
Il Nord è in apprensione per via della quarantena. Il Sud è in ansia temendo che il focolaio di coronavirus scenda lungo la Penisola. Risultato: tutti parlano di pandemia e improvvisamente la crisi di governo sfuma. Matteo Renzi rientra dal Pakistan come un normale turista della neve, Forza Italia ritira gli emendamenti contro la prescrizione grillina e il Conte bis riprende il suo impegno principale.
Cioè, torna a discutere di nomine pubbliche sotto traccia e senza che i giornaloni se ne occupino. Eppure non dovrebbe essere così. Un interessante articolo pubblicato in queste ore da Pandora Rivista tocca il cuore del tema. Al di là delle indiscrezioni, quello che colpisce è il ridotto approfondimento attorno al deposito delle liste e attorno alle modalità di filtro all'ingresso. «Il punto dirimente riguarda il merito e il futuro delle società in questione. In alcuni casi, i vertici uscenti delle principali aziende a partecipazione pubblica sono sentiti a livello parlamentare, per esempio presso le commissioni su attività produttive e industria», si legge nell'articolo online. «In altri casi, ciò non accade. Comunque, le audizioni non danno forma a un dibattito chiaro sul ruolo di tali società nel nostro Paese, nelle sue capacità tecnologiche e occupazionali, nella sua proiezione internazionale». Tanto meno assistiamo a una discussione sul merito delle candidature.
In queste ore, complice il turbinio sul coronavirus, c'è forte movimento sul futuro dei vertici di Leonardo. Al di là dei nomi già usciti sulle colonne dei quotidiani (Domenico Arcuri, Fabrizio Palermo e Giuseppe Giordo) a muoversi per prendere l'incarico che ora ricopre Alessandro Profumo ci sarebbe Alfredo Altavilla. Lo storico manager di Fiat e Fca in questo momento è consigliere di Tim. È uscito dal Lingotto in malo modo e i legami con John Elkann si sono interrotti bruscamente. È rimasto in buoni rapporti con Michele Briamonte, anch'egli, dopo essere stato nell'inner circle degli Agnelli, adesso vive in periferia. Briamonte mantiene però ancora solidi rapporti in Vaticano. Ai tempi dell'inchiesta su Mps il suo nome finì sulle colonne dei giornali per le accuse di fughe di notizie. Prima ancora, nel 2013, nell'ambito dell'inchiesta sullo Ior, Briamonte fu fermato dalla Gdf a Fiumicino. Non fu perquisito perché esibì un passaporto diplomatico. Ora senza il documento blu, all'avvocato resta comunque la diplomazia, che starebbe usando per cercare di organizzare un incontro tra Altavilla e il cattolico ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Ma c'è un'altra sponda a cui guarda Briamonte. Gli ambienti vaticani ancora legati all'influenza di Tarcisio Bertone si presterebbero per una eventuale triangolazione al fine di arrivare al premier Giuseppe Conte. La cui vicinanza al Vaticano non è certo una novità. Al di là del telefono senza fili, quale sarebbe la strategia di una Leonardo guidata da Altavilla?
Nulla da dire sulle competenze manageriali. Mentre i suoi rapporti con il fondo Elliott influirebbero in qualche modo? Il mondo della Difesa è estremamente complesso. Per cui bisogna domandarsi se la eventuale sua candidatura al posto di Profumo porterebbe a una revisione, magari a percorrere la strada del general contractor o quella di uno spezzatino delle attività, magari in condivisione con Fincantieri? Quale sarebbe il futuro rapporto con i francesi? D'altro canto, gli ultimi due anni di gestione aziendale si sono dimostrati in crescita, avendo superato gli incagli lasciati da Mauro Moretti. Leonardo si è costruita un ruolo strategico in Qatar, si sta muovendo in tandem con Fincantieri in Egitto e soprattutto a differenza di quanto accadeva fino al 2018 sta anche avviando dei cluster in grado di dare fastidio ai cugini di Parigi. Sicuramente tutto ciò è possibile grazie alla silenziosa attività del presidente, Gianni De Gennaro. Sono però equilibri molto delicati. Basta un niente per spezzarli.
Ecco che vorremmo sentire dai partiti di maggioranza, non solo il Pd ma anche i 5 stelle, che cosa hanno in mente per il futuro di Leonardo. Vorremmo sentirlo prima di leggere le liste del Mef. Lo stesso discorso, inutile dirlo, vale per gli altri colossi. Vale soprattutto per l'Eni, che dentro di sé raccoglie non solo istanze tutte tricolore, ma anche pressioni e desiderata dei fondi esteri (vedi i fondi americani) ma anche dei partner esteri che da anni hanno puntato sul Cane a sei zampe per strategie che sono di durata molto più lunga rispetto a quella dei singoli governi. Perché gli esecutivi passano, ma le nomine restano.






