La Tobin tax non ha mai sfiorato il gettito stimato. Ma ha solo azzoppato Piazza Affari e danneggiato l’Erario. È ora di abolirla
La Tobin tax non ha mai sfiorato il gettito stimato. Ma ha solo azzoppato Piazza Affari e danneggiato l’Erario. È ora di abolirlaNon finiremo mai di ringraziare Giorgio Napolitano per aver «accompagnato» a Palazzo Chigi Mario Monti, così sicuro di sé da incassare in anticipo la polizza da senatore a vita. Nessuno dei due ha fatto i conti con la storia. Purtroppo è troppo presto. Ma i conti con l’Erario, quelli sì, si possono già fare. Monti è il patron di ben tre imposte. Una più dannosa dell’altra. Il decreto ironicamente chiamato Salva Italia ha introdotto la tassa sul lusso. Aerei, navi e auto di alta cilindrata. Già nel 2012 il mercato della nautica è stato devastato. Ci sono voluti 5 anni per fare il punto sul superbollo, quando ci si è accorti che a fronte di un gettito di 160 milioni di euro, lo Stato ne perdeva 120. Si sono salvati solo gli aerei perché tradizionalmente immatricolati all’estero. Il senatore con il loden ha fatto più danni sulla casa. Qui con l’Imu lo Stato ci ha guadagnato eccome. Con le modifiche introdotte nel 2012 si è passati da una media di 9 miliardi all’anno a circa 20. Si sa le case non scappano e il risultato è stato impoverire il comparto. Infine, c’è la terza imposta partorita dal professore della Bocconi. La Tobin tax, o meglio la versione nostrana e unica. Tanto unica che solo il nostro Paese l’ha adottata (la Svezia l’ha sperimentata negli anni Ottanta salvo poi pentirsene). Si tratta di una imposta sulle transazioni finanziarie che viene applicata agli intermediari che operano intra day, cioè con transazioni giornaliere. A distanza di otto anni dall’introduzione possiamo dire che il colpo di genio di Monti costa alle casse dello Stato una media di 300 milioni all’anno. Da che la Tobin tax è stata introdotta c’è stato un crollo degli scambi del 45%, anche a fronte di una crescita del Market cap del 46.Per fare l’esempio concreto, nel solo 2019 l’imposta ha generato un gettito diretto di 353 milioni di euro, ma ha fatto perdere giro d’affari, ricavi per commissioni e per compensi finanziari e professionali che avrebbero garantito sempre alle casse dello Stato un gettito Irpef ed Ires di oltre 690 milioni. Il saldo negativo è di circa 340 milioni. I numeri non sono nostri, ma frutto di una indagine condotta da Ambromobiliare, l’advisor finanziario più attivo sulla Piazza milanese, che ha incrociato non solo i flussi di volumi e scambi, di gettito e di capitalizzazione di Borsa, ma anche realizzato nei mesi sondaggi tra fondi, sgr e altre società tutte operanti a Piazza Affari. Purtroppo lo stesso calcolo vale anche per gli anni precedenti, almeno a partire dal 2015. Tant’è che Monti prima di fare approvare il Salva Italia promise un gettito di 1 miliardo. Già l’anno seguente la stima fu ridotta a 800 milioni. Poi 700. Ma la realtà è che non si sono mai superati i 450 milioni. E ogni anno il saldo tra il denaro che l’imposta porta nelle casse dell’Erario e il gettito che sarebbe derivato dalle maggiori transazioni e dal volume d’affari correlato è sempre stato negativo. Lo sarà anche dai consuntivi del 2020 e pure dell’anno in corso. «Alla data del luglio di quest’anno», spiega a La Verità Alberto Franceschini Weiss, presidente di Ambromobiliare, «il gettito incassato è stato di 251 milioni, in crescita di 15 milioni rispetto allo stesso periodo del 2020. Il dato va però inquadrato tenendo conto che lo scorso anno è stato viziato dalla caduta delle borse nel periodo di lockdown e quest’ultimo semestre gode invece dell’effetto Draghi, che ha messo il turbo alle transazioni». Insomma, le differenze non cambiano la sostanza e ormai otto anni di statistiche sono sufficienti per decretare l’errore madornale commesso. «C’è anche un altro aspetto da prendere in considerazione», aggiunge Franceschini Weiss, «e sono i miliardi persi di indotto in tutti questi anni. Senza contare che Londra per via della Brexit ha ceduto il passo. Gli scambi e le transazioni azionarie si sono spostati sulla Ue, ma Milano non ne ha beneficiato. Amsterdam, Dublino e Parigi hanno invece avuto enormi effetti positivi. Noi no. Eppure sarebbe il momento per creare le condizioni perché la Lombardia (e Milano in particolare) diventi un hub finanziario». L’auspicio va preso seriamente in considerazione. E tra i tanti interventi di cui necessita il comparto, compresa un’attenta valutazione di Euronext, il più semplice è l’abolizione della Tobin tax. Con la fine del mese entrerà nel vivo la riforma fiscale. Le commissioni congiunte hanno stilato un interessante report di sintesi inviato al Mef. Tra gli interventi suggeriti c’è anche l’ottimizzazione delle imposte sul comparto finanziario. L’occasione migliore per rimediare agli errori di Monti. Perché se è vero che sul passato non si può fare nulla, almeno sarebbe opportuno evitare che la Borsa resti vittima di quella presidenza del Consiglio. La domanda di fondo è: chi ancora può sostenere la Tobin tax? Non bastano i numeri per abolirla? In fondo questo è già un caso di scuola, l’applicazione perfetta della curva di Laffer. Non vorremmo che un giorno qualcuno si svegli e chieda a Monti il danno erariale causato...
