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2021-06-30
Grillo liquida Conte: «E' una droga»
Giuseppe Conte e Beppe Grillo (Ansa)
Diciamo che poche volte sono stato d'accordo con Beppe Grillo, anzi a dire il vero quasi mai. Tuttavia, oggi mi è difficile dire che il fondatore dei 5 stelle abbia torto. Rispondendo a Giuseppe Conte, il comico genovese, che non è un politico sopraffino, ma di certo non è un cretino, ha replicato per le rime all'ex avvocato del popolo, il quale credo abbia dalla sua parte più presunzione che voti.
In una conferenza stampa meditata da giorni, l'ex presidente del Consiglio ha provato a prendersi il Movimento scippandolo al suo legittimo proprietario. E per strapparlo dalle mani all'Elevato, lo ha accusato di tutto, anche di essere un padre padrone poco generoso, che non intende far crescere la propria creatura, o un impresario edile che invece di consolidare le mura le vuole solo imbiancare. La comunità grillina sarebbe in sofferenza, vittima di carenze e ambiguità attribuibili in gran parte a Grillo, e per rimettere le cose a posto Conte avrebbe la ricetta migliore, ovvero un nuovo statuto che gli consegni il controllo dei 5 stelle e una democrazia di base che consolidi il suo potere. Insomma, in poche parole l'ex premier, da burattino con i fili (così veniva definito fino a due anni fa dalla stampa che ora lo incensa), vuole diventare il burattinaio del Movimento, esautorando il fondatore. Il quale però non ha alcuna voglia di farsi da parte e ieri ha reagito a modo suo, dicendo che l'ex presidente del Consiglio non ha visione politica né capacità manageriali. In pratica, una pippa. Uno che sa parlare bene, ma fare poco e quel poco non sempre funziona. Frasi che cascano proprio nel giorno in cui il governo si appresta a smontare l'ultima trovata di Conte, ovvero il cashback, un rimborso statale a chi paga i conti con la carta di credito che mirava a ridurre l'evasione fiscale, ma in realtà ha fatto aumentare solo il debito dello Stato, regalando soldi anche a chi non ne aveva bisogno senza peraltro scovare i furbi. Sì, una dopo l'altra, le scelte dell'ex premier vengono smontate, dal bonus vacanze alle nomine, a riprova che un conto è tenere una lezione un altro è metterla in pratica. Da Mario Monti in poi, di tecnici ne abbiamo visti tanti al lavoro, ma i risultati non sono stati quelli attesi. Dunque, Grillo attacca il suo pupillo, colui che lui stesso ha contribuito a mettere sul piedistallo di Palazzo Chigi dandogli dell'incapace.
Tuttavia, questo è il meno perché, dopo aver ribadito che l'ex premier non ha visione politica e neppure capacità di bravo amministratore, un Beppe imbufalito quasi quanto il giorno in cui ha attaccato i pm di Tempio Pausania che intendevano processare il figlio per stupro, ha raddoppiato le accuse, dicendo che Conte è un allucinogeno, una specie di ecstasy capace di creare illusioni. «Mi sento così: come se fossi circondato da tossicodipendenti che mi chiedono di poter avere la pasticca che farà credere a tutti che i problemi sono spariti». Insomma, Conte è una droga che genera assuefazione e dà l'illusione, con i suoi statuti e la sua scuola di partito, di aver risolto i problemi. Ma come ogni stupefacente, passata la fase di euforia, poi i problemi si ripresentano e in genere quasi sempre aggravati. «Vanno affrontate le cause per risolvere l'effetto, ossia i problemi politici (idee, progetti, visione) e i problemi organizzativi (merito, competenza, valori e rimanere movimento decentrato, ma efficiente). E Conte, mi dispiace, non potrà risolverli perché non ha visione politica, né capacità manageriali». Un de profundis per la leadership dell'ex avvocato del popolo che non lascia spazio a ripensamenti. Se quello dell'ex premier era un ultimatum, quello di Grillo è la soluzione finale. Il caso è chiuso: l'uomo che voleva farsi leader, prendendo la guida di un Movimento a cui neppure è iscritto, cambiandone le regole per potersi auto proclamare guida suprema, si è fatto male. Da presidente del Consiglio per caso, si trova per caso fuori da tutti i giochi: fuori dal Movimento, fuori dal Parlamento e pure fuori da quelle che un tempo avremmo definito le stanze che contano. Sì, mai ascesa e discesa politica furono tanto rapide. Grillo ha archiviato in un solo colpo la sua candidatura, il suo statuto (che ha definito seicentesco) e la sua voglia di rivincita. Non ci sarà alcun voto sulle clausole che Conte avrebbe voluto per incoronarsi leader. Ce ne sarà uno sulla piattaforma Rousseau (che è nelle mani di Davide Casaleggio, un nemico dell'ex premier), ma per eleggere il nuovo direttivo.
Conte certamente non avrà preso bene le parole del fondatore e forse proverà, nonostante abbia giurato di non averne alcuna intenzione, a fondare un proprio partito, ma le scissioni, da quella capitanata da Gianfranco Fini a quella voluta da Massimo D'Alema, sono sempre finite in un vicolo cieco ed è questa la prospettiva più concreta dell'avvocato che, soddisfatto di sé, appena un anno e mezzo fa diceva: nella mia carriera ho vinto il 99 per cento delle cause. Ecco, poi c'è un uno per cento che fa la differenza, perché è l'unica causa che conta.
