2019-05-24
Chi è in attesa di espulsione va rinchiuso o spedito su un’isola
Ci sono criminali che girano indisturbati per l'Italia con il decreto di espulsione in tasca. Andrebbero almeno rinchiusi nei centri per il rimpatrio o resi innocui. Per evitare la litania del «non doveva essere qui».L'ultimo caso a Milano. Viene fermato un immigrato. Sta rapinando una donna. La minaccia con una bottiglia di vetro rotta. «Dammi la borsa o ti ammazzo», urla. Lo portano in Questura e risulta che si tratta di Ousman Dampha, gambiano di 26 anni, con un curriculum da clandestino criminale di tutto rispetto. Intanto è uno scafista. E non uno scafista qualunque: è arrivato in Italia il 23 ottobre 2016 guidando un gommone con a bordo 190 persone e tre cadaveri (tre persone morte per asfissia durante il viaggio). Ma se pensate che in Italia presentarsi con un biglietto da visita del genere basti per finire in cella o per essere rispediti subito dove si è partiti, vi sbagliate. Lo scafista assassino, infatti, è rimasto libero e bello (si fa per dire) di girare impunemente per il nostro Paese dei cachi (e dei macachi). Così il 23 agosto 2017 è stato colto sul fatto mentre rubava in una casa a Caltagirone; il 28 febbraio 2018 è stato colto sul fatto mentre spacciava droga a Catania; poi si è beccato altre due denunce e un decreto di espulsione; ha fatto una capatina a Potenza, giusto il tempo di farsi pagare per qualche giorno vitto e alloggio dagli italiani; e quindi è salito a Milano dove ha potuto continuare la sua attività di arricchimento culturale ed economico del Paese (vedi alla voce: risorse) derubando e minacciando le donne alla Stazione Centrale. Del resto non vi dicono sempre che gli immigrati servono per pagarci le pensioni? Ousman si stava dando da fare, a modo suo… La vera domanda, però, è un'altra. La vera domanda è perché un soggetto simile abbia potuto girare indisturbato per il Paese per quasi tre anni. E se potrà continuare anche a farlo, magari fino a quando ucciderà qualcuno. Allora noi ci stupiremo dicendo: «Ma non doveva essere qui!». Purtroppo, ormai, è un triste rito. L'altro giorno a Mirandola un immigrato clandestino, con precedenti di vario genere e un decreto di espulsione in tasca, ha dato fuoco alla stazione locale dei vigili urbani, uccidendo due donne che dormivano nell'appartamento al piano superiore e intossicando altre 18 persone. Non doveva essere qui. Pochi giorni prima a Roma un immigrato clandestino, un rom serbo con precedenti di vario genere e un decreto di espulsione in tasca dal 2017, ha massacrato una donna di 89 anni, spaccandole la testa, dopo averla rapinata in casa. Non doveva essere qui. E non doveva essere qui nemmeno il marocchino ubriaco e drogato che a inizio marzo a Porto Recanati ha travolto e ucciso una famigliola che tornava dalla festa di Carnevale. Non doveva essere qui il tunisino che a Terni qualche anno fa uccise il giovane David Raggi senza alcuna ragione. Non doveva essere qui il senegalese che, ancora qualche tempo prima, stuprò e uccise la diciannovenne Ilaria nei dintorni di Livorno… Come si ferma la triste catena di morte e lutti che ormai va avanti da troppo tempo? È evidente che il meccanismo del foglio di via consegnato al clandestino non serve a nulla, perché esso diventa immediatamente carta per coriandoli. Il decreto sicurezza ha ovviato a uno dei problemi: quello di non poter espellere chi chiede asilo. Fino all'altro giorno era così: anche il peggior criminale, se aveva fatto richiesta d'asilo, doveva rimanerci sul groppone, in attesa della decisione finale della commissione (più eventuali ricorsi in tribunale e lungaggini varie). Ora, grazie al decreto sicurezza, lo si può espellere. Ma è evidente a tutti che le pratiche di espulsione, per quanto accelerate, sono ancora troppo lente. Sporadiche. Insufficienti. Non possono bastare, cioè, a evitare che gli Ousman di turno girino impuniti per le strade, magari con complicità inaspettate (sempre ieri a Napoli sono state arrestate sette persone, tra cui un poliziotto in servizio alla Questura e uno in pensione, che favorivano l'immigrazione clandestina). E dunque? Dunque c'è solo una soluzione: incrementare i Cpr, i centri per il rimpatrio (gli ex Cie). Oggi ce ne sono solo 7, di cui uno, quello di Roma Ponte Galeria, ha appena raddoppiato la sua capienza. Gli altri sono a Bari, Brindisi, Torino, Potenza, Caltanissetta e Trapani. Totale 778 posti. Il Viminale ha appena annunciato che presto ne saranno aggiunti altri quattro Gradisca d'Isonzo (Gorizia), Milano, Modena, Macomer (Nuoro) per altri 392 posti. Ancora pochi. Il programma di governo ne prevede almeno 20, uno per Regione. Sono il minimo. Ci vogliono. E subito. E nonostante le proteste di chi li definisce «lager». Certo: i Cpr, come gli ex Cie, non sono hotel a cinque stelle. Non si entra e si esce liberamente. Non sono luoghi di ritrovo per organizzare bivacchi in città, come sono invece i centri di accoglienza (Cas). In questi ultimi infatti ci stanno i richiedenti asilo, cioè quelli che stanno aspettando di sapere se hanno diritto o no di rimanere nel nostro Paese. Nei Cpr invece ci va chi già sa che nel nostro Paese non ci può stare. Sono gli irregolari. I clandestini. Quelli insomma che, se fossero già firmati gli accordi con gli altri Paesi, sarebbero immediatamente caricati su un aereo e spediti a casa loro. In attesa di farlo, evitiamo che girino impuniti per le città a incendiare gli uffici dei vigili urbani o a spaccare la testa alle novantenni. Rinchiudiamoli. Porte e finestre sbarrate. Polizia a controllare. Se serve pure un po' di filo spinato. Magari c'è qualche anima bella che verrà disturbato, lo capisco. Ma a me disturba di più vedere le nonnine che muoiono asfissiate nel loro letto o aggredite mentre vanno a fare la spesa. Pensate un po' come sono strano. Conosco l'altra obiezione: le Regioni non vogliono i centri, i Comuni si oppongono. Lo capisco. Ma intanto i Cpr, come dicevamo, non sono i maxicentri d'accoglienza di alfaniana memoria. La gente non entra e non esce. Sta chiusa dentro. Il disagio per la popolazione è infinitamente minore, praticamente non esiste. Si possono trovare caserme o altri edifici pubblici, magari un po' isolati, o comunque non vicini a scuole e oratori, che possono essere subito adattati allo scopo. E se non si trovano, beh, c'è sempre un'altra soluzione: le isole. In Italia ne abbiamo tante. Molte disabitate. Carichiamo i clandestini che compiono un reato e li trasferiamo tutti lì. Deportazione? Non diciamo scemenze. L'Australia lo fa da un pezzo. La civilissima Danimarca lo farà dal 2021. Perché noi no? Così, mentre si aspettano gli accordi internazionali e i conseguenti rimpatri, magari la smetteremo di raccontare storie di persone uccise da chi non doveva essere qui.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)