True
2020-04-17
Linea Cgil-Bellanova sull’agricoltura Vogliono i clandestini ma non i voucher
Teresa Bellanova (Ansa)
In Germania mancano circa 300.000 lavoratori stagionali nel settore agricolo. Le autorità tedesche hanno reagito creando una serie di piattaforme digitali che mettano in contatto i disoccupati con le aziende che hanno bisogno di personale. Chi ha perso il posto nei bar, nei ristoranti e in altre attività di questo genere viene invitato a trovare un impiego nell'agricoltura o nell'allevamento. Nel Regno Unito, invece, la National Federation of Young Farmers'Clubs sta cercando braccia fra gli studenti, invitandoli a rivolgersi alle fattorie per rimediare qualche soldo.
In Italia, secondo la Coldiretti, mancano più o meno 370.000 braccianti, ma la soluzione proposta dal governo è sempre la stessa: sanatoria per gli immigrati clandestini. Teresa Bellanova, ministro delle Politiche agricole, da settimane non fa che ripetere il mantra: braccia spalancate agli stranieri. Ieri, in Senato, ha rimbombato la medesima solfa: «Sono 600.000, secondo le stime, gli irregolari stagionali nell'agricoltura che vengono spesso sfruttati e lavorano in Italia per quella criminalità che chiamiamo caporalato, che per me significa mafia», ha detto la Bellanova. «O è lo Stato a farsi carico della vita di queste persone o è la criminalità organizzata». Dunque sanatoria e dentro tutti. Quando il governo si è insediato, il ministro dell'Agricoltura si è presentato con uno sgargiante vestito blu. Forse per questo ora si crede una Fata Turchina capace, con un colpetto di bacchetta magica, di trasformare i clandestini in cittadini.
A darle manforte ci si è messa pure la Cgil, che ieri ha lanciato una campagna su Twitter con l'hashtag #regolarizzateli. «Per loro chiediamo subito la regolarizzazione, così da avere manodopera che possa lavorare nei campi con rapporti di lavoro che rispettino i contratti, non con i voucher, chiediamo tutele, diritti a partire da quello alla salute, a un lavoro dignitoso, a un alloggio», ha detto Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil.
Curioso: regolarizzare i clandestini si può anzi si deve, ma utilizzare i voucher è proibito. Secondo i sindacati, infatti, i «buoni lavoro» consentirebbero alle aziende di sfruttare la manodopera. Beh, diamo un'informazione alla Triplice: lo sfruttamento esiste già. Proprio nelle scorse ore un'inchiesta contro il caporalato in Romagna della squadra mobile di Forlì ha portato all'arresto di quattro pakistani che sfruttavano 45 richiedenti asilo (loro connazionali e afghani), costringendoli a lavorare nei campi fino a 80 ore alla settimana, pagandoli 50 euro al mese. Questi poveretti venivano in condizioni pietose, con poco cibo, niente acqua calda, costretti a dormire su materassi gettati a terra. Ad avvalersi dei loro servizi sottopagati erano i titolari di alcune aziende agricole di Rimini, Forlì e Ravenna, che sono stati denunciati.
Questa vicenda, per altro, dimostra che una regolarizzazione dei clandestini non condurrebbe automaticamente alla fine del lavoro nero, anzi. Gli sfruttati di cui sopra erano richiedenti asilo. La legge italiana consente a chi ha fatto regolare richiesta di accoglienza di lavorare, non per nulla molti ospiti dei centri di accoglienza anche in questi giorni continuano a muoversi liberamente proprio perché hanno un impiego. Tradotto: il fatto di avere un permesso di soggiorno non conduce necessariamente a maggiore legalità. I voucher, invece consentirebbe di pagare gli stagionali senza ricorrere al nero. Secondo Dino Scanavino, presidente della Cia, essi sono «uno strumento flessibile idoneo a reclutare chi è in cassa d'integrazione o percepisce il reddito di cittadinanza ma che non rinuncerebbe al suo ammortizzatore sociale per venire a lavorare nei campi. Con il voucher, invece, il lavoratore può integrare le sue entrate attraverso queste prestazioni occasionali, il cui compenso è esente ai fini Irpef».
