
Russia e Turchia sembrano sempre più vicine a spartirsi definitivamente la Libia: uno scenario da incubo per Roma e Bruxelles. L'Italia dovrebbe per questo spingere la Casa Bianca a un celere rafforzamento del fianco meridionale della Nato. Una “alleanza inaspettata”. Così il Guardian ha definito la recente sponda tra il premier libico, Abdul Hamid Dbeibah, e Khalifa Haftar. La settimana scorsa, il capo di stato maggiore delle forze del generale della Cirenaica, Abdulrazek al-Nadoori, è stato invitato a Tripoli per dei colloqui tra i vertici militari dell’Est e dell’Ovest. Non solo. Pochi giorni prima, Dbeibah aveva licenziato il direttore della National Oil Corporation, Mustafa Sanalla, che era ai ferri corti con i manifestanti pro Haftar. Insomma, tra il generale e il premier di Tripoli sembra si stia registrando (seppure cautamente) un’intesa. Certo: è ancora troppo presto per capire se si tratta di qualcosa di concreto, anche perché la situazione complessiva nel Paese resta caratterizzata da una tensione piuttosto alta (negli ultimi giorni si sono infatti verificati scontri a Tripoli e a Misurata). Ciononostante la svolta è significativa. Non dimentichiamo infatti che, nei mesi scorsi, Haftar aveva dato il proprio appoggio al rivale di Dbeibah, Fathi Bashagha, che detiene non a caso la propria forza politica nella parte orientale del Paese. Adesso qualcosa sembra stia iniziando a cambiare. E, oltre alle complicate dinamiche interne, è possibile ritenere che questo stravolgimento rifletta dei fattori internazionali. Storicamente Haftar ha sempre goduto dell’appoggio della Russia: una Russia che aveva riconosciuto Bashagha ma che, con ogni probabilità, continua a vedere nelle milizie del generale della Cirenaica il proprio principale punto di riferimento in Libia. Dall’altra parte, la Turchia mantiene da sempre stretti legami con Dbeibah: è pur vero che Recep Tayyip Erdogan ha avuto rapporti cordiali con Bashagha. Ma non risulta che abbia mai di fatto “scaricato” il premier di Tripoli. Insomma, non si può del tutto escludere che questo disgelo tra Haftar e Dbeibah sia il riflesso di una progressiva convergenza tra Erdogan e Vladimir Putin in Libia. Ricordiamo che i due leader mantengono rispettivamente la propria influenza sull’Ovest e sull’Est del Paese. La Turchia ha recentemente stabilito di lasciare le proprie truppe in loco per altri 18 mesi. La Russia, dal canto suo, può fare affidamento sui temibili mercenari del Wagner Group. Non dimentichiamo del resto che Ankara e (soprattutto) Mosca usano lo scacchiere libico (anche) come trampolino di lancio per estendere la propria longa manus (politica, economica e militare) sul Sahel. Ebbene, è probabile che la distensione in corso tra Dbeibah e Haftar possa preludere a un accordo definitivo di spartizione della Libia tra Russia e Turchia: uno scenario, questo, non certo allettante per l’Unione europea (e, in particolare, per l’Italia). Ankara sta riuscendo ad acquisire una sempre maggiore centralità nello scacchiere internazionale. Un esempio lampante è il veto ricattatorio posto sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Senza poi dimenticare la pressione che il sultano sta esercitando con successo sulla Russia per quanto riguarda il delicato dossier siriano. Tutti questi fattori rafforzano indirettamente Erdogan anche sul fronte libico, contribuendo quindi a estromettere l’influenza occidentale dal Paese. Roma e Bruxelles dovrebbero urgentemente far presente questo pericolo alla Casa Bianca: il problema non riguarda solo l’Unione europea, ma anche il fianco meridionale della Nato.
Francesco Filini (Ansa)
Parla il deputato che guida il centro studi di Fdi ed è considerato l’ideologo del partito: «Macché, sono solo un militante e il potere mi fa paura. Da Ranucci accuse gravi e infondate. La sinistra aveva militarizzato la Rai».
Francesco Filini, deputato di Fratelli d’Italia, la danno in strepitosa ascesa.
«Faccio politica da oltre trent’anni. Non sono né in ascesa né in discesa. Contribuisco alla causa».
Tra le altre cose, è responsabile del programma di Fratelli d’Italia.
«Giorgia Meloni ha iniziato questa legislatura con un motto: “Non disturbare chi vuole fare”. Il nostro obiettivo era quello di liberare le energie produttive».
Al centro Joseph Shaw
Il filosofo britannico: «Gli islamici vengono usati per silenziare i cristiani nella sfera pubblica, ma non sono loro a chiederlo».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 10 novembre con Carlo Cambi