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Giuseppi licenziato come una colf: «Non ha visione politica né capacità manageriali. Può creare l'illusione collettiva (e momentanea) ma non può risolvere i problemi del Movimento». Poi il comico recupera Davide Casaleggio: «Si vota il direttivo sulla piattaforma Rousseau»Diciamo che poche volte sono stato d'accordo con Beppe Grillo, anzi a dire il vero quasi mai. Tuttavia, oggi mi è difficile dire che il fondatore dei 5 stelle abbia torto. Rispondendo a Giuseppe Conte, il comico genovese, che non è un politico sopraffino, ma di certo non è un cretino, ha replicato per le rime all'ex avvocato del popolo, il quale credo abbia dalla sua parte più presunzione che voti. In una conferenza stampa meditata da giorni, l'ex presidente del Consiglio ha provato a prendersi il Movimento scippandolo al suo legittimo proprietario. E per strapparlo dalle mani all'Elevato, lo ha accusato di tutto, anche di essere un padre padrone poco generoso, che non intende far crescere la propria creatura, o un impresario edile che invece di consolidare le mura le vuole solo imbiancare. La comunità grillina sarebbe in sofferenza, vittima di carenze e ambiguità attribuibili in gran parte a Grillo, e per rimettere le cose a posto Conte avrebbe la ricetta migliore, ovvero un nuovo statuto che gli consegni il controllo dei 5 stelle e una democrazia di base che consolidi il suo potere. Insomma, in poche parole l'ex premier, da burattino con i fili (così veniva definito fino a due anni fa dalla stampa che ora lo incensa), vuole diventare il burattinaio del Movimento, esautorando il fondatore. Il quale però non ha alcuna voglia di farsi da parte e ieri ha reagito a modo suo, dicendo che l'ex presidente del Consiglio non ha visione politica né capacità manageriali. In pratica, una pippa. Uno che sa parlare bene, ma fare poco e quel poco non sempre funziona. Frasi che cascano proprio nel giorno in cui il governo si appresta a smontare l'ultima trovata di Conte, ovvero il cashback, un rimborso statale a chi paga i conti con la carta di credito che mirava a ridurre l'evasione fiscale, ma in realtà ha fatto aumentare solo il debito dello Stato, regalando soldi anche a chi non ne aveva bisogno senza peraltro scovare i furbi. Sì, una dopo l'altra, le scelte dell'ex premier vengono smontate, dal bonus vacanze alle nomine, a riprova che un conto è tenere una lezione un altro è metterla in pratica. Da Mario Monti in poi, di tecnici ne abbiamo visti tanti al lavoro, ma i risultati non sono stati quelli attesi. Dunque, Grillo attacca il suo pupillo, colui che lui stesso ha contribuito a mettere sul piedistallo di Palazzo Chigi dandogli dell'incapace.Tuttavia, questo è il meno perché, dopo aver ribadito che l'ex premier non ha visione politica e neppure capacità di bravo amministratore, un Beppe imbufalito quasi quanto il giorno in cui ha attaccato i pm di Tempio Pausania che intendevano processare il figlio per stupro, ha raddoppiato le accuse, dicendo che Conte è un allucinogeno, una specie di ecstasy capace di creare illusioni. «Mi sento così: come se fossi circondato da tossicodipendenti che mi chiedono di poter avere la pasticca che farà credere a tutti che i problemi sono spariti». Insomma, Conte è una droga che genera assuefazione e dà l'illusione, con i suoi statuti e la sua scuola di partito, di aver risolto i problemi. Ma come ogni stupefacente, passata la fase di euforia, poi i problemi si ripresentano e in genere quasi sempre aggravati. «Vanno affrontate le cause per risolvere l'effetto, ossia i problemi politici (idee, progetti, visione) e i problemi organizzativi (merito, competenza, valori e rimanere movimento decentrato, ma efficiente). E Conte, mi dispiace, non potrà risolverli perché non ha visione politica, né capacità manageriali». Un de profundis per la leadership dell'ex avvocato del popolo che non lascia spazio a ripensamenti. Se quello dell'ex premier era un ultimatum, quello di Grillo è la soluzione finale. Il caso è chiuso: l'uomo che voleva farsi leader, prendendo la guida di un Movimento a cui neppure è iscritto, cambiandone le regole per potersi auto proclamare guida suprema, si è fatto male. Da presidente del Consiglio per caso, si trova per caso fuori da tutti i giochi: fuori dal Movimento, fuori dal Parlamento e pure fuori da quelle che un tempo avremmo definito le stanze che contano. Sì, mai ascesa e discesa politica furono tanto rapide. Grillo ha archiviato in un solo colpo la sua candidatura, il suo statuto (che ha definito seicentesco) e la sua voglia di rivincita. Non ci sarà alcun voto sulle clausole che Conte avrebbe voluto per incoronarsi leader. Ce ne sarà uno sulla piattaforma Rousseau (che è nelle mani di Davide Casaleggio, un nemico dell'ex premier), ma per eleggere il nuovo direttivo. Conte certamente non avrà preso bene le parole del fondatore e forse proverà, nonostante abbia giurato di non averne alcuna intenzione, a fondare un proprio partito, ma le scissioni, da quella capitanata da Gianfranco Fini a quella voluta da Massimo D'Alema, sono sempre finite in un vicolo cieco ed è questa la prospettiva più concreta dell'avvocato che, soddisfatto di sé, appena un anno e mezzo fa diceva: nella mia carriera ho vinto il 99 per cento delle cause. Ecco, poi c'è un uno per cento che fa la differenza, perché è l'unica causa che conta.
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
Getty Images
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
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