Oppure, appunto, si potrebbe impiegare in agricoltura chi è sprovvisto di un lavoro o campa con il reddito di cittadinanza. Sarebbe sensato, e lo fanno anche all'estero.
Però la Bellanova si oppone, e la Cgil di nuovo la sostiene. Del resto la signora ha iniziato la sua carriera politica proprio nel sindacato rosso. Ed è grazie al sindacato che ha conosciuto il suo attuale marito, Abdellah El Motassime. Si sono incontrati in Marocco: lei era in visita istituzionale, lui le faceva da interprete. Sarà, forse, anche per queste ragioni sentimentali che il ministro è così attento alle esigenze degli stranieri. Non a caso ieri i giornali marocchini hanno dato grande risalto alla sua proposta di sanatoria: un bel messaggio a chi fosse intenzionato a lasciare l'Africa per venire qui.
A quanto pare il governo teme il nero ma non ha paura di fare un favore ai trafficanti di uomini.
Le Ong alzano ancora la pressione: «Un migrante ha tentato il suicidio»
Oggi i 146 migranti della Alan Kurdi che si trova al largo delle coste di Termini Imerese, in prossimità del porto di Palermo, saranno trasferiti su una nave della Compagnia italiana di navigazione (e non della Gnv come sembrava inizialmente), con cui esiste una convenzione dal 2012. Il provvedimento è stato firmato ieri dal capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, su richiesta del ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, per contrastare la diffusione del contagio da coronavirus e «nella non possibilità di indicare il “place of safety", un luogo sicuro». Le persone a bordo della nave che batte bandiera tedesca faranno dunque la quarantena su un traghetto italiano, a nostre spese. A occuparsi del carico umano, anche sotto l'aspetto sanitario, sarà la nostra Croce Rossa.
Mercoledì notte, tre migranti erano state fatti scendere dalla nave della Ong tedesca Sea Eye (che per il maltempo si era spostata dalle coste trapanesi verso quelle palermitane) e portati a terra, in quanto in condizioni sanitarie definite preoccupanti. Tra questi, un giovane che aveva tentato il suicidio: «Il paziente è un pericolo per sé stesso e per gli altri. Siamo certi che la condizione peggiorerà ulteriormente», aveva dichiarato il medico a bordo, l'italiana Caterina Ciufegni, nella sua relazione alla guardia costiera.
Evacuato anche un altro migrante che avrebbe più volto compiuto gesti di autolesionismo. «Ciò che ho vissuto con il mio equipaggio negli ultimi giorni mi lascia triste», si lamentava in un Twitter il capitano della imbarcazione, Bärbel Beuse. Aggiungeva: «Da dieci giorni l'equipaggio ha aspettato un'azione invece di parole». Perché la signora non protesta con la Germania, visto che la nave batte bandiera tedesca?
Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch, altra Ong tedesca, ha attaccato il nostro Paese e Malta perché l'unico modo per raggiungere le coste europee «è solo in presenza di condizioni mediche sufficientemente gravi». La Linardi ci accusa di aver rimandato in Libia una cinquantina di naufraghi «respinti illegalmente nel Paese da cui hanno tentato disperatamente di fuggire», lasciando morire 12 migranti «sotto gli occhi dei bambini». Altre Ong «sono ancora in mare senza un porto sicuro», denuncia la portavoce. Di certo, però, trovata una soluzione italiana per l'Alan Kurdi, ci aspettiamo che anche i 37 clandestini al largo di Lampedusa, sulla Aita Mari della Ong spagnola Salvamento Marítimo Humanitario, vengano sistemati su una nostra nave. La Ong sta lanciando i soliti allarmi di difficoltà nel gestire i migranti a bordo, due giorni fa tre persone, tra le quali una donna al sesto mese di gravidanza, sono stati trasferiti al centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola, a Lampedusa.
