2025-05-10
L’Hellas campione d’Italia è quello che succede se si lascia la palla alla sorte
Lo scudetto dei veneti davanti al Napoli del Pibe fu il capolavoro di Bagnoli con Briegel e Larsen. Ma anche la prima (e quasi unica) stagione con gli arbitri estratti a caso...Febbraio 1980. Lake Placid. Giochi olimpici invernali. La squadra Usa di hockey, composta da dilettanti e giocatori universitari, batte la plurititolata, e strafavorita, equipe sovietica.Conquistando l’oro. Fu la folla a iniziare il countdown dei secondi rimanenti.Al Michaels, ai microfoni del network tv Abc, si unì ai tifosi con parole rimaste celebri (e che gli valsero il premio di telecronista dell’anno): «Undici secondi, dieci, stanno tutti contando alla rovescia... restano cinque secondi di gioco! Credete nei miracoli? Sì!...Unbelievable».Già. Perché la cosa incredibile dei miracoli è che... accadono. Lunedì se ne ricorderà un altro. Tutto italiano. Verificatosi il 12 maggio 1985, quarant’anni fa. Il giorno del trionfo gialloblù. Quando Verona divenne la capitale del calcio tricolore, con una giornata d’anticipo, grazie al pareggio per 1-1 a Bergamo con l’Atalanta. Che, andata in vantaggio, fu raggiunta dal gol di Preben Elkjær Larsen. Danese ma dal 2018, per decisione unanime del consiglio comunale, cittadino onorario scaligero, soprannominato il Sindaco, Cavallo Pazzo, il pazzo di Lokeren, il cui figlio è nato a Verona nel 1987. Entrato nella storia del calcio mondiale perché il 14 ottobre precedente, in Verona-Juventus, aveva segnato senza la scarpa. Antonio Di Gennaro pennella un rinvio di 50 metri dall’area veronese, Larsen arpiona la palla al volo sulla linea di centrocampo, salta il difensore bianconero, Stefano Pioli (l’allenatore del Milan campione 2021-22), che prova a fermarlo alla disperata con un tackle scivolato, non gli riesce ma nel contrasto gli sfila lo scarpino, e da sinistra infila il portiere con un rasoterra sul secondo palo.Hans-Peter Briegel, il roccioso Panzer tedesco che di quel Verona è stato sicuramente una delle anime (9 reti, da mediano): «Incredibile. Di norma non valeva una rete così, ma l’arbitro per fortuna non se n'è accorto». E Larsen: «Dopo 50 metri di corsa, con Pioli che mi toglie la scarpa, ero davanti alla porta, che dovevo fare? E comunque: si può fare gol senza una scarpa, l’importante è non farlo senza pantaloncini».Quello del 1984-85 è l’unico scudetto conquistato dall’Hellas Verona, l’unico ottenuto da una squadra veneta, l’unico vinto nel Dopoguerra da una squadra di una città non capoluogo di regione (l’ultima era stata la Pro vercelli nel 1921-22). Insomma: il primo - e fino ad ora ultimo - tricolore andato a una «provinciale». Meritatamente: il Verona rimase in testa alla classifica dalla prima all’ultima giornata. Evento più unico che raro. Una cavalcata epica, aggettivo da riservare agli appuntamenti che davvero s’imprimono nella memoria, segnando un pezzo di storia.Come Italia-Germania 4-3 ai mondiali in Messico del 1970 (o come, ma qui parla il tifoso nerazzurro, Inter-Barcellona 4-3, martedì scorso a Milano). Mattia Losi il 12 febbraio 2015 rievocava, per il Sole 24 Ore, un’altra circostanza che rende la vicenda davvero speciale. Titolo: «Arbitri scelti con sorteggio? Troppo bello per piacere al “sistema calcio”».Dieci anni fa, infatti, bastò che l’allora presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio «facesse una timida apertura alla proposta di sorteggio integrale delle giacchette nere, lanciata dal numero uno della Lazio Claudio Lotito, per scatenare il pandemonio, come scoperchiare una polveriera e buttarci dentro un fiammifero