2021-02-20
Basta giochi a colori con la vita degli italiani
Il rito del venerdì, che costringe i cittadini ad attendere il semaforo di Roberto Speranza per vivere, deve finire. Un ricatto che impedisce ai ristoratori di programmare e di ripartire. E che viene reso ancora più insopportabile dalle anticipazioni ansiogene dei virologiOgni venerdì si ripete il rituale, il nuovo atto d'adorazione ai tempi della religione sanitaria. I sudditi, a cuore stretto, con le mani giunte, aggiornano furiosamente le pagine dei quotidiani online e pregano la divinità farmaceutica: «Abbi pietà di noi, fa che non sia arancione, liberaci dal rosso». Poi giù ad aggiornare di nuovo le homepage in disperata attesa. Il destino di tutti, in fondo, è appeso alla volontà regale: alla redistribuzione dei colori calata dall'alto, basata su criteri che per i più risultano cabalistici: percentuali scandite come litanie, il metafisico calcolo dell'indice Rt...Tutti rimangono sospesi, il fiato in gola, nel giorno del giudizio: scarlatta o più tenue, che lettera dovremo cucire sul petto? Infine la sentenza viene emessa, e a quel punto è solo un gioco di sommersi e salvati. Chi rimane fra le sfumature giallastre annega nel sollievo il tenue moto di compassione per chi invece è sprofondato. Chi scampa alla stretta si sente, per qualche momento, benedetto, e dimentica tutto fino al prossimo giro. Sollevato, non protesta, ma forse dovrebbe. Perché già solo il meccanismo dell'attesa spasmodica basta a rovinare la vita a migliaia di persone.Dal colore delle zone dipende la sopravvivenza di bar, ristoranti e altre attività commerciali. Non è più accettabile che un ristoratore debba scoprire al venerdì pomeriggio se, come e quando potrà servire il suo menù nei due giorni successivi, quelli che potrebbero tra l'altro garantirgli qualche introito in più. Non è accettabile neppure che singoli, famiglie, amici e parenti rimangano in ambasce nella speranza di sapere come potranno gestire le proprie, sacrosante, giornate di riposo.E no, non provate a tirare in ballo l'egoismo, perché qui non si tratta di irresponsabili che mettono il proprio piacere davanti al bene comune. Qui si tratta del diritto di ogni cittadino a un'esistenza degna e dignitosa. Fatta, dunque, anche di contatti umani, legami familiari, esercizio fisico, svago, tranquillità. Da mesi e mesi, ogni italiano è vincolato a questa infernale trappola colorata, la possibilità di incontrare le persone care, o di programmare un'uscita dipende dalla benevolenza di istituzioni evanescenti, commissari inadeguati, misteriose equazioni, sfuggenti cabine di regia. Entità spettrali che emettono giudizi inappellabili. Tenere sulla corda professionisti e comuni cittadini non è rigore tecnico o scientifico, è semplice arroganza. E, in parte, vigliaccheria, perché si affidano agli zero virgola e agli strapuntini decisioni che dovrebbero essere, invece, politiche. Il ristoratore non rischia forse quando deve fare la spesa? Non compie scelte da cui può eventualmente dipendere la sua rovina? Se acquista troppa merce deperibile e poi gli piomba sul capo la restrizione, finisce nei guai. Ma in che guai incorre «l'esperto» che fa scattare il rosso o l'arancione a discapito di imprese e privati?Mario Draghi, a proposito delle serrate, ha pronunciato parole tutto sommato incoraggianti. Si è rivolto a «coloro che soffrono per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari». Ha promesso che farà «di tutto perché possano tornare, nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni». E si è persino impegnato a «informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole».Alle parole, tuttavia, devono seguire immediatamente i fatti. Dopo le chiusure criminali degli impianti sciistici la settimana passata, ieri si è riproposto il medesimo teatrino: indiscrezioni sui colori della Lombardia e del Lazio, scommesse sul ritorno in arancione dell'Emilia Romagna... Il tutto condito dal consueto, e ormai grottesco, contorno di dichiarazioni scriteriate dei vari virologi, epidemiologi, ricciardologi e gallolologi di tutta la nazione.Pare che il nuovo premier goda della fiducia, oltre che della maggioranza dei parlamentari, anche di buona parte degli italiani. La sensazione è che una bella fetta della popolazione si aspetti da Draghi proprio questo: la fine del ricatto sanitario. Unita a maggiore rispetto del lavoro e della vita privata. Il presidente del Consiglio si dice intenzionato a offrire tutto questo, il problema è che gli esperti chiamati a compiere certe scelte sono sempre gli stessi di prima. Stesso tono nelle comunicazioni ufficiali, stesse tempistiche, stesso gusto perverso nel rilasciare interviste terrorizzanti.Si vuol dare un segnale di discontinuità? Si cambi sistema (e persone), adesso. Non ci possiamo permettere di trascorrere altri 15 giorni in balia di astruse previsioni, pressioni dei presidenti di Regione trattati come questuanti, trattative i cui contorni affiorano sui media suscitando false aspettative o depressioni precoci. Ancora ieri, l'Istituto superiore di sanità invitava a «innalzare le misure in tutt'Italia, come ha fatto il resto d'Europa»; mantenere una «drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone e della mobilità»; evitare «tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo che non siano strettamente necessarie» e «rimanere a casa il più possibile». Al di là dei discorsi, delle parole di comprensione e delle pacche sulle spalle ai «colpiti dalla crisi», la realtà si raggruma nelle parole dell'Iss. La quotidianità di tutti noi, la sopravvivenza di bar e ristoranti, le riaperture delle scuole, il destino di palestre, piscine e attività sportive dipendono - ancora - dai tecnici. E i tecnici non hanno cambiato atteggiamento, non hanno cambiato modo di comunicare.Così, ogni volta, il rituale del venerdì si ripete, in nome della salute e della scienza. Ma questa non è salute: è psicosi. Non è scienza: è magia, per altro cattiva e poco efficace.
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