Adesso che c'è una motonave italiana designata per la quarantena dei migranti, chi fermerà più gli arrivi sulle nostre coste? «Dalla Alan Kurdi alla Aita Mari, le Ong - spesso tedesche - insistono per far sbarcare gli immigrati sempre e solo nel nostro Paese. Italiani chiusi in casa e immigrati liberi di arrivare in Sicilia, e magari da lì in Sardegna, nonostante la finta chiusura dei porti: è tornato il business dell'immigrazione a 30 euro al giorno a testa, anche a costo di mettere in pericolo la salute delle persone», non ha mancato di commentare il leader della Lega, Matteo Salvini. A rivelare il giochino delle Ong è proprio il presidente di Sea-Eye, Gorden Isler, che ieri in un'intervista alla Süddeutsche Zeitung osservava come migranti siano sull'Alan Kurdi «da undici giorni, quindi il periodo di quarantena di 14 giorni è quasi terminato e nessuno mostra sintomi. Non abbiamo più bisogno di una nave da quarantena», ma che «queste persone siano distribuite tra i Paesi Ue». Il capo della Ong ha aggiunto: «Se necessario, la Germania deve essere pronta ad accettare tutte le 146 persone a bordo. Non è chiedere troppo». Lo diciamo anche noi, senza doverci accollare il costo di una motonave adibita a ospedale per migranti.
Continua a leggere
Riduci
Il ministro insiste: «600.000 stranieri da regolarizzare subito». E il sindacato applaude. Ma le aziende hanno bisogno di altro.La nave Alan Kurdi attende in mare da giorni: «A bordo situazione fuori controllo».Lo speciale contiene due articoli.In Germania mancano circa 300.000 lavoratori stagionali nel settore agricolo. Le autorità tedesche hanno reagito creando una serie di piattaforme digitali che mettano in contatto i disoccupati con le aziende che hanno bisogno di personale. Chi ha perso il posto nei bar, nei ristoranti e in altre attività di questo genere viene invitato a trovare un impiego nell'agricoltura o nell'allevamento. Nel Regno Unito, invece, la National Federation of Young Farmers'Clubs sta cercando braccia fra gli studenti, invitandoli a rivolgersi alle fattorie per rimediare qualche soldo. In Italia, secondo la Coldiretti, mancano più o meno 370.000 braccianti, ma la soluzione proposta dal governo è sempre la stessa: sanatoria per gli immigrati clandestini. Teresa Bellanova, ministro delle Politiche agricole, da settimane non fa che ripetere il mantra: braccia spalancate agli stranieri. Ieri, in Senato, ha rimbombato la medesima solfa: «Sono 600.000, secondo le stime, gli irregolari stagionali nell'agricoltura che vengono spesso sfruttati e lavorano in Italia per quella criminalità che chiamiamo caporalato, che per me significa mafia», ha detto la Bellanova. «O è lo Stato a farsi carico della vita di queste persone o è la criminalità organizzata». Dunque sanatoria e dentro tutti. Quando il governo si è insediato, il ministro dell'Agricoltura si è presentato con uno sgargiante vestito blu. Forse per questo ora si crede una Fata Turchina capace, con un colpetto di bacchetta magica, di trasformare i clandestini in cittadini.A darle manforte ci si è messa pure la Cgil, che ieri ha lanciato una campagna su Twitter con l'hashtag #regolarizzateli. «Per loro chiediamo subito la regolarizzazione, così da avere manodopera che possa lavorare nei campi con rapporti di lavoro che rispettino i contratti, non con i voucher, chiediamo tutele, diritti a partire da quello alla salute, a un lavoro dignitoso, a un alloggio», ha detto Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil. Curioso: regolarizzare i clandestini si può anzi si deve, ma utilizzare i voucher è proibito. Secondo i sindacati, infatti, i «buoni lavoro» consentirebbero alle aziende di sfruttare la manodopera. Beh, diamo un'informazione alla Triplice: lo sfruttamento esiste già. Proprio nelle scorse ore un'inchiesta contro il caporalato in