2020-12-21
«La Rai non è proprietà della sinistra»
Il consigliere della tv di Stato Giampaolo Rossi: «C'è una élite abituata a spadroneggiare: si deve abituare al pluralismo Assurdo aprire una crisi per sostituire l'ad a sei mesi dalla scadenza del Cda. Basta con il totonomine»«Da sempre, una parte del mondo politico considera la Rai il proprio giardino, una sorta di proprietà privata. A mio giudizio, oggi la tv di Stato è molto più plurale di quella che abbiamo ereditato: ci sono diverse linee narrative, il racconto della realtà si è fatto più complesso». Sono giorni movimentati per Giampaolo Rossi, consigliere di amministrazione Rai in quota Fratelli d'Italia. Dopo la bufera sulle contestate scelte editoriali di alcuni programmi Rai, i numeri certificano una situazione economica tutt'altro che felice: anche a causa della pandemia, l'azienda potrebbe chiudere il 2020 con un rosso di 30 milioni di euro.Consigliere Rossi, di fronte alla crisi della tv pubblica, c'è chi chiede un cambio di passo. Da realizzare subito, addirittura con un nuovo Cda. «La Tv pubblica non è in crisi: nonostante l'emergenza Covid, mantiene conti sostenibili. Sono mesi che assistiamo al totonomine dell'amministratore delegato, alla lotteria dei candidati che potrebbero sostituire Fabrizio Salini. Questo meccanismo interessa solo i grandi esperti di “Raiologia". Una parte della politica alimenta questi temi per utilizzarli come merce di scambio». Nessun cambio all'orizzonte, quindi? «Non lo ritengo realistico. In un momento come questo, nessuno, dotato di senno, si sognerebbe di aprire una crisi in un'azienda come la Rai, a 6 mesi dalla scadenza del Cda».La proroga dei vertici è stata già scongiurata dal ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. Eppure, potrebbe non essere scontata. «In questa contingenza critica, mi auguro che questo consiglio possa arrivare a fine mandato e poi governo e parlamento decideranno cosa fare. Più che polemizzare sull'ad, la politica dovrebbe interrogarsi su quale funzione debba avere il servizio pubblico nell'era dei grandi player globali». Che cosa intende? «Il servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale è strettamente connesso alla sua funzione di garante del pluralismo e dovunque è legato all'identità della propria nazione. Nell'epoca della globalizzazione digitale, quale dovrebbe essere il suo ruolo? In Francia e in Gran Bretagna si sono sviluppati dibattiti che hanno portato a riforme. In Italia, la discussione si limita a come cambiare la governance della Rai». Meglio discutere di «posizionamenti», secondo lei? Alcuni parlamentari non gradiscono la sovraesposizione dei cinquestelle. «C'è un pezzo di politica che cerca di legittimare la propria rappresentazione pensando di essere sempre sottorappresentata».Dica la verità: le discussioni sulle esposizioni politiche non la appassionano. «Molto spesso la discussione si riduce alla percentuale di presenza dei politici, da una parte e dall'altra. Il primo obbligo della Rai è cercare di rappresentare la complessa narrazione del nostro Paese. Nell'ultimo decennio non è stato fatto: sono state rappresentate prevalentemente le visioni di una élite ideologicamente forte, arrogante e intollerante, che è minoritaria nella nazione, ma maggioritaria negli spazi in cui l'immaginario si costruisce».A chi si riferisce? «A un pezzo della sinistra, che concepisce la Rai come proprietà privata e il servizio pubblico come strumento di imposizione di una visione ideologica della realtà. Oggi, in Rai, stiamo provando con fatica ad allargare quegli spazi di pluralismo che in passato sono stati negati. La frase “se non sei di sinistra, in Rai non lavori" spesso ha avuto un fondamento. Trovo che il riequilibrio, da questo punto di vista, sia fondamentale per giustificare il ruolo del servizio pubblico».Che ne pensa della scelta di ospitare Luigi Di Maio a 90° Minuto senza alcun contraddittorio? «Penso che un politico possa tranquillamente partecipare ai format, anche sportivi. Dopo tutto, si tratta di personaggi pubblici. L'importante è che venga garantita la pluralità delle espressioni politico-culturali e che queste presenze non si riducano a passerelle autoreferenziali».Non è stato fatto, secondo lei? «Se si sceglie di invitare un rappresentante del governo, perché non affiancarlo a un politico di opposizione? Ma non spetta a un consigliere di amministrazione dare giudizi in tal senso. È compito del direttore e dei vicedirettori di testata o di rete evitare comizi politici e