2021-02-25
Linea dura e divieti a colpi di dpcm: Speranza dà lezioni, ma è stato una sciagura
Il ministro della Salute annuncia al Parlamento che «non ci saranno allentamenti». Per le norme dal 6 marzo al 6 aprile niente decreto legge, ma la solita scorciatoia. Mentre sui vaccini l'ultima scusa è la proprietà dei brevetti.Altro che discontinuità: qui siamo alla continuità assoluta, anzi all'eterno ritorno del sempre uguale. Gli interventi (prima al Senato e poi alla Camera) di Roberto Speranza e il preannuncio di un altro mese abbondante di chiusure e restrizioni (tramite dpcm) segnano l'allungarsi dell'ombra del governo Conte sul neonato gabinetto di Mario Draghi, con una difficoltà ormai estrema di cogliere diversità e sfumature tra il prima e il dopo. A essere spiritosi, si potrebbe dire che manca solo Rocco Casalino con la sua comunicazione ansiogena e martellante: ma ne fanno le veci, per così dire, i virologi star in tv che, continuando a spargere panico e terrore, preparano il terreno a decisioni politiche ispirate agli standard ultrachiusuristi che ormai ben conosciamo.È su questi binari, dunque, che si è continuato a muovere il ministro della Salute, preannunciando un nuovo dpcm che sarà in vigore dal 6 marzo al 6 aprile, includendo dunque anche Pasqua (4 aprile). La prima sorpresa negativa viene proprio in termini di forma, con il preannuncio dell'ennesimo dpcm. E viene subito da chiedersi: perché un altro dpcm? Con una maggioranza parlamentare così vasta, non c'è alcun motivo per incidere su libertà fondamentali e costituzionali attraverso atti amministrativi. C'era e c'è invece tutto il margine per agire con decreti legge, immediatamente efficaci ma soggetti a conversione parlamentare entro 60 giorni, e dunque sottoposti a un appropriato scrutinio parlamentare. È una incomprensibile sgrammaticatura il fatto che si ricominci esattamente come prima, anche da questo punto di vista.Ma la sorpresa negativa più grave viene in termini di sostanza. Se il grave infortunio dello sci, la scorsa settimana, poteva ancora essere considerato un colpo di coda del governo precedente, stavolta non ci sono scuse. È certamente comprensibile un atteggiamento cauto e prudente, ma ci si attendeva - sia pure con gradualità - un cambio di paradigma, il passaggio da protocolli di sola chiusura a protocolli di progressiva riapertura. Nulla di tutto questo si è sentito ieri in Parlamento, da parte di Speranza, e si tratta di una constatazione deludente. Speranza ha come sempre abbondato in retorica («siamo all'ultimo miglio», «vediamo la luce in fondo al tunnel», e via da un luogo comune all'altro), ma, andando al cuore delle questioni, senza neanche preoccuparsi di argomentare e di offrire dati stringenti a supporto delle sue decisioni, ha riproposto un'interpretazione estrema del principio di precauzione: «Non ci sono le condizioni epidemiologiche per abbassare le misure di contrasto alla pandemia, siamo all'ultimo miglio e non possiamo abbassare la guardia». Poi il riferimento alle varianti, anch'esso, però, declinato più in termini di potenzialità negativa che di certezza: «La presenza delle varianti condizionerà l'epidemia: la variante inglese è presente nel 17,8 per cento dei casi, sarà presto prevalente e la sua maggiore diffusione rende indispensabile alzare il livello di guardia, ma fortunatamente non compromette l'efficacia dei vaccini».A questo punto la domanda sorge spontanea: che si fa, allora? Al comparire di ogni eventuale variante, si richiude tutto? E si tiene tutto blindato fino al completamento della campagna vaccinale, cioè fino all'autunno prossimo, tra nove o dieci mesi? Si tratta di una prospettiva insostenibile, in primo luogo dal punto di vista economico: ed è molto grave che il premier, per ora, sembri sottrarsi all'onere di pronunciare in prima persona una parola esplicita su questo nodo, lasciando campo e mano libera ai suoi ministri più anti apertura. Va detto con chiarezza che inseguire la chimera del «rischio zero», ricoveri zero, contagi zero, significa determinare conseguenze letali per centinaia di migliaia di imprese, famiglie e lavoratori. Vaga e quasi fastidiosa è stata anche la parte dedicata da Speranza alla campagna vaccinale: solo una specie di mozione degli affetti («Mi rivolgo a tutte le forze politiche, il buon esito della campagna vaccinale è obiettivo di tutto il Paese non di una parte di esso. Il nostro è un grande Paese in grado di vaccinare migliaia e migliaia di cittadini al giorno») senza alcuna data, senza numeri, senza cronoprogrammi o tempificazioni, senza impegni certi e verificabili. Solo un generico riferimento al fatto che i ritardi verranno superati: ma i cittadini avrebbero diritto di sapere come e quando. Né pare convincente, anzi sembra ideologicamente un retaggio di una sinistra anticapitalista, con logiche quasi da esproprio proletario, l'attacco ai brevetti («Non regge una proprietà dei brevetti, perché il vaccino è un bene comune»), come se Speranza non sapesse che, senza brevetti, non ci sarebbe stata né ricerca né vaccino. Quanto ai ritardi nelle consegne, la frase di Speranza («Con i vertici Ue stiamo esercitando la massima pressione nei confronti delle aziende») sembra richiamare le inefficaci diffide di qualche settimana fa. Per parte nostra, resta un suggerimento. Un sondaggio di Alessandra Ghisleri, pubblicato ieri sulla Stampa, parla chiarissimo: la squadra, i ministri del governo Draghi piacciono solo al 31,2% degli interpellati (il 44,1% dice no, il 24,7% non risponde), mentre, alla domanda sul bivio tra continuità e discontinuità, solo il 31,9% chiede continuità, mentre il 56,1% chiede discontinuità e cambio di passo. Aver confermato Speranza e le sue politiche sembra andare in direzione opposta alla richiesta della stragrande maggioranza degli italiani.
Roberto Burioni ospite a «Che tempo che fa» (Ansa)
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