2021-06-11
Licenziò la precaria incinta: Aifa condannata
Durante la pandemia, su 45 lavoratori interinali l'agenzia diretta da Nicola Magrini ha lasciato a casa solo Vimala Conti. Per il giudice la donna è stata discriminata a causa della sua gravidanza. L'ente non ha fatto ricorso, ma ancora non versa le mensilità dovute.Al direttore generale dell'Aifa non devono piacere le mamme. Forse se le vede al parco giochi con i figlioletti, gli faranno anche tenerezza, ma in ufficio proprio no. Sarà per questo che Nicola Magrini ha lasciato a casa una lavoratrice in dolce attesa? Deve esserselo chiesto bene il giudice del tribunale di Roma, Monica Emili, prima di condannare l'Agenzia italiana del farmaco a risarcire di un anno di mancato stipendio la dottoressa Vimala Conti, unica lavoratrice interinale a cui lo scorso luglio l'Aifa non ha rinnovato il contratto. Gli altri 44 colleghi sono tutti rientrati e con accordi semestrali continuano a lavorare, per la neo mamma invece si sono chiuse tutte le strade. Secondo il giudice si è trattato di «discriminazione diretta» nei confronti della signora, in concomitanza con il suo stato di gravidanza. Nella sentenza del 22 aprile scorso «dichiara l'illegittimità della mancata proroga e/o rinnovo della missione di lavoro della ricorrente e, per l'effetto, condanna Aifa a risarcirle il danno col versamento della complessiva somma di euro 2.072,97 mensili, per 12 mensilità, oltre interessi al saldo. La dottoressa Conti, 37 anni, laureata in giurisprudenza e con un diploma di specializzazione per le professioni legali, era impiegata nello staff amministrativo della direzione generale Aifa. «Mai avrei pensato che un ente pubblico, non economico, che opera sotto la direzione del ministero della Salute e la vigilanza del ministero dell'Economia, potesse discriminare una donna in maternità», esclama ancora amareggiata. Aggiunge: «La delusione più grossa è aver cercato più volte di essere riassunta, scrivendo al direttore generale Magrini, senza mai ricevere una risposta». Vimala, originaria di Calcutta e adottata da una coppia di italiani, si accorse di essere incinta nell'agosto 2019, una bella notizia subito condivisa nell'ambiente di lavoro. La gravidanza procedeva bene, senza problemi, tant'è che l'11 febbraio del 2020 la dottoressa chiese di poter fruire della gravidanza flessibile per poter lavorare fino all'ottavo mese, spostando il più possibile il congedo dopo il parto. Poi a marzo ci fu il lockdown e la Conti fu costretta a fermarsi subito. Sapeva che a fine giugno doveva essere rinnovato il contratto e, dopo la nascita della piccola Vittoria, aveva preparato tutto per il rientro in ufficio. «Per una serie di attività, anche istituzionalmente rilevanti, l'Aifa si serve di lavoratori che non sono suoi dipendenti, vengono “affittati" da un'agenzia di lavoro somministrato, l'Orienta», spiega l'avvocato Andrea Circi, che assieme ai colleghi Maria Matilde Bidetti e Carlo de Marchis Gomez ha presentato e vinto la causa di lavoro contro l'agenzia regolatoria. «Per il gruppo di 45 interinali di cui faceva parte la Conti, l'Aifa disse a Orienta di prorogare il contratto a tutti, meno che alla mia cliente. Guarda caso era in maternità e in epoca Covid non si potevano certo licenziare le persone», osserva il legale. Il giudice del lavoro scrive che «il mantenimento in servizio degli altri lavoratori con contratti analoghi, può essere significativo del fatto che le sia stato riservato (a Vimala, ndr) un trattamento meno favorevole in ragione del suo stato di gravidanza». La dottoressa Monica Emili cita la corposa legislazione Ue per «proteggere l'eguaglianza di genere, inclusa la parità e la lotta alla discriminazione sulla base della gravidanza o della maternità». Ricorda che in data 24 giugno 2020 il ministero della Salute aveva rivolto all'Aifa «formale diffida» dal proseguire nell'utilizzo del personale «somministrato», chiedendo di non prorogare i contratti esistenti che avrebbero dovuto così cessare il 25 giugno. Per tutti vennero poi prorogati al 31 luglio (e successivamente), non per Vimala Conti malgrado il 30 giugno fosse ancora in vigore il suo rapporto di lavoro, «soltanto sospeso», precisa il giudice, in seguito al congedo per maternità. Avendo inoltrato domanda per la cosiddetta maternità flessibile, al fine di poter lavorare sino all'ottavo mese di gravidanza, la signora «era in congedo obbligatorio per maternità fino alla data dell'8 agosto 2020», si legge nella sentenza. Vimala fu privata della retribuzione in un periodo in cui era ancora in astensione obbligatoria protetta, e le venne tolta la possibilità di ritornare a lavorare. Scrisse al direttore generale Magrini anche nel dicembre scorso, per sollecitare il rinnovo del contratto. «Nessuna risposta mi è stata data, come se non esistessi. Mentre ai miei colleghi veniva prorogato di altri sei mesi il rapporto di lavoro che scadrà a fine giugno», lamenta la dottoressa. Decise allora di fare causa e la sentenza non poteva che darle ragione. «Aifa non ha ancora pagato l'anno di mensilità che mi deve», fa notare, «ha quattro mesi di tempo per poterlo fare, ma certo sarebbe stato un bel gesto provvedere subito con il risarcimento del danno. Invece silenzio assoluto». L'Agenzia del farmaco non avrebbe presentato ricorso contro la sentenza del giudice del lavoro, che parla senza mezzi termini di discriminazione ai danni di una lavoratrice. L'avvocato Circi non ne è a conoscenza: «Come ovvio sarei stato informato», commenta. Il danno che Vimala accusa non è solo economico. «Rimango comunque svantaggiata sotto il profilo professionale» spiega «perché quando si svolgerà il prossimo concorso Aifa per assistenti e funzionari e saranno conteggiati i mesi maturati in agenzia, non avendo io lavorato per un anno finisco agli ultimi posti nella graduatoria».