acceso». L’ipotesi fu così accantonata. Anche perché, nell’ultracentenaria storia del calcio made in Italy, per gli arbitraggi ci si era affidati alla sorte solo due volte.La seconda nel campionato 1998-1999, dopo che in quello precedente a Massimo Moratti erano mulinate furiosamente le pale eoliche per il rigore negato per fallo su Ronaldo nel match Juventus-Inter il 26 aprile 1998 (nel 98-99 vinse il Milan di Alberto Zaccheroni, alla stagione di debutto sulla panchina rossonera, con una rimonta storica sulla Lazio che finì seconda a un punto, e, si noti bene, Juventus e Inter rispettivamente settima e ottava. Per la cronaca: l’anno seguente si tornò all’ancien régime). La prima nel torneo 1984-85, quando appunto il Verona primeggiò davanti al Torino, all’Inter (di Karl-Heinz Rummenigge), alla Sampdoria (di Gianluca Vialli e Roberto Mancini), al Milan (di Franco Baresi e del debuttante Paolo Maldini), alla Juventus (di Michel Platini e Paolo Rossi), alla Roma e al Napoli (di un certo Diego Armando Maradona).Nell’83-84, per capirci, senza alcun tipo di sorteggio, la classifica era stata: Juventus, Roma, Fiorentina, Inter.Nel successivo, 1985-86, quando il sorteggio fu repentinamente abbandonato, il campionato finì con in testa la Juve, a seguire Roma, Napoli, Torino, Fiorentina, Inter, Milan.Conclusioni? Be’, il sospetto sorge spontaneo: la beffa dei veronesi alle grandi non sarebbe stata possibile se gli arbitri fossero stati «designati» e non «estratti».Losi: «Se a qualcuno, leggendo i numeri, viene qualche idea sul perché i grandi club (tutti i grandi club, e ripeto tutti i grandi club, e ripeto di nuovo: tutti i grandi club) abbiano sempre preferito evitare il sorteggio integrale, o cancellarlo dopo un solo anno di prova, be’, non è in nostro potere fermare la forza del pensiero». Lo scudetto veronese fu onesto, lindo, cristallino. «Vincemmo perché in una rosa di 16 giocatori ci furono pochissimi infortuni, e mai più di uno alla volta. E perché prendemmo solo cinque pali, contro i 10 o 15 degli avversari. Gli arbitraggi non li rammento, e questo probabilmente vuol già dire che non ci furono problemi. Perché due stagioni prima, quando arrivammo terzi, qualcosa che non mi piacque lo ricordo bene» ha spiegato una volta l’allenatore Osvaldo Bagnoli, oggi 89 anni, ragionando su cause e ragioni della supremazia gialloblù.Bagnoli è unanimemente riconosciuto come il demiurgo di quel tricolore, il condottiero di una solida armata. Che guidava anche con una certa laconicità. Briegel: «Bagnoli parlava poco ma parlava giusto. Vigilia della prima partita, viene in camera e mi dice solo tre parole».Sole, cuore e amore? «No: “Tu, domani, Maradona”. E io rispondo con una: “Sì”. Poi esce senza salutare. La domenica mi appiccico a Diego, faccio gol e vinciamo 3-1. Con Maradona siamo rimasti in buoni rapporti, mi mandava gli auguri a ogni Natale. Credo mi stimasse perché non lo picchiavo come invece facevano gli altri».Bagnoli, milanese, figlio di un operaio socialista, vive nella stessa casa di Valdonega, quartiere a nord del centro storico, al di là dell’Adige. Un atto di amore per una città da cui è ancora riamato, e che nel 2013, intervistato da Avvenire, volle difendere da un pregiudizio. Quando gli fu ricordato che negli anni ’80 «c’era qualche sciagurato che prima di un Verona-Napoli scriveva alla porta: «non si affitta ai napoletani», Bagnoli replicò: «Roba vecchia. Basta con questa storia della “Verona razzista”. Per colpa del solito gruppetto di sconsiderati, che sta in tutte le curve, la tifoseria veronese ha pagato e paga ancora ben oltre le proprie responsabilità».