2020-04-01
L’Europa scalda i motori per l’unico «aiuto» che ha in testa: il Mes
Da Mario Centeno a Klaus Regling, tutti i big dell'Ue bocciano i coronabond. Però Enrico Letta rassicura gli italiani: «Tranquilli, ci pensa Paolo Gentiloni».Il 7 aprile, data del prossimo Eurogruppo, è quasi arrivato e prosegue alacremente l'attività dei ministri delle Finanze per mettere a punto i dettagli dell'unico strumento che prevedono i trattati per contrastare eventi eccezionali: il Mes. Con buona pace di tutta l'esibizione di muscoli del nostro governo all'indomani dell'ultimo Consiglio europeo. Il presidente dell'Eurogruppo, Mario Centeno, come riporta la Reuters, ha inviato lunedì una lettera ai suoi colleghi invitandoli ad «affrettarsi nel lavoro già cominciato sull'eventuale uso degli strumenti e delle risorse del Mes e della Bei». Proseguiva affermando che «siamo anche pronti a discutere nuove proposte da parte della Commissione. Infine, sono pronto a sottoporre proposte valide, concrete, ben giustificate che possano aiutarci ad intensificare la nostra risposta». Traduzione: non fatemi perdere tempo con i coronabond.Usare la Bei in questo frangente equivale a voler abbattere un elefante con una cerbottana, il cui costo sarebbe pure in parte a nostro carico. Ad oggi la Bei, che nel 2019 ha erogato prestiti per 70 miliardi, ha risorse modeste da mettere in campo e, se volesse aumentarle, dovrebbe ricorrere agli azionisti per prestiti o garanzie, tra cui spicca l'Italia col suo 19%. A meno che non si segua il suggerimento del professor Alberto Quadrio Curzio di conferire nella Bei quote delle società partecipate dallo Stato (Eni, Enel, ecc...), che sarebbe come esporre il cartello «Vendesi» sul portone di Palazzo Chigi.A conferma che l'unica scelta è il Mes è arrivata ieri, con eccezionale e sospetto tempismo, l'intervista del suo amministratore delegato, Klaus Regling, al Financial Times. Sui coronabond è tranciante: «Ci vorrebbero da uno a tre anni per mettere in piedi qualsiasi cosa che gli somigli. Non si emettono obbligazioni dal nulla», ha chiosato il tedesco, riferendosi alla necessità di avere capitale a garanzia e disporre di entrate proprie. Nel breve termine, per soddisfare le necessità di spesa legate alla sanità ed alle contromisure economiche, il Mes ha capacità di prestare fino a 410 miliardi. Riguardo alle condizioni a cui assoggettare i Paesi beneficiari dei finanziamenti, Regling parla di «condizioni limitate alla verifica del modo in cui è speso il denaro e che assicurino che il Mes sia rimborsato». Circa la durata del prestito, egli assicura che esiste «la più grande flessibilità, sicuramente superiore a quella del Fmi». Sembrerebbe tutto molto bello, ma Regling non aggiunge che:1 Oggi il Mes non dispone in cassa di 410 miliardi. Li deve trovare emettendo obbligazioni sui mercati, dove nel 2019 ha raccolto soli 30 miliardi ed altrettanti intende raccoglierne nel 2020. Non dimentichiamo che Regling è quello che disse nel 2015, in un drammatico Eurogruppo per salvare la Grecia, «dove li trovo 27 miliardi su due piedi?».2 Per questo motivo, la Bce deve avere un ruolo. E in punta di piedi, il Mes si sta portando avanti, inserendo ieri a sorpresa un'altra asta di titoli a 12 mesi per il 15 aprile. Sta mettendo fieno in cascina per prestare poi all'Italia? Già oggi quasi metà dei bond del Mes/Efsf sono in mano alla Bce per circa 113 miliardi, ed è verosimile che Regling si prepari a fare il pieno col nuovo programma di acquisti della Bce.3 I trattati prevedono «rigorosa condizionalità» per l'assistenza finanziaria, per cui la condizionalità è una coperta corta. Se la si tira troppo, la Corte costituzionale tedesca è in agguato. Per non parlare del Bundestag che deve comunque votare sui nuovi prestiti erogati dal Mes.4 È vero, inizialmente potrebbe esserci una condizionalità molto scarna. Ma non vi sono tuttavia garanzie che misure più incisive non possano essere introdotte unilateralmente in una fase successiva (articolo 7 del Regolamento 472/2013).Al confronto con questa cruda realtà, Enrico Letta, intervistato dal Corriere della Sera, ricorda il soldato giapponese disperso nel Pacifico dopo la seconda guerra mondiale, ancora convinto di potercela fare contro gli Usa. Infatti è convinto che «il Mes ha in cassa 410 miliardi e le regole di ingaggio si possono cambiare», quando così non è, come sopra dimostrato. Ritiene che «quando stai sul Titanic non c'è cabina di prima o terza classe, si affonda tutti insieme», ma pur essendo vero che questa crisi colpisce tutti, dimentica di aggiungere che la capacità di risposta è palesemente asimmetrica. Chi ha debito/Pil al 60%, come la Germania, ha una posizione di partenza diversa da chi, come l'Italia, lo ha al 136%. E la Germania sta già spendendo. Continua a sognare un «grande corona deal europeo… e dobbiamo, insieme, costruire uno strumento europeo per battere la crisi. Gestito da tutti i Paesi e finanziato con tutte le risorse disponibili, tra cui una emissione di bond dalla Bei, usando i soldi del Mes senza condizionalità». Basta risalire di qualche riga per capire che i fatti stanno diversamente. Quando poi conclude che non ci sarebbe rischio di rimanere strozzati perché «ci sarebbe Gentiloni in cabina di regia», allora corre un brivido lungo la schiena.Perché Letta non invoca il finanziamento diretto del deficit da parte della Bce? Purtroppo si continua a non voler vedere la realtà: tutta l'Unione è fondata sulla rigida separazione della responsabilità di bilancio dei singoli Stati e sul divieto di finanziamento monetario del deficit. «Soluzioni compatibili con i trattati europei», ha ribadito Charles Michel ieri sera. Chi vuole sovvertire tali regole è lo stesso che le ha supinamente accettate a Maastricht ed a Lisbona. Per chi vuole aiuto c'è il Mes, con le sue regole. Ammettere di aver sbagliato, prima di voler forzare i tedeschi verso soluzioni fantasiose?
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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