2022-05-09
Guido Crosetto: «Draghi sta pensando come lasciare»
Guido Crosetto (Imagoeconomica)
Il cofondatore di Fratelli d’Italia: «È in arrivo uno tsunami e non so se il premier sarà in grado di reggere l’urto. Credo sia alla ricerca del modo migliore per andarsene. Il futuro? Lo vedrei alla guida della Banca mondiale».«Draghi? Se ne andrebbe domani. Lo tsunami che ci aspetta è troppo grande anche per lui». Questa la profezia di Guido Crosetto, da anni battitore libero, cofondatore di Fratelli d’Italia. Il suo nome era circolato sulle schede quirinalizie, e oggi compare addirittura come possibile futuro premier di un governo di centrodestra (anche se lui si smarca: «Faccio altro, lasciatemi in pace»).Iniziamo da Twitter, che lei frequenta con assiduità: perché ha cinguettato che la maggioranza di governo non esiste più?«Basta leggere i giornali per accorgersene. Da una parte la linea di Draghi, dall’altra quella di Giuseppe Conte e Matteo Salvini. C’è un problema politico enorme quando il pezzo più importante della maggioranza, su questioni cruciali come gli armamenti all’Ucraina, la pensa all’opposto del premier. Credo che Draghi dovrebbe andare in Parlamento a chiarire la situazione».Intanto lo spread si impenna di nuovo.«E questa è la cosa in assoluto più preoccupante, che lancia le ombre più cupe sul futuro. L’aumento delle materie prime, la fiammata della speculazione, il costo dell’energia. Sono andati in crisi contemporaneamente i modelli del passato: pensavano alla pace perpetua e al globalismo, pronti a trasferire in Asia tutta la produzione sporca e cattiva. Ci siamo resi conto che questo è un modello fallimentare, e adesso rifare una politica energetica e portare indietro le produzioni strategiche richiederà anni. Intanto, mentre l’Europa si occupava della curvatura delle banane, Cina e Russia hanno occupato l’Africa, per la terra e le materie prime».Intanto Draghi anticipa il Def e tergiversa sul bonus edilizio. Come se volesse alterare gli equilibri di governo. Forse intende abbandonare la diligenza per fare altri mestieri?«Assolutamente sì. Lo scenario pessimista che abbiamo dipinto, Draghi ce l’ha perfettamente in mente. Lui sa bene che lo spread arriverà presto a 300, e che il contestuale disimpegno della Bce dall’acquisto di titoli rischia di essere devastante per il Paese».Una fuga?«Piuttosto la consapevolezza che non potrà resistere allo tsunami in arrivo. Nemmeno lui, che i mercati pensava di dominarli. È rimasto prigioniero dell’evoluzione internazionale».E dunque?«Dunque penso che vorrebbe andarsene, anche perché è abituato a guidare organizzazioni in cui si decide in solitaria. Ma la politica è cosa diversa, e il Parlamento ha anche il diritto di disturbare il manovratore. Capisco che lui sia infastidito da questo disturbo, ma si chiama democrazia. Berlusconi comprese che fare politica non è come guidare un’azienda: Draghi dovrebbe comprendere che non è come guidare una banca centrale o Goldman Sachs».Potrebbe diventare segretario della Nato?«Non penso sia un ruolo che gli interessi, forse lo vedrei meglio alla guida della Banca mondiale, o in posti prestigiosi nelle istituzioni europee».Intanto a Roma, dopo infinite trattative tra governo e partiti, i rischi di un aumento della tassazione tramite riforma del catasto sono stati sventati. La casa è salva?«Tra un mese arriveranno altre raccomandazioni della Bce sull’Italia. Tireranno fuori di nuovo il discorso sui conti pubblici, sull’indebitamento. E verrà rinnovata la richiesta di tassare le rendite anziché il lavoro. È vero che il lavoro è troppo tassato, ma mettere nel mirino la rendita significherà colpire il mattone».Insomma, il vero nemico del contribuente italiano è a Bruxelles?«L’Europa sostiene che questo impegno, quello di tassare le rendite, sia stato firmato con il Pnrr, anche se c’è chi lo nega. Sta di fatto che in questa situazione, con il fiato sul collo dell’Europa e la situazione economica in disfacimento, a me il fisco del futuro continua a far paura». L’altra notizia, meno esaltante, è che l’ultimo bonus di 200 euro verrà recapitato anche ai percettori del reddito di cittadinanza. Uno scempio?«È la vittoria della parte peggiore del Paese. Quella che non vuole costruire lavoro, ma si accontenta di un sussidio statale, magari da sommare al lavoro nero. Il reddito di cittadinanza ha senso come sostegno alla povertà, ma in questo caso è un evidente incentivo a non lavorare. È un sonnifero economico, che addormenta tutti i giovani».Però Matteo Salvini ha buon gioco nel dire: vedete? Stare al governo serve a qualcosa…«Certo, vero. Ma avrebbe dovuto servire di più. Alcune battaglie fatte sui giornali dovevano essere combattute in Parlamento».Cosa vede nel dopo Draghi?