2019-10-06
«L’involuzione di Saviano, da Pasolini a sciatto»
Il critico letterario già vincitore dello Strega Walter Siti: «Ha svilito la letteratura, confinandola ai compiti o di denuncia o di intrattenimento. Voleva diventare Pasolini, ma il suo punto debole è la scrittura, con frasi fatte e senza alcuno stile. E si sente investito di una missione».Walter Siti, saggista-scrittore di chiara fama, ha osato l'inosabile. Tornando a vestire i panni del critico letterario, ha compiuto un'analisi serrata del Roberto Saviano scrittore per la rivista L'Età del Ferro diretta dallo stesso Siti, Giorgio Manacorda e Alfonso Berardinelli: «L'ho mandata a Saviano in visione a fine giugno, chiedendogli se volesse scrivere una replica da pubblicare contestualmente. Non mi ha mai risposto». Titolo del saggio (che riecheggia quello dell'ultimo, incompiuto romanzo di Truman Capote): «Preghiere esaudite. Saviano e l'abdicazione della letteratura». Incipit fulminante, Siti: «Difendere la letteratura non è meno importante che difendere i migranti». «Ammiro il coraggio civile di Saviano, la sua dignità nel vivere un'esistenza blindata, e trovo assurde e moralmente sgradevoli le accuse di aver fatto i soldi denigrando le sue radici, di essere un plagiario che fa il moralista sputando sentenze da un attico di Manhattan - che in realtà è un appartamento a Brooklyn -, e via così. Per questo mi sono posto il problema: i miei rilievi non saranno strumentalizzati dai suoi detrattori e odiatori?». Per dirla come negli anni Settanta: «Non faranno oggettivamente il gioco della destra?». «Ha vinto una paura più grande: quella di vedere se non declassati, almeno falsati, sostanza e compito della letteratura, almeno per come la intendo io. Un modo di sondare il mistero e l'ambiguità del reale non surrogabile da altri tipi di conoscenza». Cosa c'entra in questo Saviano?«Per la sua autorevolezza, se lui stigmatizza la “pura letteratura" perché non gli interessa “la letteratura come vizio"; se lui prende le distanze dai letterati che si accontentano di “fare un buon libro", alla ricerca “del bello stile", bollandoli come “codardi" - perché dal suo punto di vista non abbastanza (o per nulla) impegnati - a mio avviso contribuisce a dare un'immagine distorta della letteratura. E per l'eterogenesi dei fini Saviano rischia così di diventare, inconsapevolmente ma di fatto, complice del Potere che lui intende combattere».In che modo?«Il potere punta alla regressione culturale, all'infantilizzazione attraverso schemi basic: bianco/nero, noi/loro, giusto/sbagliato. Niente zone grigie, zero sfumature, la complessità del reale ridotta a gioco delle parti come in un reality televisivo. Il potere postula semplificazioni e svuotamento dei cervelli. Così in Saviano la visione manichea lo porta a declinare lo scrivere come categoria bellica, come arma: siamo in guerra, “alla camorra", “alla cocaina", “per i migranti", e non a caso la collana che adesso dirigerà per Bompiani si chiamerà “Munizioni", con opere di giornalisti e scrittori che, come lui, si sono trovati in una situazione di emergenza e pericolo a causa del loro impegno. Come a dire: la letteratura emerge e ha dignità solo passando per situazioni estreme. Ma erano per caso borderline l'impiegato Frank Kafka, la zitella Jane Austen, il Marcel Proust che viveva di rendita? Intendiamoci: i libri “in guerra" è importante e giusto che ci siano, ma mi ribello alla concezione per cui la letteratura sia solo quello, oppure non sia».Si oppone al tertium non datur: o la scrittura è stare sulle barricate, occupandosi dei mali del mondo, oppure è contemplazione del proprio ombelico. «So di fare la figura un po' patetica del letterato vecchio stampo, l'ho scritto in chiusura del saggio, ma avverto un clima culturale che tende a immiserire la letteratura, confinandola ai compiti o di denuncia o di intrattenimento. Mi sono chiesto come, in Saviano che stimo, quello svilimento fosse avvenuto». Saviano ostaggio di sé stesso, prigioniero del proprio personaggio oracolare. Un articolo che le sarà costato fatica.«Ho impiegato un mese, ho ripreso in mano e riletto - in ordine cronologico - tutti i suoi scritti, ho rivisto la serie tv Gomorra e il film La Paranza dei Bambini. E mi sono convinto di un fatto: più Saviano ha acquisito “presenza" (televisiva, mediatica, scenica), e più la letteratura è rimpicciolita dentro di lui».Un'involuzione?«Prima di Gomorra e con Gomorra, l'energia di Saviano è legata al coinvolgimento autobiografico. Lui è lì a “testimoniare" con tutto sé stesso, anche carnalmente: corpo, sangue, fegato, budella, perfino erezioni. Lo stile cerca di adeguarsi alla passione civile, con metafore estreme nello sprezzo del ridicolo, per cui un porto è “un ano di mare che si allarga con grande dolore degli sfinteri" eccetera. E poi le scene madri, icastiche, come i cinesi congelati che cadono dai container, eco della lezione di Curzio Malaparte».Le teste congelate dei cavalli che emergono dalle acque ghiacciate del lago Ladoga in Kaputt. «A un certo punto, evoca il Pier Paolo Pasolini del: “Io so ma non ho le prove", volgendolo in attivo: “Io so e ho le prove"».Un'appropriazione che lei, curatore dell'opera omnia di Pasolini per I Meridiani della Mondadori, come ha valutato?