
L'esecutivo s'era impegnato a dare «comunicazioni rapide» sui divieti e a riportare in classe gli studenti Invece ora Elena Bonetti offre ai genitori il congedo a mezzo stipendio. E Patrizio Bianchi racconta che la Dad è il futuro.La prossima volta, per offrire alla popolazione un brivido d'emozione in più, si potrebbe anche non dire nulla. Lasciare che i genitori, con i bambini per mano, si presentino la mattina di fronte alle scuole, trovandole chiuse. Che dite, non sarebbe una simpatica sorpresa? In fondo non è molto diverso da quanto accaduto ieri in Lombardia, dove le famiglie hanno appreso in tarda mattinata che il giorno successivo avrebbero dovuto tenere i figli a casa per via del passaggio in «arancione scuro», una delle varie sfumature del disagio a cui ci siamo abituati negli ultimi mesi. La nuova tinta prevede che, dalla mezzanotte di ieri fino al 14 marzo, tutti gli istituti (con l'esclusione degli asili nido) rimangano sbarrati. E dire che Mario Draghi, insediandosi alla presidenza del Consiglio, aveva promesso «comunicazioni tempestive delle decisioni». Se questo è il cambio di passo, siamo messi bene. Il sapore acre della presa in giro, poi, rende tutto più sgradevole. Nelle ultime settimane ci sono state appunto promesse due cose: comunicazioni rapide e scuole aperte. Che cosa abbiamo ottenuto? Chiusura delle scuole comunicata all'ultimo momento. La sensazione, purtroppo, è che a guidare le scelte delle istituzioni (più o meno a tutti i livelli) riguardo alle chiusure sia, come sempre, la paura. Basta qualche titolo di giornale, qualche dato sgradito per seminare il panico. E allora risulta più facile blindare tutto invece che cercare strade alternative. Il problema è che, in questo modo, ad andarci di mezzo è il futuro di intere generazioni di bambini e ragazzi. Giusto ieri l'Unicef ha diffuso un rapporto che esamina l'impatto della pandemia di Covid sull'istruzione a livello globale. Nel documento si legge che la chiusura delle classi «ha conseguenze devastanti sull'apprendimento e sul benessere dei bambini. I più vulnerabili e coloro che non possono accedere all'apprendimento da remoto sono esposti a maggiori rischi di non tornare mai a scuola, o anche di essere costretti a matrimoni precoci o sfruttamento del lavoro minorile». Ma pare che, dalle nostre parti, di queste «conseguenze devastanti» non ci si dia preoccupazione. Forse davvero è venuto il momento di ammettere che la scuola non è realmente una priorità. Si dice che bisogna tenere aperto perché è un concetto nobile da esprimere in pubblico, ma alla prova dei fatti non ci si pensa due volte a rimandare tutti in didattica a distanza, a prescindere dai problemi che ciò potrà causare alle famiglie. E di certo non consola ciò che ieri ha dichiarato al Messaggero il ministro delle Pari opportunità e della famiglia, Elena Bonetti. La soluzione alla serrata dell'istruzione, a suo dire, starebbe la seguente: «Congedi retribuiti al 50% per chi è costretto a sospendere la propria attività per rimanere a casa con i figli con meno di 14 anni. Stiamo inoltre predisponendo la possibilità di ricorrere al congedo parentale non retribuito per chi ha figli d'età superiore ai 14 anni. Stiamo lavorando perché il congedo valga per tutti i giorni in cui una scuola ricorrerà alla didattica a distanza». Certo, rinunciare al 50% dello stipendio perché i figli non possono andare in classe è di sicuro un'ottima idea, che farà felici migliaia e migliaia di genitori. Lo stesso discorso si può fare per l'altra misura cui la Bonetti accenna: «Il diritto allo smart working ovunque esso possa essere implementato». Chiaro: figli in Dad, genitori a casa anche loro davanti al pc, due piccioni con una fava. In un colpo solo riusciamo a far studiare meno i ragazzi e far lavorare peggio padri e madri. Sembra proprio, però, che a questa situazione ci si debba abituare. Il neo ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi, vista la gravità del contesto ha deciso di rilasciare ieri la seconda intervista da quando è in carica. Bianchi era stato scelto proprio perché autore di un documento che ribadiva la necessità dell'istruzione in presenza. Ebbene, adesso viene a dirci che «in estate nessuno immaginava che saremmo stati soggetti a una trasformazione del virus di questa portata». Tradotto: quando non ero ministro dicevo che bisognava aprire, adesso che sono ministro ho paura anche io e chiudo, giustificandomi con la proverbiale formula «non ci sono alternative». Il ministro, tuttavia, non si limita a smentire sé stesso: riesce perfino a peggiorare la situazione. Prima tenta la carta della mistificazione, dicendo che le scuole non chiudono, bensì restano aperte online (bel tentativo, bravo). Poi aggiunge una frase agghiacciante sulla didattica a distanza che non va considerata «come ripiego ma come integrazione e arricchimento per costruire una scuola nuova». Capito il concetto? La Dad è il futuro, abituatevi. Del resto pure lo smart working ci è stato presentato con questi toni: la misura eccezionale si avvia a diventare permanente. «La crisi diviene risorsa», e dunque tocca abituarsi al peggio, perché il meglio non ci spetta. Nessuno pensa che la decisione sulla chiusura delle scuole sia semplice da prendere, né siamo convinti che si debba fingere che l'epidemia non esista e procedere come se nulla fosse. Ma se realmente la scuola è una priorità (e lo è) per il futuro dell'intera nazione, allora è doveroso trovare strade alternative. Se invece la priorità è prendere in giro gli italiani, beh, in quel caso ci leviamo il cappello: l'obiettivo è stato raggiunto alla perfezione.
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