Romagna della squadra mobile di Forlì ha portato all'arresto di quattro pakistani che sfruttavano 45 richiedenti asilo (loro connazionali e afghani), costringendoli a lavorare nei campi fino a 80 ore alla settimana, pagandoli 50 euro al mese. Questi poveretti venivano in condizioni pietose, con poco cibo, niente acqua calda, costretti a dormire su materassi gettati a terra. Ad avvalersi dei loro servizi sottopagati erano i titolari di alcune aziende agricole di Rimini, Forlì e Ravenna, che sono stati denunciati. Questa vicenda, per altro, dimostra che una regolarizzazione dei clandestini non condurrebbe automaticamente alla fine del lavoro nero, anzi. Gli sfruttati di cui sopra erano richiedenti asilo. La legge italiana consente a chi ha fatto regolare richiesta di accoglienza di lavorare, non per nulla molti ospiti dei centri di accoglienza anche in questi giorni continuano a muoversi liberamente proprio perché hanno un impiego. Tradotto: il fatto di avere un permesso di soggiorno non conduce necessariamente a maggiore legalità. I voucher, invece consentirebbe di pagare gli stagionali senza ricorrere al nero. Secondo Dino Scanavino, presidente della Cia, essi sono «uno strumento flessibile idoneo a reclutare chi è in cassa d'integrazione o percepisce il reddito di cittadinanza ma che non rinuncerebbe al suo ammortizzatore sociale per venire a lavorare nei campi. Con il voucher, invece, il lavoratore può integrare le sue entrate attraverso queste prestazioni occasionali, il cui compenso è esente ai fini Irpef». Oppure, appunto, si potrebbe impiegare in agricoltura chi è sprovvisto di un lavoro o campa con il reddito di cittadinanza. Sarebbe sensato, e lo fanno anche all'estero. Però la Bellanova si oppone, e la Cgil di nuovo la sostiene. Del resto la signora ha iniziato la sua carriera politica proprio nel sindacato rosso. Ed è grazie al sindacato che ha conosciuto il suo attuale marito, Abdellah El Motassime. Si sono incontrati in Marocco: lei era in visita istituzionale, lui le faceva da interprete. Sarà, forse, anche per queste ragioni sentimentali che il ministro è così attento alle esigenze degli stranieri. Non a caso ieri i giornali marocchini hanno dato grande risalto alla sua proposta di sanatoria: un bel messaggio a chi fosse intenzionato a lasciare l'Africa per venire qui. A quanto pare il governo teme il nero ma non ha paura di fare un favore ai trafficanti di uomini. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/linea-cgil-bellanova-sullagricoltura-vogliono-i-clandestini-ma-non-i-voucher-2645736002.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-ong-alzano-ancora-la-pressione-un-migrante-ha-tentato-il-suicidio" data-post-id="2645736002" data-published-at="1587060217" data-use-pagination="False"> Le Ong alzano ancora la pressione: «Un migrante ha tentato il suicidio» Oggi i 146 migranti della Alan Kurdi che si trova al largo delle coste di Termini Imerese, in prossimità del porto di Palermo, saranno trasferiti su una nave della Compagnia italiana di navigazione (e non della Gnv come sembrava inizialmente), con cui esiste una convenzione dal 2012. Il provvedimento è stato firmato ieri dal capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, su richiesta del ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, per contrastare la diffusione del contagio da coronavirus e «nella non possibilità di indicare il “place of safety", un luogo sicuro». Le persone a bordo della nave che batte bandiera tedesca faranno dunque la quarantena su un traghetto italiano, a nostre spese. A occuparsi del carico umano, anche sotto l'aspetto sanitario, sarà la nostra Croce Rossa. Mercoledì notte, tre migranti erano state fatti scendere dalla nave della Ong tedesca Sea Eye (che per il maltempo si era spostata dalle coste trapanesi verso quelle palermitane) e