2020-08-17
Giovanni Orsina: «Lega e Fdi imparino a distinguersi»
Il politologo della Luiss: «La questione del Nord tema chiave per il centrodestra: a Salvini e Meloni conviene uno schema come quello della Csu bavarese per non sovrapporsi. Pd e grillini ormai sono la stessa cosa».Giovanni Orsina, politologo e storico, dirige la School of government della Luiss. Ha accettato una conversazione a tutto campo con La Verità per una sorta di «check-up» sullo stato di salute politica dei protagonisti della scena pubblica italiana. Professore, la scorsa settimana, da queste colonne, il giurista Cesare Mirabelli ha messo in guardia contro un rischio di «assuefazione» all'emergenza. Dal suo punto di vista, teme lo scivolamento verso una logica (scusi l'ossimoro) da «emergenza permanente»?«Il rischio tutto sommato c'è, e vorrei allargare il ragionamento. Che ci siano valori - la salute, la sicurezza - in competizione con la libertà, l'abbiamo sempre saputo. Se fossimo in un momento di grande solidità per la democrazia liberale, non ci sarebbe grande preoccupazione. Ma poiché la democrazia liberale è già da tempo in una fase storica - diciamo - di grande stress, l'allarme si crea».Qual è lo stato di «salute» del dibattito pubblico italiano? «È questo l'elemento che mi preme di più: la libertà e anche l'onestà della discussione pubblica. Vede, il problema non è se ci impongono la mascherina, o il metro di distanza, o se ci raccomandano di non assembrarci. Il problema è quando sentiamo l'incredibile accusa di “negazionismo". Ma come? Se qualcuno dice che oggi il virus è oggettivamente meno forte e diffuso di quattro mesi fa, diventa un “negazionista»? Tra l'altro, si usa quella parola che indica chi nega l'orrore della Shoah: ma come si può discutere così?».Che impressione le fa sentire un attacco così scomposto?«Già in Italia un vero dibattito pubblico non c'era: c'è sempre stato essenzialmente un dibattito politico-partitico. Ecco, mi pare che purtroppo si esca dall'emergenza con una sfera pubblica ancora più schiacciata e strumentale, ancora meno libera intellettualmente».Se fossero confermati i sondaggi attuali, la tornata regionale del 20 settembre potrebbe finire 4-2 per il centrodestra, anzi 5-2 considerando la Val d'Aosta. In questo caso, il computo delle 20 regioni vedrebbe un rapporto 16-4 tra quelle governate dal centrodestra e quelle governate dalla sinistra. Sarebbe dura per il governo blindarsi solo invocando l'aritmetica parlamentare?«In base alla mia risposta di poco fa, potrei dire: no, non sarebbe dura per loro. Direbbero: siamo in un regime parlamentare, contano i voti nelle Camere, alle elezioni si va ogni cinque anni proprio per non misurare costantemente la temperatura dell'opinione pubblica. E, in termini di stretta forma, sarebbe una risposta inattaccabile. Ma se invece esaminiamo la questione in termini sostanziali, le cose sono ben diverse. Anche perché questa coalizione Pd-M5s non è mai stata approvata dagli elettori».Molti decenni fa, un padre della Costituzione e del costituzionalismo italiano, Costantino Mortati, evocò il tema delle «gravi disarmonie» tra corpo elettorale e Parlamento anche come precisa ragione di scioglimento anticipato delle Camere. Lo dico con estrema rozzezza: come fa a stare in piedi una maggioranza che governa solo in 4 regioni, che è quasi assente al Nord, che è sconnessa da imprese-lavoratori autonomi-lavoratori del privato? «Mi pare che la dottrina costituzionale prevalente si sia progressivamente orientata nel prevedere lo scioglimento solo in assenza di una maggioranza parlamentare. Con un'eccezione, però: nel 1993, dopo il referendum elettorale, l'allora presidente Scalfaro decise diversamente».Al di là della durata dell'attuale Parlamento, Pd e M5s possono trovare un loro ubi consistam comune, a maggior ragione dopo la votazione su Rousseau di venerdì scorso? Se sì, non c'è però il rischio che siano i grillini a trascinare il Pd sul loro terreno? «Tutto sommato, un ubi consistam lo stanno trovando. Quanto però al terreno su cui ciò avviene, rovescio la domanda: il terreno del Pd è forse così diverso da quello dei grillini? Mi spiego: per molti versi, i grillini sono nati proprio perché ritenevano che il Pd non stesse facendo ciò che diceva, che le promesse del Pd fossero tradite. Pensi per un verso al giustizialismo, all'approccio moralista, alla retorica antiberlusconiana, e per altro verso, in economia, a tutto il tema della protezione, del ruolo esteso e pervasivo dello Stato. Non nego che a sinistra ci sia stato anche altro, però questo mi pare il terreno prevalente».Spostiamoci sul versante delle opposizioni. Un paio di settimane fa, sulla Stampa, lei ha indicato una specie di bivio alla coalizione di centrodestra: l'opposizione «di sistema», cioè una contrapposizione quasi ideologica, oppure una opposizione «nel sistema», dura ma non distruttiva.