«Il tema non è fare un governo che abbia la maggioranza parlamentare, ma che duri cinque anni e possa davvero incidere. Chiunque lo costruirà, dopo sette-otto mesi, dovrà saper affrontare la tempesta furiosa che si sta già scatenando».Per allora, cercheranno di isolare Giorgia Meloni, magari con il sistema proporzionale?«In ogni modo. Con la mistificazione, con l’attacco giudiziario, con le inchieste strumentali, inventando la qualunque. E poi c’è sempre una dose insopprimibile di invidia. Quando la politica ha pochi argomenti, escono fuori i difetti umani. È naturale».Vittorio Sgarbi dice che c’è già un accordo tra alleati per Meloni premier.«Non lo so, ma penso che, se lei prenderà più voti, la accetteranno a Palazzo Chigi. Ma ripeto, il tema non è il nome del premier, ma le prospettive che daremo a un eventuale governo. Giorgia Meloni sarebbe sicuramente in grado di imboccare un percorso innovativo».Anche coltivando con attenzione i rapporti con l’establishment internazionale, che le consentirebbero di avere il giusto standing?«Ci sono persone che sono arrivate brindando alla poltrona di ministro, senza aver mai fatto niente nella vita. Sono saliti al governo senza avere idea di cosa fosse il Parlamento. Giorgia Meloni ha piena consapevolezza della difficoltà insita nell’amministrazione di un Paese, anche in termini di mediazione, nei tempi complicati che ci aspettano. Sa bene che per governare bisognerà saper dialogare. Anche con persone con cui dieci anni fa non avrebbe dialogato».Che tipo di dialogo?«Su temi fondamentali, come ad esempio la grande riforma presidenziale, sicuramente coinvolgerebbe tutto il Parlamento».Ma i rapporti con Berlusconi e Salvini in che stato di salute si trovano?«Magari adesso non saranno esattamente brillanti. Però, a chi mi chiede se riusciranno a stare insieme, io rispondo: se riescono a stare insieme Pd e 5 stelle, come possono non farcela forze che si conoscono da 25 anni?».A patto che non si sfoderi l’atomica della legge elettorale, giusto?«Mi creda, Giorgia Meloni con il proporzionale prende ancora più voti. La isoleranno comunque? Non è mai successo, nella storia, che il primo partito d’Italia venga tagliato fuori dal governo. Se accadesse, sarebbe una provocazione quasi da guerra civile. Non puoi tagliare fuori il 25-30% del Paese».A proposito di guerre. Fino a quando si continuerà ad armare l’Ucraina? Insomma, in cosa consiste la cosiddetta vittoria: nella difesa di Kiev, o nell’assalto al Cremlino?«La scelta di chi invia armi è semplice: l’unico modo per far sedere il nemico al tavolo delle trattative è fargli capire che non può raggiungere i suoi obiettivi. È vero che finora questa scelta non ha portato il risultato sperato. Ma se non avessero ceduto armi, oggi a che punto saremmo? Io credo che ci troveremmo allo stesso punto di oggi, ma con molti più morti. Gli ucraini si sarebbero difesi lo stesso, anche con i pugni e con i sassi».Ma all’interno di questa scelta, non coltiva qualche perplessità?«Non condivido la postura aggressiva di alcuni leader occidentali. Gli insulti personali contro Putin sono roba da tifosi, non da politici. Molto meglio mantenere canali diplomatici aperti, e un rapporto formale tra stati che consenta di arrivare prima o poi a un tavolo di pace».Le sanzioni sono una condanna per la nostra economia?«Io ho detto da subito che non possiamo rinunciare al gas russo. Se lo facessimo, combineremmo un tale danno economico che l’opinione pubblica si schiererebbe in blocco contro l’Ucraina e faremmo un regalo enorme a Putin. L’atteggiamento però resta duro perché non sappiamo esattamente dove si fermerà Mosca: se al Donbass, a Odessa, alla Moldavia, alla Finlandia».L’altra guerra, quella pandemica, conserva strascichi da incubo: resta la mascherina al lavoro. Ma per il privato è obbligatoria, per il pubblico solo raccomandata.«Ormai se non la porti ti guardano male. E i sindacati, come anche le associazioni datoriali, accettano tutto. Ormai lavorano solo per il bene della corporazione, per le loro burocrazie. Non certo per le persone che dovrebbero tutelare. Insomma, i sindacalisti, alla fine, tutelano soltanto il sindacato medesimo».