portati a terra, in quanto in condizioni sanitarie definite preoccupanti. Tra questi, un giovane che aveva tentato il suicidio: «Il paziente è un pericolo per sé stesso e per gli altri. Siamo certi che la condizione peggiorerà ulteriormente», aveva dichiarato il medico a bordo, l'italiana Caterina Ciufegni, nella sua relazione alla guardia costiera. Evacuato anche un altro migrante che avrebbe più volto compiuto gesti di autolesionismo. «Ciò che ho vissuto con il mio equipaggio negli ultimi giorni mi lascia triste», si lamentava in un Twitter il capitano della imbarcazione, Bärbel Beuse. Aggiungeva: «Da dieci giorni l'equipaggio ha aspettato un'azione invece di parole». Perché la signora non protesta con la Germania, visto che la nave batte bandiera tedesca? Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch, altra Ong tedesca, ha attaccato il nostro Paese e Malta perché l'unico modo per raggiungere le coste europee «è solo in presenza di condizioni mediche sufficientemente gravi». La Linardi ci accusa di aver rimandato in Libia una cinquantina di naufraghi «respinti illegalmente nel Paese da cui hanno tentato disperatamente di fuggire», lasciando morire 12 migranti «sotto gli occhi dei bambini». Altre Ong «sono ancora in mare senza un porto sicuro», denuncia la portavoce. Di certo, però, trovata una soluzione italiana per l'Alan Kurdi, ci aspettiamo che anche i 37 clandestini al largo di Lampedusa, sulla Aita Mari della Ong spagnola Salvamento Marítimo Humanitario, vengano sistemati su una nostra nave. La Ong sta lanciando i soliti allarmi di difficoltà nel gestire i migranti a bordo, due giorni fa tre persone, tra le quali una donna al sesto mese di gravidanza, sono stati trasferiti al centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola, a Lampedusa. Adesso che c'è una motonave italiana designata per la quarantena dei migranti, chi fermerà più gli arrivi sulle nostre coste? «Dalla Alan Kurdi alla Aita Mari, le Ong - spesso tedesche - insistono per far sbarcare gli immigrati sempre e solo nel nostro Paese. Italiani chiusi in casa e immigrati liberi di arrivare in Sicilia, e magari da lì in Sardegna, nonostante la finta chiusura dei porti: è tornato il business dell'immigrazione a 30 euro al giorno a testa, anche a costo di mettere in pericolo la salute delle persone», non ha mancato di commentare il leader della Lega, Matteo Salvini. A rivelare il giochino delle Ong è proprio il presidente di Sea-Eye, Gorden Isler, che ieri in un'intervista alla Süddeutsche Zeitung osservava come migranti siano sull'Alan Kurdi «da undici giorni, quindi il periodo di quarantena di 14 giorni è quasi terminato e nessuno mostra sintomi. Non abbiamo più bisogno di una nave da quarantena», ma che «queste persone siano distribuite tra i Paesi Ue». Il capo della Ong ha aggiunto: «Se necessario, la Germania deve essere pronta ad accettare tutte le 146 persone a bordo. Non è chiedere troppo». Lo diciamo anche noi, senza doverci accollare il costo di una motonave adibita a ospedale per migranti.
Ursula von der Leyen (Ansa)
Per quanto riguarda, invece, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), che impone alle aziende di comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, l’accordo prevede si applichi solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo di 450 milioni di euro.
Con le modifiche decise due giorni fa, l’80% delle aziende che sarebbero state soggette alla norma saranno ora liberate dagli obblighi. Festeggia Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore l’accordo politico sul pacchetto di semplificazione Omnibus I. Con un risparmio fino a 4,5 miliardi di euro ridurrà i costi amministrativi, taglierà la burocrazia e renderà più semplice il rispetto delle norme di sostenibilità», ha detto il presidente della Commissione.
