2021-06-30
Grillo liquida Conte: «E' una droga»
Giuseppe Conte e Beppe Grillo (Ansa)
Giuseppi licenziato come una colf: «Non ha visione politica né capacità manageriali. Può creare l'illusione collettiva (e momentanea) ma non può risolvere i problemi del Movimento». Poi il comico recupera Davide Casaleggio: «Si vota il direttivo sulla piattaforma Rousseau»Diciamo che poche volte sono stato d'accordo con Beppe Grillo, anzi a dire il vero quasi mai. Tuttavia, oggi mi è difficile dire che il fondatore dei 5 stelle abbia torto. Rispondendo a Giuseppe Conte, il comico genovese, che non è un politico sopraffino, ma di certo non è un cretino, ha replicato per le rime all'ex avvocato del popolo, il quale credo abbia dalla sua parte più presunzione che voti. In una conferenza stampa meditata da giorni, l'ex presidente del Consiglio ha provato a prendersi il Movimento scippandolo al suo legittimo proprietario. E per strapparlo dalle mani all'Elevato, lo ha accusato di tutto, anche di essere un padre padrone poco generoso, che non intende far crescere la propria creatura, o un impresario edile che invece di consolidare le mura le vuole solo imbiancare. La comunità grillina sarebbe in sofferenza, vittima di carenze e ambiguità attribuibili in gran parte a Grillo, e per rimettere le cose a posto Conte avrebbe la ricetta migliore, ovvero un nuovo statuto che gli consegni il controllo dei 5 stelle e una democrazia di base che consolidi il suo potere. Insomma, in poche parole l'ex premier, da burattino con i fili (così veniva definito fino a due anni fa dalla stampa che ora lo incensa), vuole diventare il burattinaio del Movimento, esautorando il fondatore. Il quale però non ha alcuna voglia di farsi da parte e ieri ha reagito a modo suo, dicendo che l'ex presidente del Consiglio non ha visione politica né capacità manageriali. In pratica, una pippa. Uno che sa parlare bene, ma fare poco e quel poco non sempre funziona. Frasi che cascano proprio nel giorno in cui il governo si appresta a smontare l'ultima trovata di Conte, ovvero il cashback, un rimborso statale a chi paga i conti con la carta di credito che mirava a ridurre l'evasione fiscale, ma in realtà ha fatto aumentare solo il debito dello Stato, regalando soldi anche a chi non ne aveva bisogno senza peraltro scovare i furbi. Sì, una dopo l'altra, le scelte dell'ex premier vengono smontate, dal bonus vacanze alle nomine, a riprova che un conto è tenere una lezione un altro è metterla in pratica. Da Mario Monti in poi, di tecnici ne abbiamo visti tanti al lavoro, ma i risultati non sono stati quelli attesi. Dunque, Grillo attacca il suo pupillo, colui che lui stesso ha contribuito a mettere sul piedistallo di Palazzo Chigi dandogli dell'incapace.Tuttavia, questo è il meno perché, dopo aver ribadito che l'ex premier non ha visione politica e neppure capacità di bravo amministratore, un Beppe imbufalito quasi quanto il giorno in cui ha attaccato i pm di Tempio Pausania che intendevano processare il figlio per stupro, ha raddoppiato le accuse, dicendo che Conte è un allucinogeno, una specie di ecstasy capace di creare illusioni. «Mi sento così: come se fossi circondato da tossicodipendenti che mi chiedono di poter avere la pasticca che farà credere a tutti che i problemi sono spariti». Insomma, Conte è una droga che genera assuefazione e dà l'illusione, con i suoi statuti e la sua scuola di partito, di aver risolto i problemi. Ma come ogni stupefacente, passata la fase di euforia, poi i problemi si ripresentano e in genere quasi sempre aggravati. «Vanno affrontate le cause per risolvere l'effetto, ossia i problemi politici (idee, progetti, visione) e i problemi organizzativi (merito, competenza, valori e rimanere movimento decentrato, ma efficiente). E Conte, mi dispiace, non potrà risolverli perché non ha visione politica, né capacità manageriali». Un de profundis per la leadership dell'ex avvocato del popolo che non lascia spazio a ripensamenti. Se quello dell'ex premier era un ultimatum, quello di Grillo è la soluzione finale. Il caso è chiuso: l'uomo che voleva farsi leader, prendendo la guida di un Movimento a cui neppure è iscritto, cambiandone le regole per potersi auto proclamare guida suprema, si è fatto male. Da presidente del Consiglio per caso, si trova per caso fuori da tutti i giochi: fuori dal Movimento, fuori dal Parlamento e pure fuori da quelle che un tempo avremmo definito le stanze che contano. Sì, mai ascesa e discesa politica furono tanto rapide. Grillo ha archiviato in un solo colpo la sua candidatura, il suo statuto (che ha definito seicentesco) e la sua voglia di rivincita. Non ci sarà alcun voto sulle clausole che Conte avrebbe voluto per incoronarsi leader. Ce ne sarà uno sulla piattaforma Rousseau (che è nelle mani di Davide Casaleggio, un nemico dell'ex premier), ma per eleggere il nuovo direttivo. Conte certamente non avrà preso bene le parole del fondatore e forse proverà, nonostante abbia giurato di non averne alcuna intenzione, a fondare un proprio partito, ma le scissioni, da quella capitanata da Gianfranco Fini a quella voluta da Massimo D'Alema, sono sempre finite in un vicolo cieco ed è questa la prospettiva più concreta dell'avvocato che, soddisfatto di sé, appena un anno e mezzo fa diceva: nella mia carriera ho vinto il 99 per cento delle cause. Ecco, poi c'è un uno per cento che fa la differenza, perché è l'unica causa che conta.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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