«Una figura enorme nel calcio italiano, quando ne parlo ancora oggi con grandi ex allenatori o ex campioni, al nome di Bagnoli scende un silenzio riverente, il rispetto per quell’impresa realizzata con sapienza tecnica e umana» lo ha celebrato Paolo Condò, autore con Adalberto Scemma di Lo scudetto del Verona. Ricordi, racconti e retroscena 40 anni dopo l’impresa (edizioni Solferino). In una serata nel salone della Biblioteca Capitolare, presenti le autorità cittadine e un manipolo di reduci, tra cui Giuseppe Galderisi, «Nanu», il miglior rigorista nella storia del Verona (insieme a Luca Toni). Cui don Bruno Fasani, sacerdote della diocesi e prefetto della stessa Biblioteca, ha riservato una dedica speciale. Con gaffe: «Galderisi mi ha fatto amare la Calabria e i calabresi, che quando si danno con l’anima sono irrefrenabili». Peccato solo che Galderisi sia nato a Vietri, in quel di Salerno, e che il soprannome affibbiatogli durante il periodo con le giovanili della Juventus, Nanu (che forse ha tratto in inganno il prelato), l’abbia ereditato da Franco Della Monica, bianconero nella stagione 1976-77, di Vietri come lui.In questo volume si ritrova il ritratto dell’allenatore che il quotidiano cittadino, l’Arena, affidò al principe dei commentatori calcistici, Gianni Brera, che aveva ribattezzato Bagnoli «Arthur Schopenhauer», ovvero il filosofo della Bovisa, per il supplemento realizzato nel 1985 in occasione della conquista del titolo.In vista del V-Day di lunedì, l’Arena ha chiesto ai suoi lettori, a conferma del fatto che il 12 maggio 1985 è una data passata alla storia: «Dov’eravate quel giorno? Scriveteci allegando se possibile anche uno scatto».È uno tsunami di amarcord, alcuni perfino commoventi. Ma il Franti che è in me non può non segnalare quello che si candida decisamente al titolo di più originale.L’ha scritto Pietro Marini: «Io sono nato nel febbraio del 1986. Se togliamo nove mesi, si torna a maggio 1985, cioè ai giorni della vittoria. Mi piace pensare di essere figlio dello scudetto».
(Totaleu)
Lo ha detto la vicepresidente del Parlamento europeo, Antonella Sberna (FdI), a margine dell'inaugurazione della Half Marathon Città dei Papi.
Silvio Berlusconi e Claudio Lotito al Senato in una foto del 13 ottobre 2022 (Getty Images)
Nel giorno in cui Silvio Berlusconi avrebbe compiuto 89 anni, Claudio Lotito gli dedica una lettera affettuosa: «Il modo in cui hai amato gli italiani continua a sostenerci. Hai realizzato tutti i tuoi sogni, rendendo l’Italia riconoscibile nel mondo».
«Caro Presidente, caro Silvio, auguri. Oggi compi gli anni, e anche se non sei fisicamente presente non è un problema. Potrà sembrare poco ortodosso usare questa espressione, ma il modo e l’intensità con cui hai amato gli italiani, così tanto e così profondamente, continuano a sostenerci anche se tu non ci sei più. È una cosa che è rimasta in ognuno di coloro che hanno capito che il tuo valore, come politico e come uomo, dipendevano anzitutto dalla maniera in cui i tuoi sentimenti, i tuoi pensieri e le tue azioni contribuivano allo sviluppo dell’esistenza degli altri individui. Credo che muoia lentamente chi non vive le proprie passioni, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle ‘i’ piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi. Caro Presidente, caro Silvio, il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni. E tu hai vissuto tutti i tuoi sogni: da imprenditore, da uomo di sport e da politico, tutti realizzati rendendo l’Italia riconoscibile al mondo. Auguri Presidente! Auguri Silvio!». Lo dichiara il senatore Claudio Lotito.
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