In un comunicato stampa, la Commissione dice: «Le misure proposte per ridurre l’ambito di applicazione della Csrd genereranno notevoli risparmi sui costi per le aziende. Le modifiche alla Csddd eliminano inutili complessità e, in ultima analisi, riducono gli oneri di conformità, preservando al contempo gli obiettivi della direttiva».
Dunque, ricapitolando, la revisione libera dall’obbligo di conformità l’80% dei soggetti obbligati dalla vecchia norma, il che significa evidentemente che per l’80% dei casi quella norma era inutile, anzi dannosa, visto che comportava costi ingenti per il suo rispetto e nessuna utilità pratica. Se vi fosse stata una qualche utilità la norma sarebbe rimasta anche per questi, è chiaro.
Non solo. Von der Leyen si rallegra di avere fatto risparmiare 4,5 miliardi di euro, come se a scaricare quella montagna di costi sulle aziende fosse stato qualcun altro o il destino cinico e baro, e non la norma che lei stessa e la sua maggioranza hanno voluto. La Commissione si rallegra di aver semplificato cose che essa stessa ha complicato, di avere tolto burocrazia dopo averla messa.
In questa commedia si potrebbe sospettare una regia di Eugène Ionesco, se fosse ancora vivo. La verità è che già la scorsa primavera, Germania e Francia avevano chiesto l’abrogazione completa delle norme. Nelle dichiarazioni a seguito dell’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, con la benedizione della Commissione, non è da meno il sagace ministro danese dell’Industria, Morten Bodskov (la Danimarca ha la presidenza di turno del Consiglio Ue): «Non stiamo rimuovendo gli obiettivi green, stiamo rendendo più semplice raggiungerli. Pensavamo che legislazione verde più complessa avrebbe creato più posti di lavoro green, ma non è così: anzi, ha generato lavoro per la contabilità». C’è da chiedersi se da quelle parti siano davvero sorpresi dell’effetto negativo generato dall’imposizione di inutile burocrazia sulle aziende. Sul serio a Bruxelles qualcuno pensa che complicare la vita alle imprese generi posti di lavoro? Sono dichiarazioni ben più che preoccupanti.
Fine di un incubo per migliaia di aziende europee, dunque, ma i problemi restano, essendo la norma di difficile applicazione pratica anche per le multinazionali. Sulla revisione delle due direttive hanno giocato certamente un ruolo le pressioni degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump a più riprese ha sottolineato come vi siano barriere non di prezzo all’ingresso nel mercato europeo che devono essere eliminate. Due di queste barriere sono proprio le direttive Csrd e Csddd, che restano in vigore per le grandi aziende. Non a caso, il portavoce dell’azienda americana del petrolio Exxon Mobil ha fatto notare che si tratta di norme extraterritoriali, definendole «inaccettabili», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder ha detto che le norme rendono difficile la fornitura all’Europa dell’energia di cui ha bisogno.
La sensazione è che si vada verso un regime di esenzioni ad hoc, si vedrà. Ma i lamenti arrivano anche dalla parte opposta. La finanza green brontola perché teme un aumento dei rischi, senza i piani climatici delle aziende, che però nessuno sinora ha mai visto. Misteri degli algoritmi Esg.
Ora le modifiche, che fanno parte del pacchetto Omnibus I presentato lo scorso febbraio dalla Commissione, dovranno essere approvate dal Consiglio Ue, dove votano i ministri e dove non dovrebbe incontrare ostacoli, e dal Parlamento europeo, dove invece è possibile qualche sorpresa nel voto. La posizione del Parlamento che ha portato all’accordo di martedì è frutto di una intesa tra i popolari del Ppe e la destra dei Patrioti e di Ecr. Il gruppo dei Patrioti esulta, sottolineando come l’accordo sia frutto di una nuova maggioranza di centrodestra che rende superata la maggioranza attuale tra Ppe, Renew e Socialisti.