Elly Schlein (Ansa)
All’evento di Fratelli d’Italia ci saranno i leader d’opposizione Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Matteo Renzi, Carlo Calenda, Roberto Gualtieri, Roberto Fico e persino Luigi Di Maio. Spicca l’assenza del segretario dem (e di Maurizio Landini) mentre numerosi esponenti del Nazareno hanno accettato i confronti. Presente Abu Mazen.
L’edizione di Atreju di quest’anno ospiterà tutto il governo e tutta l’opposizione tranne la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. A tenerle buona compagnia anche il segretario della Cgil, Maurizio Landini. L’uno e l’altra assenti ingiustificati: Elly, una volta invitata, prima ha preteso di dettare condizioni, poi ancora una volta si è tirata indietro. Per la Cgil il discorso è diverso: l’invito quest’anno non sarebbe neanche partito. «Negli anni passati abbiamo posto l’invito alla Cgil e non è stato gradito, quest’anno non abbiamo voluto insistere per non metterli in difficoltà», spiega il deputato e responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli. Non solo Landini quindi, assente qualsiasi esponente del sindacato che guida, mentre i leader delle altre sigle (il presidente della Uil Pierpaolo Bombardieri, il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, e il segretario generale della Cisl, Daniela Fumarola) saranno ospiti di un panel che si terrà l’11 dicembre con il ministro del Lavoro, Marina Calderone, e la deputata del Pd Paola De Micheli.
Carlo Nordio (Ansa)
Interrogazione urgente dei capogruppo a Carlo Nordio sui dossier contro figure di spicco.
La Lega sotto assedio reagisce con veemenza. Dal caso Striano all’intervista alla Verità della pm Anna Gallucci, il Carroccio si ritrova sotto un fuoco incrociato e contrattacca: «La Lega», dichiarano i capigruppo di Camera e Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, «ha presentato un’interrogazione urgente al ministro Carlo Nordio sul caso del dossieraggio emerso nei giorni scorsi a danno del partito e di alcuni suoi componenti. Una vicenda inquietante, che coinvolge il finanziere indagato Pasquale Striano e l’ex procuratore Antimafia Federico Cafiero de Raho, attualmente parlamentare 5 stelle e vicepresidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie. Ciò che è accaduto è gravissimo, pericoloso, e va oltre ogni logica di opposizione politica», concludono, «mettendo a rischio la democrazia e le istituzioni. Venga fatta chiarezza subito».
Ambrogio Cartosio (Imagoeconomica). Nel riquadro, Anna Gallucci
La pm nella delibera del 24 aprile 2024: «Al procuratore Ambrogio Cartosio non piacque l’intercettazione a carico del primo cittadino di Mezzojuso», sciolto per infiltrazione mafiosa. Il «Fatto» la denigra: «Sconosciuta».
Dopo il comunicato del senatore del Movimento 5 stelle Roberto Scarpinato contro la pm Anna Gallucci era inevitabile che il suo ufficio stampa (il Fatto quotidiano) tirasse fuori dai cassetti le presunte valutazioni negative sulla toga che ha osato mettere in dubbio l’onorabilità del politico grillino. Ma il quotidiano pentastellato non ha letto tutto o l’ha letto male.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex capo della Dna inviò atti d’impulso sul partito di Salvini. Ora si giustifica, ma scorda che aveva già messo nel mirino Armando Siri.
Agli atti dell’inchiesta sulle spiate nelle banche dati investigative ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo, che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate, ci sono due documenti che ricostruiscono una faccenda tutta interna alla Procura nazionale antimafia sulla quale l’ex capo della Dna, Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare pentastellato, rischia di scivolare. Due firme, in particolare, apposte da De Raho su due comunicazioni di trasmissione di «atti d’impulso» preparati dal gruppo Sos, quello che si occupava delle segnalazioni di operazione sospette e che era guidato dal tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano (l’uomo attorno al quale ruota l’inchiesta), dimostrano una certa attenzione per il Carroccio. La Guardia di finanza, delegata dalla Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo già costruito a Perugia da Raffaele Cantone, classifica così quei due dossier: «Nota […] del 22 novembre 2019 dal titolo “Flussi finanziari anomali riconducibili al partito politico Lega Nord”» e «nota […] dell’11 giugno 2019 intitolata “Segnalazioni bancarie sospette. Armando Siri“ (senatore leghista e sottosegretario fino al maggio 2019, ndr)». Due atti d’impulso, diretti, in un caso alle Procure distrettuali, nell’altro alla Dia e ad altri uffici investigativi, costruiti dal Gruppo Sos e poi trasmessi «per il tramite» del procuratore nazionale antimafia.