«C'è un elemento che fa la differenza: Pasolini era un poeta, Saviano no. Pasolini, sull'impotenza della parola di fronte alla complessità, alla densità, all'enormità della vita, ci ha penato per anni, era un'autoanalisi permanente, ogni 4-5 anni abiurava quello che aveva fatto, attraverso una continua dolorosa sperimentazione formale. Per Saviano sembra che basti ridurre la forma ai minimi termini».Dopo Gomorra che accade?«Ha sfidato i clan a casa loro, si ritrova minacciato di morte e sotto scorta. Lui, che aveva affidato la scrittura al corpo, al movimento, all'“essere lì", avendo perso tale libertà estremizza il suo orizzonte mentale in senso manicheo. Non esistono che fan o odiatori. Nella sua prospettiva bellica, aveva auspicato che la sua vita diventasse “un campo di battaglia", ed eccolo accontentato. Come nell'aforisma, che Saviano ricorda, convenzionalmente attribuito a santa Teresa d'Avila e usato da Capote: “Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte".Tra Gomorra e ZeroZeroZero del 2013 passano sette anni, in mezzo Saviano compare tanto in tv.«Che gli fa vivere l'ebbrezza euforica del proprio potere comunicativo: fa monologhi con ottimi risultati da Fabio Fazio (ma quelli su Nove cinque anni dopo risulteranno più spenti, riproposizione di un cliché oratorio) ma tanto più è limitato nei movimenti, tanto più si sente investito di una missione, un aedo popolare contro la criminalità».Un eroe solitario, in una dimensione superomistica, per dirla con Nietzsche che Saviano cita, peraltro senza nominarlo, in chiusura di ZeroZeroZero.«Sono di gran lunga le pagine più belle del libro, il massimo dell'introspezione cui Saviano sia mai arrivato: “Ho guardato nell'abisso e sono diventato un mostro, ora è l'abisso che vuole guardare dentro di me". La fascinazione per il Male. Mi parve così potente, questa confessione, che mentre dirigevo la rivista letteraria Granta gli proposi di scrivere un contributo per il numero monografico sul Male, ma alla fine non riuscì a trovare tempo e modo di dare forma a quel suo tormento interiore».Perché dice «le pagine più belle» del libro?«Perché sono autentiche. Il resto, volendo lui creare un'epica del narcotraffico e dei suoi eroi negativi, è tutto di seconda mano, de relato, riassunto e divulgazione. Messico o Colombia ridotti a stereotipi ambientali, una sciatteria stilistica, con frasi fatte da giornalismo svogliato, “la punta dell'iceberg", “il tallone d'Achille", fino alle fantozziane “feste megagalattiche".Come il Manuel Fantoni di Borotalco di Carlo Verdone: «Un bel giorno, senza dire niente a nessuno, m'imbarcai su un cargo battente bandiera siberiana». «Si cerca di rimediare alla sciatteria enfatizzando la violenza con scene splatter, l'espressionismo impoverito delle metafore (“un parco immenso violentato da una strada a quattro corsie"), l'esotismo da feuilleton, “un giaguaro ferito nella giungla colombiana", puro Emilio Salgari». Arriviamo a La paranza dei bambini.«Primo vero romanzo-romanzo, il cui modello sottotraccia è quello dei “ragazzi di vita" di Pasolini. Ma il punto debole è, ancora di più, la scrittura. C'è il sentimentalismo alla Federico Moccia (“senza la sua dolcezza si sentiva vuoto"), un lessico alla Enzo Miccio (“optò per una camicia blu navy") con una noncuranza per la forma, da lui evidentemente assimilata all'estetismo fatuo. Usa tutti gli stili, giustapposti in maniera inerte, quindi non ne ha nessuno. Come nel sequel Bacio feroce, in cui si avverte ancora di più la stanchezza dell'ispirazione, le sorprese - quando ci sono - sono solo nella trama, mai nelle psicologie, puro manierismo savianesco».Siti, torno alla domanda iniziale: chi gliel'ha fatto fare di immergersi in questa puntuta esegesi, da cui Saviano non esce bene, che le procurerà molte critiche?«Per amore della letteratura. Parafrasando Nietzsche, “se vuoi essere san Giorgio, combatti draghi, non lucertole". Per il credito di cui gode Saviano, meritato anche per la vita sacrificata che conduce, devi confutare lui e la sua visione, non certo i suoi epigoni. È ovvio che molte cose pubblicate sono molto peggio della peggior opera di Saviano. Ma la letteratura, perfino in nome dell'impegno, non può rinunciare al suo scopo di far emergere quello che non si sa ancora, non può prestarsi a far da altoparlante a quel che già si crede giusto. Il suo maggiore obiettivo non è la testimonianza ma l'avventura conoscitiva. Tra l'affrontare i suoi demoni privati, con cui combatte per via della vita che è costretto a vivere, e il pensarsi letterariamente come eroe, ha scelto questa seconda strada. Ma lo scrittore Saviano si è perso nella prima».
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)