Il risvolto politico della vicenda è che si è rotto definitivamente il «cordone sanitario» steso a Bruxelles attorno al gruppo che comprende il Rassemblement national francese di Marine Le Pen, il partito ungherese Fidesz e la Lega di Matteo Salvini.
Continua a leggere
Riduci
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La Bce, pur riconoscendo «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi», continua ad avere «dubbi sulla finalità della norma». Con la lettera, Giorgetti rassicura che l’emendamento non mira a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori del bilancio di Bankitalia e non contiene nessun escamotage per aggirare il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il ministro potrebbe inoltre fornire un ulteriore chiarimento direttamente alla presidente Lagarde, oggi, quando i due si incontreranno per i lavori dell’Eurogruppo. Se la Bce si riterrà soddisfatta delle precisazioni, il ministero dell’Economia darà indicazioni per riformulare l’emendamento.
Una nota informativa di Fdi, smonta i pregiudizi ideologici e le perplessità che sono dietro alla nota della Bce. «L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia è volto a specificare un concetto che dovrebbe essere condiviso da tutti: ovvero che le riserve auree sono di proprietà dei popoli che le hanno accumulate negli anni, e quindi», si legge, «si tratta di una previsione che tutti danno per scontata. Eppure non è mai stata codificata nell’ordinamento italiano, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati, anche membri dell’Ue. Affermare che la proprietà delle riserve auree appartenga al popolo non confligge, infatti, in alcun modo con i trattati e i regolamenti europei». Quindi ribadire un principio scontato, e cioè che le riserve auree sono di proprietà del popolo italiano, non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. «Già nel 2019 la Bce, allora guidata da Mario Draghi, aveva chiarito che la questione della proprietà legale e delle competenze del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), con riferimento alle riserve auree degli Stati membri, è definita in ultima istanza dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)». La nota ricorda che «il parere della Bce del 2019, analogamente a quello redatto lo scorso 2 dicembre, evidenziava che il Trattato non determina le competenze del Sebc e della Bce rispetto alle riserve ufficiali, usando il concetto di proprietà. Piuttosto, il Trattato interviene solo sulla dimensione della detenzione e gestione esclusiva delle riserve. Pertanto, dire che la proprietà delle riserve auree sia del popolo italiano non lede in alcun modo la prerogativa della Banca d’Italia di detenere e gestire le riserve».
Altro punto: Fdi spiega che «nel Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Ue) si parla di “riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri”, quindi si prevede implicitamente che la proprietà delle riserve sia in capo agli Stati. L’emendamento di Fdi vuole esplicitare nell’ordinamento italiano questa previsione». C’è chi sostiene che affermare che la proprietà delle riserve auree di Bankitalia è del popolo italiano non serva a nulla. Ma Fdi dice che «l’Italia non può correre il rischio che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani. Per questo c’è bisogno di una norma che faccia chiarezza sulla proprietà».
Continua a leggere
Riduci
Con Giuseppe Trizzino fondatore e Amministratore Unico di Praesidium International, società italiana di riferimento nella sicurezza marittima e nella gestione dei rischi in aree ad alta criticità e Stefano Rákos Manager del dipartimento di intelligence di Praesidium International e del progetto M.A.R.E.™.
