posizione del presidente americano. E i sanguinosi attentati di giovedì hanno peggiorato la situazione. Tuttavia, al di là del boomerang politico, la faccenda delle liste potrebbe presentare anche un'ulteriore chiave di lettura. Non è infatti escludibile che i servizi segreti americani stiano cercando di instaurare dei canali sotterranei con il nuovo regime talebano o magari soltanto con alcuni suoi pezzi. Il che potrebbe garantire nel medio termine agli Stati Uniti la possibilità di creare indirettamente le condizioni per una destabilizzazione ai danni dei propri avversari: dall'Iran alla regione cinese dello Xinjiang. Non è del resto impensabile che potesse essere questo uno degli obiettivi dell'amministrazione Trump, quando a febbraio 2020 siglò l'accordo di Doha. Certo: non è dato sapere al momento se la questione delle liste rientri in questa (probabile) strategia dell'intelligence statunitense. Sbaglierebbe comunque chi pensasse che il ritiro statunitense - per quanto operativamente condotto in modo disastroso - implichi automaticamente un futuro disinteresse di Washington per le dinamiche afgane. Pechino non può in tal senso dormire sonni troppo tranquilli. Non bisogna d'altronde sottovalutare la natura composita (e doppiogiochista) dello schieramento talebano. A complicare la situazione ci si è poi messa la Turchia, che ha tenuto ieri i suoi primi colloqui con i «barbuti». Nel frattempo, Biden continua a navigare tra i marosi della politica interna. I repubblicani sono su tutte le furie, a partire dall'ex presidente Donald Trump, che giovedì ha tuonato: «Sembriamo degli sciocchi in tutto il mondo. Siamo deboli. Siamo patetici. Siamo guidati da persone che non hanno idea di cosa stanno facendo». Tutto questo, mentre sta aumentando il numero di esponenti dell'Elefantino che invoca un'uscita di scena del presidente. Il senatore Josh Hawley ne ha chiesto le dimissioni, mentre il suo collega Lindsey Graham ha proposto un processo di impeachment. Altri, come il senatore Rick Scott, hanno ventilato l'ipotesi di una destituzione tramite il venticinquesimo emendamento. Inoltre, lo stesso Graham, insieme al deputato Mike Waltz, ha chiesto ieri «all'amministrazione Biden di riconoscere che la Costituzione afgana è ancora intatta e che la presa di potere dei talebani afgani è illegale». Una richiesta che punta a mettere il presidente americano con le spalle al muro. Ma l'irritazione sta crescendo anche in seno al Partito democratico. L'altro ieri, l'influente presidente della Commissione esteri del Senato, Bob Menendez, ha dichiarato: «Una cosa è chiara: non possiamo fidarci dei talebani per la sicurezza degli americani». «Questa è una crisi umanitaria a tutti gli effetti e il personale del governo degli Stati Uniti, che già lavora in circostanze estreme, deve mettere in sicurezza l'aeroporto e completare la massiccia evacuazione dei cittadini americani e degli afghani vulnerabili», ha aggiunto. Una dichiarazione che è stata interpretata come una (neppur troppo velata) critica all'operato del presidente. Un presidente che, per inciso, continua a crollare nei sondaggi. In particolare, secondo una rilevazione Ipsos/Reuters pubblicata ieri, l'inquilino della Casa Bianca avrebbe perso ben sei punti percentuali rispetto a giugno tra gli elettori indipendenti. Il campanello d'allarme è quindi sempre più preoccupante non solo in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo anno, ma anche guardando al 2024. E intanto l'ombra di Jimmy Carter , che si giocò la rielezione nel 1980 anche a causa della crisi degli ostaggi in Iran, continua ad allungarsi sul canuto capo di Biden.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lista-fuggitiv-talebani-presidente-traballa-2654817072.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="profughi-al-cara-di-mineo-pressing-degli-usa" data-post-id="2654817072" data-published-at="1630098881" data-use-pagination="False"> Profughi al Cara di Mineo: pressing degli Usa «Non crediamo ci sia stata una seconda esplosione al Baron Hotel o nelle sue vicinanze. Si è trattato di un solo attentatore suicida», ha detto detto ieri il maggior generale William Taylor, numero due dello Stato maggiore congiunto americano, nel consueto incontro con la stampa analizzando l'attacco di giovedì all'aeroporto di Kabul, in Afghanistan, e commentando i rapporti che parlavano di due attentati. Alcune delle espulsioni registrate nella Capitale afgana erano legate alle ultime operazioni dei militari statunitensi che hanno proceduto alla distruzione di alcuni equipaggiamenti