2018-07-31
L’intesa in Aula sulle tasse è la nuova prova che il Nazareno non muore
L'azzurra Mara Carfagna e il renziano Graziano Delrio fanno prove di intesa durante la discussione del dl Dignità. Malumori nella Lega.Cova sotto la cenere il patto del Nazareno tra Partito democratico e Forza Italia. Se un tempo le intese erano tra l'ex premier Matteo Renzi e il leader di Forza Silvio Berlusconi a livello di governo, ora la scenografia dei nuovi accordi è il Parlamento. Lo hanno visto con i propri occhi gli esponenti della Lega e dei 5 stelle durante i lavori parlamentari sul decreto Dignità proposto e portato avanti dal ministro per lo Sviluppo economico Luigi Di Maio. In una lettera del 24 luglio scorso, che La Verità ha potuto leggere, infatti, il presidente della Camera Roberto Fico ha dato conto di come a contestare alcuni emendamenti presentati dai leghisti Alberto Gusmeroli e Elena Murelli siano stati il vicepresidente della Camera azzurro Mara Carfagna insieme all'ex ministro dei Trasporti dem Graziano Delrio. In pratica, l'asse azzurri-democratici ha contestato l'ammissibilità di alcuni emendamenti fiscali, bocciandoli in toto. Una mossa tecnica che non si è allargata sulle tematiche del lavoro ma è bastata agli attori per prendere le misure. E Fico non ha potuto fare altro che ricordare il regolamento del 1997, all'epoca c'era Luciano Violante presidente, valutando le proposte «emendative del tutto estranee al decreto legge ed alla relativa problematica». È solo uno degli ultimi esempi di intesa tra i due partiti di opposizione, un'alleanza che si era già manifestata per l'elezione del presidente della Vigilanza Rai, Alberto Barachini, ex giornalista Mediaset, come di quella per il Copasir, con la nomina di Lorenzo Guerini sulla poltrona più importante di palazzo San Macuto. Sul decreto Dignità però l'intesa si è fatta sentire, creando non pochi malumori soprattutto dentro la Lega che con gli azzurri governa in tante amministrazioni comunali e soprattutto in tre regioni chiave nel Nord: Lombardia, Veneto e Liguria. Domani ci sarà la prova del nove. È prevista la votazione per la nomina di Marcello Foa come presidente della Rai. Servono i due terzi dei voti nella commissione di Vigilanza. Forza Italia è ago della bilancia. E da almeno tre giorni sono in corso trattative tra leghisti e azzurri per dipanare la matassa. Ancora ieri, a fine serata, non era chiaro quale sarebbe stata l'indicazione di voto, dopo che lo stesso Berlusconi avrebbe dato indicazione ai suoi di votare per il no. Concetto, quest'ultimo, che è stato ribadito ieri dallo stesso Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia («Non potremo votare il candidato a presidente Rai indicato dal governo. Avremmo voluto che si fosse seguito un metodo diverso»). Ma c'è un problema più profondo che arriva sin dentro le mura di Arcore e di palazzo Grazioli. Gli azzurri sono più che mai spaccati, nonostante le smentite di rito, tra il trio Licia Ronzulli, Niccolò Ghedini e Giovanni Toti contro i fedelissimi dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. A quanto trapela in Parlamento, infatti, i tre considerati più vicini al vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini aveva già concordato il voto a favore per l'ex giornalista del Giornale alla presidenza di viale Mazzini. Poi la questione è esplosa per le solite differenze di vedute che continuano ormai da mesi, sin da quando Salvini ha iniziato a dialogare con Di Maio per la formazione del governo gialloblù. Chi invece ha deciso di votare a favore di Foa è il leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni. «Il Pd ha parlato di lottizzazione sulla Rai, dopo quello che ha fatto Renzi. È veramente ridicolo. Tacciano. Diciamo che il loro comportamento ci ha convinto a votare Marcello Foa presidente della Rai. Non ho condiviso», ha spiegato, «il metodo sulla scelta di Foa, c'entra poco con il cambiamento. Ma essere sovranisti in Italia non è reato». E quindi cosa voterà Forza Italia? A quanto pare sia che l'ex allievo di Montanelli passi o non passi, le alleanze locali tra Berlusconi e Salvini non dovrebbero essere messe in discussione. Certo, ieri in Regione Lombardia qualcuno è rimasto sorpreso dalle nomine in Ferrovie dello Stato dove la Lega non è riuscita a piazzare neppure un presidente come Giuseppe Bonomi, una figura che di certo non spiace neppure ai forzisti. Tanto che gli stravolgimenti interni alle partecipate lombarde, tra cui in particolare Trenord, sono stati fermati. Ma se gli accordi tra Forza Italia e Pd dovessero continuare forse qualche contraccolpo anche al Pirellone potrebbe arrivare.
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