Christine Lagarde (Ansa)
Come accade, ad esempio, in quel carrozzone chiamato Unione europea dove tutti, a partire dalla lìder maxima, Ursula von der Leyen, non dimenticano mai di inserire nella lista delle priorità l’aumento del proprio stipendio. Ne ha parlato la Bild, il giornale più letto e venduto d’Europa, raccontando come la presidente della Commissione europea abbia aumentato il suo stipendio, e quello degli euroburocrati, due volte l’anno. E chiunque non sia allergico alla meritocrazia così come alle regole non scritte dell’accountability (l’onere morale di rispondere del proprio operato) non potrà non scandalizzarsi pensando che donna Ursula, dopo aver trasformato l’Ue in un nano economico, ammazzando l’industria europea con il folle progetto del Green deal, percepisca per questo capolavoro gestionale ben 35.800 euro al mese, contro i 6.700 netti che, ad esempio, guadagna il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
Allo stesso modo funzionano le altre istituzioni dell’Unione europea. L’Ue impiega circa 60.000 persone all’interno delle sue varie istituzioni e organi, distribuiti tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo (la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, la Corte di giustizia dell’Unione europea e il Comitato economico e sociale). La funzione pubblica europea ha tre categorie di agenti: gli amministratori, gli assistenti e gli assistenti segretari. L’Ue contrattualizza inoltre molti agenti contrattuali. Secondo i dati della Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 2019, questi funzionari comunitari guadagnano tra 4.883 euro e 18.994 euro mensili (gradi da 5 a 16 del livello 1).
Il «vizietto» di alzarsi lo stipendio ha fatto scuola anche presso la Banca centrale europea (Bce), che ha sede a Francoforte, in Germania, ed è presieduta dalla francese, Christine Lagarde. Secondo quanto riassunto nel bilancio della Bce, lo stipendio base annuale della presidente è aumentato del 4,7 per cento, arrivando a 466.092 euro rispetto ai 444.984 euro percepiti nel 2023 (cui si aggiungono specifiche indennità e detrazioni fiscali comunitarie, diverse da quelle nazionali), ergo 38.841 euro al mese. Il vicepresidente Luis de Guindos, spagnolo, percepisce circa 400.000 euro (valore stimato in base ai rapporti precedenti, di solito corrispondente all’85-90% dello stipendio della presidente). Gli altri membri del comitato esecutivo guadagnano invece circa 330.000-340.000 euro ciascuno. Ai membri spettano anche le indennità di residenza (15% dello stipendio base), di rappresentanza e per figli a carico, che aumentano il netto effettivo. Il costo totale annuale del personale della Bce è di 844 milioni di euro, valore che include stipendi, indennità, contributi previdenziali e costi per le pensioni di tutti i dipendenti della banca. Il dato incredibile è che questa voce è aumentata di quasi 200 milioni in due anni: nel 2023, infatti, il costo totale annuale del personale era di 676 milioni di euro. Secondo una nota ufficiale della Bce, l’incremento del 2024 è dovuto principalmente a modifiche nelle regole dei piani pensionistici e ai benefici post impiego, oltre ai normali adeguamenti salariali legati all’inflazione, cresciuta del 2,4 per cento a dicembre dello scorso anno. La morale è chiara ed è la stessa riassunta ieri dal direttore, Maurizio Belpietro: per la Bce l’inflazione va combattuta in tutti i modi, ma se si tratta dello stipendio dei funzionari Ue, il discorso non vale.
Stessa solfa alla Corte di Giustizia che ha sede a Lussemburgo: gli stipendi variano notevolmente a seconda della posizione (avvocato, cancelliere, giudice, personale amministrativo), ma sono generalmente elevati, con giuristi principianti che possono guadagnare da 2.000 a 5.000 euro al mese e stipendi più alti per i magistrati, anche se cifre precise per i giudici non sono facilmente disponibili pubblicamente. Gli stipendi si basano sulle griglie della funzione pubblica europea e aumentano con l’anzianità, passando da 2.600 euro per il personale esecutivo a oltre 18.000 euro per alcuni alti funzionari.
Il problema, va precisato, non risiede nel fatto che le persone competenti siano pagate bene, com’è giusto che sia, ma che svolgano bene il proprio lavoro e soprattutto che ci sia trasparenza sui salari. Dei risultati delle politiche di Von der Leyen e Lagarde i giudici non sono esattamente entusiastici, ma il conto lo pagano, come al solito, i cittadini europei.
Continua a leggere
Riduci