garantire una presenza plurima».Mancano pochi giorni a Natale, in Rai si litiga sul presepe…«È stata aperta un'istruttoria per capire come si è arrivati a una situazione paradossale». Di chi sono le responsabilità di un'opera commissionata, ma che non verrà mai esposta? «L'istruttoria servirà a chiarire le responsabilità dell'accaduto. Ricordo che è stata istituita un'area, sotto la direzione canone, che si occupa dei beni artistici della Rai. Lo scopo della struttura è quello di valorizzare il patrimonio artistico di proprietà dell'azienda. Ciò però non significa acquistare o commissionare opere d'arte. Non siamo un museo». E invece è arrivato il presepe laico, con Lucio Dalla al posto di San Giuseppe e Gigliola Cinquetti sostituita alla Madonna. «Al netto della valutazione dell'opera, che non metto in dubbio, faccio fatica a capire che cosa sia un presepe laico». Con l'esposizione agli Uffizi di Firenze, il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, vi ha tolto le castagne dal fuoco? «Non so se le ha tolte alla Rai o all'autore, il maestro Marco Lodola. Sarebbe stato curioso esporre un'opera d'arte nella sede di viale Mazzini che a Natale resta chiusa. Nessuno avrebbe potuto ammirarla». Telenovela Mauro Corona. Per lui, gli studi Rai sono chiusi in maniera definitiva?«Si è trattato di un episodio sgradevole, non in linea con il servizio pubblico e per il quale lui stesso ha chiesto scusa. Credo sia giusto un periodo di penitenza, ma non che vada al patibolo. Non credo che le liste di proscrizione debbano essere proprie del servizio pubblico». Il direttore di Rai 3, Franco Di Mare, ha usato parole forti in commissione di Vigilanza Rai: «Ho empatia per una persona che ha problemi con l'alcol», ha detto. «Mi dispiace che il direttore di Rai 3 si sia fatto travolgere dalla polemica. Avrei preferito avesse mantenuto il profilo istituzionale proprio del ruolo che ricopre».Come si spiega la mancata partecipazione della Rai alla «Netflix della cultura», fortemente sponsorizzata da Dario Franceschini?«Per come era stato costruito il progetto non c'erano le condizioni per partecipare. Chi punta sulla valorizzazione della cultura italiana non può non considerare la Rai come elemento centrale di qualsiasi progetto. Al ministero hanno pensato alla Rai come un soggetto accessorio, tanto che l'interlocuzione è avvenuta solo con Cassa depositi e prestiti, quindi su un piano puramente tecnico e non editoriale. In più c'erano una serie di questioni relative ai tempi imposti che hanno fatto sì che la Rai avesse difficoltà a intervenire».La Rai non riesce ancora ad attrarre un segmento di mercato consistente: i giovani e i nativi digitali. Si spiegano anche così le difficoltà dell'azienda? «Quello dei giovani è un segmento che quasi nessun servizio pubblico intercetta».A eccezione della Bbc. Impensabile quel modello? «La Bbc è l'unico servizio pubblico nazionale assimilabile a un player globale. Un po' per storia e un po' per la lingua, accede a un mercato che i servizi pubblici nazionali non riescono ad avere, perché confinati nell'area linguistica di riferimento».Come pensate di intercettare la fascia di pubblico più giovane? «Quando ci siamo insediati, mi colpì il ritardo che la Rai aveva accumulato sul fronte digitale. Uno dei meriti dell'attuale consiglio di amministrazione è stato quello di rilanciare Rai Play, che oggi sta crescendo in maniera esponenziale. Abbiamo creato una vera e propria digital factory per la produzione di contenuti crossmediali, a presidio di tutte le piattaforme di fruizione. Lo stesso lavoro è stato fatto per Radio Rai che oggi è uno dei più avanzati player della digital radio in Italia».Quest'anno la Rai potrà contare su circa 80 milioni di extra gettito del canone che il governo restituirà. Un bel regalo in un momento in cui gli introiti dalle pubblicità sono in calo, non trova?«Tra minori introiti di pubblicità e canoni, a causa del Covid, a bilancio avremo 150 milioni di euro in meno rispetto al flusso preventivato. Quelli dell'extra gettito non sono un regalo, ma soldi della Rai che siamo riusciti a farci restituire. Dal 2016 i diversi governi hanno utilizzato parte dei soldi del canone (che è il più basso in Europa) per altri scopi, creando a mio avviso un meccanismo di illegittimità. Nessun consiglio di amministrazione precedente al nostro ha mai ottenuto questo risultato: i consiglieri che si sono insediati prima di noi non avevano mai neanche posto il problema».
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)