
Il sociologo: «L'Ue potrebbe accettare uno choc fiscale limitato alle aziende. Quello per le famiglie costa troppo anche se assicura più consenso. Il salario minimo? Con il nostro livello di produttività è una misura sciocca».Luca Ricolfi, sociologo, insegna analisi dei dati all'Università di Torino. È presidente e responsabile scientifico della fondazione David Hume (www.fondazionehume.it). Prossimamente sarà in libreria (edizioni La Nave di Teseo) il suo nuovo libro, La società signorile di massa.Professore, il quadro economico italiano è attraversato da luci e ombre. Cominciamo dalle luci. La prima. Non c'è stata la procedura d'infrazione Ue, che molti osservatori davano per scontata. Per inciso, in tutti i Paesi il confronto politico è assai aspro, ma nessuno si appella all'Ue contro i propri avversari interni. Non sarebbe il caso di porre fine a questa tendenza tutta italiana?«Sì, usare l'Ue per combattere l'avversario interno è una pratica alquanto barbara. Però anche votare contro i candidati italiani alle cariche istituzionali, come ha fatto la Lega con il neopresidente del Parlamento europeo, David Sassoli, non è un comportamento lodevole».Seconda luce. Le aste dei titoli italiani continuano ad andare bene. Domanda largamente superiore all'offerta e rendimenti in discesa. Dunque i mercati ci danno ancora fiducia. Ci incoraggiano a una manovra pro crescita?«No, i mercati non hanno idee e sentimenti, meno che mai una linea di politica economica. È solo per metafora che è possibile attribuire a essi giudizi e intenzioni. Nella fattispecie, quel che è successo è semplicemente che i tassi sono scesi ovunque, e quindi anche in Italia. Per inciso, in Italia sono scesi meno di quanto suggerirebbero i fondamentali del Paese, almeno secondo le stime della fondazione David Hume che monitora trimestralmente lo stato di salute dei conti pubblici di 44 economie avanzate o relativamente avanzate. Ma da qui non deriva che i mercati reagirebbero bene a una politica espansiva, molto dipende da quale politica, ovvero se orientata a spingere la crescita o a distribuire benefici fiscali alle famiglie».Terzo fattore positivo. Il mercato del lavoro consegna segnali positivi: disoccupazione ai livelli più bassi dal 2012, occupazione in salita nell'ultimo anno, più contratti a tempo indeterminato.«La crescita dell'occupazione è indubbiamente un segnale positivo, se lo analizziamo in chiave sindacale, anche se bisogna ricordare che la tenuta dell'occupazione è anche il frutto dell'aumento della cassa integrazione. In chiave macroeconomica, invece, il segnale è pessimo: con un Pil stagnante, più occupazione significa riduzione della produttività del lavoro, ossia aggravamento del più importante problema economico dell'Italia. Siamo l'unico Paese del mondo sviluppato in cui la produttività è ferma da 20 anni, ma nessuno pare preoccuparsene. Eppure è lei la madre di tutti i nostri guai…».Veniamo alle ombre: la crescita non c'è, Pil fermo nel secondo trimestre e probabilmente per tutto il 2019. Siamo una macchina con il motore spento. Questo dovrebbe farci pensare che è davvero il momento di uno choc fiscale, tagliando le tasse a imprese e lavoratori.«Sì, uno choc fiscale farebbe bene all'economia (anche se le tasse non sono il freno principale allo sviluppo), ma se devo basarmi sui miei studi (ho pubblicato pochi anni fa un libro sulle determinanti della crescita: L'enigma della crescita, Mondadori 2014), devo aggiungere due osservazioni. La prima è che un fattore ancora più importante, nel caso italiano, è l'eccesso di adempimenti (nonché la lentezza della giustizia civile), un fattore la cui rimozione costerebbe pochissimo. La seconda è che, almeno secondo i miei studi, l'unico tipo di tasse che esercitano un effetto negativo e statisticamente inoppugnabile sul tasso di crescita sono quelle sulle imprese (Ires e Irap, in Italia). Le tasse sulle famiglie e i contributi sociali contano molto di meno, e soprattutto costano molto di più: una riduzione avvertibile dell'Irpef o delle aliquote Inps costerebbe tantissimo, e metterebbe a repentaglio i conti pubblici. Insomma, la mia idea è che togliere 10 o 15 miliardi di tasse alle imprese si può fare, è utile, e alla fine digeribile anche per l'Europa, ma aggiungere a questo taglio una riduzione significativa dell'Irpef e dei contributi sociali sia impossibile senza scardinare i conti pubblici e risvegliare i mercati finanziari».Il tema del taglio di tasse è quello su cui tutte le formule politiche degli ultimi 20 anni si sono arenate. Stavolta Matteo Salvini può provare a far tesoro della sua forza elettorale per tentare davvero?