2024-09-26
Le trasmissioni radiofoniche «dimenticate» in cui De Felice spiegava l’Europa
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Renzo De Felice (Getty Images)
Nel 1960, lo storico reatino partecipò al alcune conversazioni radiofoniche sul Terzo Programma della Rai a proposito della idea di Europa in relazione all’unità d’Italia.La figura di Renzo De Felice è ormai indissolubilmente legata alla sua monumentale biografia di Benito Mussolini e all’influenza che quest’opera ha avuto sulla società italiana, polemiche e ostracismi compresi. Pochi si ricordano come lo storico reatino nasca tuttavia come studioso del giacobinismo italiano e che, prima di affrontare il fascismo, egli abbia affrontato anche periodi anteriori della storia patria. In questo senso, è prezioso un volumetto defeliciano uscito diversi anni fa, L’idea di Europa e l’unità d’Italia (Rai radio – Le Lettere), un testo oggi pressoché dimenticato e la cui storia è particolare.Il testo non raccoglie infatti testi originariamente pensati per essere presentati in forma scritta. Si tratta infatti di conversazioni radiofoniche andate in onda a partire dall’aprile 1960 sul Terzo Programma della Rai, ovvero sull’antenato di Radio Tre, nato il 1° ottobre 1950. De Felice vi arriva un po’ da outsider, senza avere, in quel momento, alcun incarico universitario e avendo alle spalle già qualche polemica politica: di formazione marxista, nel 1956 era stato tra i firmatari del Manifesto dei 101, sottoscritto da intellettuali dissenzienti verso l'appoggio dato dal partito all'invasione sovietica dell'Ungheria, prima espressione del suo progressivo distacco dal comunismo. Le su trasmissioni radiofoniche furono quindi una sorpresa per molti, anche perché riguardavano temi che egli non aveva fino a quel momento trattato e non avrebbe più trattato in vita sua.Allievo di Chabod, che all’idea di Europa aveva consacrato un importante saggio, De Felice ricorda come già fra i greci fosse sorta l’idea di una dimensione sociale, culturale, e non solo fisico-geografico dell’Europa, anche se quest’ultima era rimasta senza conseguenze pratiche: tanto l’ellenismo quanto l’impero romano avevano infatti spostato il baricentro verso terre non europee, lasciando a loro volta escluse dal proprio interesse terre schiettamente europee. Il Medioevo, con la diffusione del cristianesimo in tutto il continente, e il pericolo turco che si farà sentire soprattutto nel Rinascimento, creano gli embrioni di una prima autocoscienza europea (che solo con Machiavelli acquisisce però caratteristiche laico e politiche, non più confessionali). Sorge quindi un profondo lavorio culturale sul concetto, che dura secoli. Scrive De Felice: «Due secoli di politica di equilibrio e di elaborazione teorica e pratica di un vero e proprio “sistema” europeo contribuirono potentemente a formare l’idea che l’Europa fosse un “corpo” ben individuato e individuabile, con caratteristiche ben precise e proprie a lui solo. Il trapasso dalla politica alla teorizzazione di questo “corpo” si ebbe appunto nel Settecento».In quello stesso periodo, Linneo tentava di individuare in sede scientifica i tratti dell’homo europaeus, con tutto quel che l’antropologia dell’epoca aveva di approssimativo e di irricevibile per la sensibilità di oggi. Lo scienziato definiva l’europeo come bianco, biondo e di spirito «levis, acutissimus, inventor». Interessanti anche le notazioni sul sistema di governo tipico di ogni civiltà: per Linneo, gli europei avevano un sistema politico «retto da riti», gli americani (cioè i pellerossa) «da consuetudini», gli asiatici «dalle opinioni», gli africani «dal capriccio».Di questa temperie culturale, l’Italia partecipava in pieno. Scrive De Felice: «Il Settecento italiano fu profondamente partecipe della conquista e della elaborazione coscienziale dell'idea di Europa […]. Che l'Europa sia, nonostante le sue divisioni politiche e le sue diversità etniche, linguistiche, economiche un “corpo” unico con sue ben precise caratteristiche morali e civili è convinzione comune di tutto il Settecento italiano». Francesco Mario Pagano, giurista e filosofo soprannominato per la suq eloquenza «il Platone di Napoli», affermava: «Le varie società e nazioni d'Europa sono ora così unite tra loro per non separabili interessi e costumi che formano quasi un popolo solo».
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