«Il tema reale è come ci si intenda porre verso l'Europa. Parliamoci chiaro, la Gran Bretagna si è potuta permettere Brexit perché non era mai entrata nell'euro, e poi perché - appunto - era ed è la Gran Bretagna, con una tradizione imperiale, il Commonwealth, la special relationship con gli Usa. Noi siamo in una condizione evidentemente diversa. E anche quando si evoca, nei nostri confronti, il ruolo che è e sarà giocato dalla Bce, occorre tenere conto che certe decisioni vengono assunte su base non solo tecnica, ma anche molto politica… La realtà è che qualcuno, nei confronti della Lega, ha pensato di alzare una specie di “cordone sanitario". La cosa può non piacere, si può ritenere che ciò sia profondamente antidemocratico, ma, detto questo, tra le responsabilità di una classe dirigente di un partito, c'è anche quella, con realismo, di non far aumentare il gap tra il vincolo esterno e l'opinione pubblica italiana. Questo è oggi un tema che la Lega deve porsi in qualche modo».Al tempo stesso, però, rispetto alla seconda opzione, lei metteva in guardia il centrodestra rispetto al rischio di deludere la quota non piccola di elettori - diciamo - molto arrabbiati. Come si trova l'equilibrio tra queste diverse esigenze? «È la cosa più difficile. L'esperienza del governo Monti, comunque uno la giudichi, ha avuto l'effetto di aprire o di allargare una frattura tra l'opinione pubblica e il vincolo esterno. E il problema se lo devono porre anche quelli che alzano cori europeisti contro i sovranisti: mettere in frigidaire gli elettori sovranisti significherebbe congelare il 40% del Paese…».Potrebbe servire un governo ombra al centrodestra, per dare anche fisicamente l'idea di una controproposta rispetto ai giallorossi, di essere pronti da subito alla sfida del governo? «Temo che sia difficile farlo, e potrebbe anche creare un effetto di irrigidimento. Però, per altro verso, dare l'impressione di avere idee chiare su dove portare il Paese e di essere una coalizione coesa potrebbe essere molto utile. Si farebbe saltare l'alibi secondo cui l'attuale governo non ha alternative o l'opposizione è divisa».Sarebbe immaginabile un percorso costituente verso una sorta di partito repubblicano all'americana o di partito conservatore all'inglese, in cui vivano diverse culture e sensibilità, oppure ormai le pare cristallizzata la coesistenza di partiti alleati però distinti a destra? «Penso sia più realistica la seconda opzione. Intanto perché, se l'accordo Pd-M5s regge, è probabile una legge proporzionale, che non è consigliabile per il centrodestra affrontare con un partito unico. E poi perché un'offerta “federata" consente di rispondere a più domande, a più esigenze».Fermo restando che la competizione è il sale della vita, Matteo Salvini e Giorgia Meloni possono trovare un modo, ammesso che queste cose si possano progettare a tavolino, di differenziare in modo concordato la loro offerta politica, coprendo, per così dire, esigenze complementari? Oppure sono due catch-all parties, cioè entrambi partiti che si rivolgono sostanzialmente a tutti? «È difficile precostituire una differenziazione e una complementarità. Anche perché oggi, parlando dei due leader, la distinzione è quasi più “caratteriale" che contenutistica, con un Salvini più - diciamo - “populista e provocatore", e una Meloni, per citare Guido Crosetto, più “noiosa e ordinata"… Forse il tema della differenza doveva essere la questione Nord-Sud, riproponendo per certi versi lo schema del 1994, con Forza Italia e Lega da una parte e Alleanza nazionale dall'altra. Ora mi pare che Lega e Fdi caccino più o meno sul medesimo terreno».A questo proposito, avrebbe senso per la Lega e per il centrodestra un'operazione Cdu-Csu, cioè avere anche un ramo (la loro Csu) che si rivolga ovviamente non alla Baviera ma specificamente al Nord Italia? «Avrebbe senso. Ora non è facile per Salvini tenere insieme la nuova identità di partito nazionale con il tema dell'autonomia rafforzata logicamente molto sentito al Nord».Tutti parlano, purtroppo con valide ragioni, di una crisi economica autunnale destinata a inasprirsi pesantemente. Ma, oltre a evocarla a parole, secondo lei i politici italiani hanno davvero fatto i conti con quello che rischia di accadere, cioè un possibile tsunami di fallimenti e licenziamenti? «Penso di no… In realtà, mi pare che il dibattito politico guardi al massimo a domani o a dopodomani, sulla base di stimoli immediati, spesso senza un'idea di Paese, e in un quadro di istituzioni già da tempo a rischio di spappolamento».