«Penso che Salvini tenterà, ma dato che - come tutti i suoi predecessori - ha in mente un taglio orientato più al consenso che alla crescita (le famiglie sono molto più numerose delle imprese!), andrà a cozzare contro il muro europeo. L'Europa si metterà di traverso, ma non perché sia contraria alla riduzione dell'Irpef, ma perché ridurre Ires, Irap, Irpef (e magari anche il costo del lavoro) aprirebbe una voragine nei conti pubblici».Non è paradossale che, davanti a un obiettivo così desiderabile come un robusto choc fiscale, il governo non sia compatto? I 5 stelle sono i primi a sollevare obiezioni.«Il destino dei 5 stelle è il gregarismo. Erano anche loro per quota 100, ma l'hanno lasciata alla Lega. Erano anche loro per la riduzione delle tasse alle piccole imprese, ma si rendono conto che Salvini finirebbe per intestarsi anche quella. Ai 5 stelle le uniche cose che potrebbero andar bene sono quelle che Salvini non si intesterebbe mai».Ad esempio? «Ad esempio il salario minimo europeo a 9 euro l'ora, una cosa del tutto sciocca in un Paese che ha la produttività del lavoro dell'Italia, ma che - ove passasse - non avrebbero difficoltà a intestarsi».E anche le opposizioni e molti osservatori, anziché incalzare il governo a tagliare le tasse, elencano solo le ragioni per non deciderlo. Non sarebbe meglio impostare la discussione sul «farlo» (precisando «come») anziché sul «non farlo»?«Perfettamente d'accordo, ma distinguerei fra le tre opposizioni, ossia Pd, Forza Italia, Fratelli d'Italia. La posizione del Pd è ideologica e pregiudiziale, favorita dalla potenziale iniquità di un'aliquota unica. La posizione di Forza Italia è ragionevole, molto più ragionevole di quella di Salvini: l'aliquota di equilibrio è al 23%, e le coperture vanno trovate, non si può fare tutto o quasi tutto in deficit. La posizione di Fratelli d'Italia è la più interessante, perché realistica e non priva di efficacia: flat tax non sui redditi, ma su tutti gli incrementi di reddito».Lei pensa che su questo si possa immaginare un confronto serio con l'Ue? In fondo, tutta l'Ue si è fermata: la stessa Germania ha dimezzato le sue previsioni di crescita quest'anno. Non varrebbe la pena di mettere in campo misure espansive?«Sì, misure europee espansive sono forse auspicabili, ma chi è a favore delle misure espansive dovrebbe rispondere alla domanda fondamentale: espansive in che senso? Perché un conto è un piano di investimenti pubblici destinati ad aumentare la capacità produttiva e il tasso di crescita del Pil, con qualche speranza che il rapporto debito/Pil non aumenti. Un altro conto sono misure di sostegno della domanda interna o di riduzione fiscale che sicuramente aumentano il rapporto debito/Pil, con conseguente aggravio del fardello in carico alle generazioni future».Che giudizio dà dei parametri Ue vigenti, e in generale delle ricette orientate al rispetto formale delle compatibilità, e meno attente a incentivare la crescita?«Per dare un giudizio bisogna preliminarmente mettersi d'accordo su quel che si pensa del debito pubblico. Se si pensa di poterlo aumentare ancora senza contraccolpi finanziari, quei parametri sono sbagliati perché impediscono di espandere la domanda interna. Se si pensa invece che il debito deve essere tenuto a freno, quei parametri sono sbagliati lo stesso (perché troppo ragionieristici), ma bisogna inventarne altri, forse ancora più stringenti, anche se più intelligenti (ad esempio imponendo l'equilibrio di bilancio a livello triennale)». Invece il modello Trump (meno tasse, più investimenti) ha prodotto risultati eccellenti: Pil al +3% e disoccupazione ai minimi da 50 anni.«Ma a quale prezzo? Il contribuente americano non è felice di dover ripianare il debito pubblico generato dalle politiche di Donald Trump. Anche se va detto, a giustificazione di Trump e contro di noi, che - a parità di rapporto debito/Pil - una crisi finanziaria da eccesso di debito sarà sempre meno probabile in America che in Italia». Se ci fosse davvero la ragionevole probabilità di un taglio di tasse, si tratterebbe di una potente iniezione di fiducia per le imprese (affinché assumano) e per le famiglie (affinché riprendano a consumare)?«Sì, una ragionevole probabilità di un taglio delle tasse un po' di ottimismo e di fiducia li alimenterebbe». Che consiglio darebbe alle forze di governo?«Le forze di governo non accettano consigli, meno che mai da un professore universitario che non le ha mai votate, né pensa di farlo in futuro».E a quelle di opposizione? «Le forze di opposizione di consigli ne accettano ancora di meno».E agli osservatori indipendenti dei media? «Ai media farei una proposta irricevibile, che feci già - inutilmente - al direttore della Stampa quando scrivevo su quel giornale: parlate solo di fatti e problemi veri, e confinate tutte le dichiarazioni dei politici in un paio di colonne sotto il titolo: “Tempeste in un bicchier d'acqua"».
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.