per non farli cadere nelle mani dei talebani o dei terroristi, come confermato dal Pentagono. Intanto, il bilancio dell'attacco nella zona dell'Abbey Gate, dove in quel momento erano ammassate almeno 5.000 persone in attesa di conoscere il proprio destino, è salito ad almeno 200 morti e altrettanti feriti. Tra le vittime anche 13 soldati americani e due cittadini del Regno Unito, oltre a bambino con cittadinanza britannica. Nonostante l'attentato di giovedì e i paletti posti nei giorni precedenti dai talebani a chi sta cercando di scappare dall'Emirato islamico dell'Afghanistan, centinaia di persone ieri erano di nuovo in attesa fuori dallo scalo, nella speranza di trovare un posto su uno degli aerei militari occidentali. Secondo l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'esodo dall'Afghanistan sarà di mezzo milione di persone entro la fine di quest'anno. E in Italia, dove continuano ad arrivare i profughi nelle basi militari statunitensi anche in Sicilia, qualcuno è tornato a guardare in direzione Mineo, all'ex Cara che chiuse i battenti su ordine di Matteo Salvini. Washington sarebbe in forte pressing, qualcuno pregusta il business ma i muri politici saranno difficile da abbattere. Di certo c'è soltanto che a questo punto si allontana l'idea di fare dell'ex centro di accoglienza per richiedenti asilo un cyberparco da valorizzare all'interno della neonata Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Mancano soltanto quattro giorni alla scadenza, ribadita nuovamente e con forza ieri da Washington, del 31 agosto per il ritiro delle truppe degli Stati Uniti e dei Paesi alleati. Ma l'allerta terrorismo non si è abbassata. Neppure dopo l'attentato di giovedì. John Kirby, portavoce del Pentagono, ieri ha dichiarato che il dipartimento della Difesa crede «ancora che ci siano minacce specifiche e credibili» e che vuole «assicurarsi di essere preparato» all'eventualità. Ci sono «chiaramente migliaia» di (ormai ex) prigionieri dello Stato islamico del Khorasan che sono stati liberati dai talebani quando preso dalle forze governative il controllo delle prigioni afgane, ha spiegato Kirby. Potrebbero rappresentare loro la minaccia per gli Stati Uniti e i loro alleati ancora sul campo da qui al 31 agosto prossimo. Il timore di altri attacchi terroristici da parte dello Stato islamico del Khorasan, con autobombe e razzi contro l'aeroporto di Kabul, è sul tavolo del presidente Joe Biden, contenuto nel consueto briefing di intelligence ricevuto ieri mattina. Le informazioni in possesso dell'intelligence americana, ha spiegato, vengono condivise con le milizie talebane che sorvegliano i check point in città. Parole che hanno suscitato la dura reazione di condanna di Mitch McConnell, leader della minoranza repubblicana alla Camera: «Perché mai dovremmo dipendere dai talebani? Perché dovremmo negoziare con i talebani?». «Chiaramente, qualcosa è andato storto» giovedì nella sicurezza, ha spiegato ancora Kirby, sottolineando che la Difesa americana «farà i rilievi» per capire come sia stato possibile che la sicurezza «sia venuta meno» lasciando strada libera allo Stato islamico. Un falla nella sicurezza talebana? Possibile per gli Stati Uniti. Ma qui la versione Usa si scontra con quella degli «studenti coranici», il cui portavoce, Zabihullah Mujahid, ieri ha sostenuto che l'attentato «è avvenuto in un'area controllata dalle forze statunitensi». Inoltre, ha negato il bilancio diramato dall'agenzia Reuters secondo cui almeno 28 membri del gruppo sarebbero rimasti uccisi. Non abbiamo subito perdite, ha spiegato Mujahid alla Bbc. Dalle 18.35 italiane di ieri sera, dopo un impegno ventennale che ha visto anche 54 caduti, non ci sono più militari italiani in Afghanistan. Con l'ultimo C-130 sono partiti anche gli uomini della Joint evacuation task force, che dal 13 agosto scorso ha gestito sul campo le operazioni di evacuazione mettendo in salvo, con l'operazione Aquila Omnia, 5.011 persone di cui 4.890 cittadini afgani, tra di loro 1.301 donne e 1.453 bambini. Alle 15, invece, era partito il volo per riportare in Italia, oltre ai civili afgani, anche il console Tommaso Claudi, l'ambasciatore Stefano Pontecorvo, Alto rappresentante civile della Nato in Afghanistan, e i carabinieri del Tuscania. Chi è intenzionato a sfruttare ogni secondo sono gli Stati Uniti, che hanno le capacità di continuare le operazioni di evacuazione «sino all'ultimo momento», ha spiegato il Pentagono. Sono 5.400 le persone che attendono all'aeroporto di Kabul di essere evacuate, ha detto il generale Taylor.