2022-09-12
«L’Europa è priva di una guida. Si accorge della realtà solo quando è già crollata addosso»
L’ex ministro Giulio Tremonti: «Il tetto del prezzo del gas? Mi pare infantile pensare che Putin possa cedere. Raramente nella storia c’è stata una tale assenza di leadership nell’affrontare una crisi».«È come alla fine della “Belle Epoque”, prima della grande guerra. Oggi come allora, abbiamo una leadership internazionale di sonnambuli, pensatori occasionali, incapaci di capire il mondo. E poi arrivò Sarajevo». Per descrivere la caratura della nomenklatura occidentale, il professor Giulio Tremonti si appoggia a una citazione di Henry Kissinger: «personaggi mancanti del senso della direzione e della missione». Nel suo ultimo libro Globalizzazione. Le piaghe e la cura possibile (Solferino), Tremonti, oggi candidato a Milano con Fratelli d’Italia, individua nella fine del mondo globalizzato la causa degli attuali sconquassi. «Questa è una crisi della globalizzazione. Ma il problema è che i globalisti sono ancora al loro posto. Gestiscono la crisi dopo averla creata. E per giunta continuano a impartirci lezioni». Papa Francesco ha parlato apertamente di «terza guerra mondiale» in atto. Qualcuno poteva prevederlo? «È impressionante pensare che esattamente un anno fa, i leader si facevano immortalare trionfanti al G20 di Roma, con la regia del governo italiano di Mario Draghi. Nel comunicato finale, estremamente positivo, non compariva nemmeno una volta la parola “crisi”. Sorridenti, in un clima di festa, andarono a gettare le monetine nella fontana di Trevi: chissà se oggi lo rifarebbero». Col senno di poi, quelle monetine era meglio tenersele? «Non è passato neanche un anno, e quegli stessi leader oggi dipingono un’iconografia drammatica. Ma dov’erano prima? Mi chiedo come sia possibile che una crisi sconvolgente come quella di oggi, paragonabile a un nuovo ’29, non fosse stata prevista. Anzi, è stata ampiamente negata, e “annegata” nell’ottimismo dell’ottobre scorso». Insomma, in Europa non c’è una guida? «No. E se c’è, è retroattiva. Si accorge della realtà solo fuori tempo, quando gli è già crollata addosso. Continuano a predicare, ma senza mai spiegare perché non hanno saputo vedere e prevedere. Raramente nella storia c’è stata una squadratura così profonda tra realtà e politica, una così impressionante assenza di leadership». Resta il fatto che su gas e sostegno alle famiglie, l’Europa continua a non decidere, e si presenta drammaticamente divisa. «C’è molta confusione sulla natura dei valori europei. Se l’Ungheria di Orban è considerata- giustamente - una deviazione dai valori europei, lo stesso si potrebbe dire dell’Olanda. Se Budapest ha abusato del diritto di veto, sistematicamente lo ha fatto anche Amsterdam. Che, dalla tassazione alla speculazione, non sembra esattamente un modello da seguire». Sarebbe possibile imporre alla Russia un tetto al prezzo del suo gas? «È come pensare di spaventare un leone infilandogli la testa in bocca. Sarebbe infantile sperare che Putin ceda di fronte a un tetto del prezzo del gas, che così congegnato somiglierebbe a una sanzione politica. Adesso si parla invece di un tetto al prezzo europeo, per proteggere i consumatori, ma anche qui emergono numerosi dubbi e complessità. Sul lato politico non vedo il consenso, e sul lato tecnico servivano dei piani pensati per tempo. Chi immagina tasse comunitarie si troverà davanti il muro dell’Olanda, in un sistema in cui l’unanimità è diventata una camicia di forza». Resisteranno di più i russi alle sanzioni, o gli europei alle conseguenze delle sanzioni?«Le sanzioni hanno il carattere di essere irreversibili, pena la distruzione della credibilità. Se vogliamo capire come si pensa dall’altra parte della trincea dovremmo leggere «L’arte del contadino russo di fare la fame». In Russia non conta soltanto il Pil, i numeri, le statistiche, ma anche la forza di spirito. Allo stesso modo, gli effetti delle sanzioni non vanno visti solo dal lato economico, ma anche dal lato storico e in divenire dal lato geopolitico». Cioè?«È in atto lo spostamento della Russia verso la Cina. Il conflitto si sposta dall’Atlantico al Pacifico, si configura un nuovo “confronto” tra Oriente e Occidente. E la guerra ha accelerato questo processo». Questa mancanza di visione europea è evidente anche in economia?«Siamo passati dall’austerity ideologica alla liquidità ideologica, cioè la creazione di moneta dal nulla. E oggi la Bce corre ai ripari alzando i tassi. Ma chi è che per dieci anni li ha tenuti sottozero? Ricordiamoci Marx: “I tassi a zero saranno la fine del capitalismo”». Si aspettava di più dal governo italiano? «Questo governo si è presentato in Senato nel febbraio 2021 con un programma molto ambizioso. Dicevano di ispirarsi a Cavour, per le riforme, e a De Gasperi per l’unità nazionale. Ma De Gasperi con l’unità nazionale non c’entrava nulla, visto che cacciò i comunisti dalla maggioranza. Per quanto riguarda Cavour, io le riforme non le ho viste: la grande riforma del fisco? Non c’è. La riforma della previdenza? Non c’è. La riforma della giustizia? Non mi pare particolarmente incisiva». Di decreti ce ne sono stati...«Questo governo ha emanato decreti e affini che in fila fanno 2,7 chilometri, 25 campi da calcio, in soli diciassette mesi di vita: ma questo non è più il diritto, semmai il rovescio. Vuol dire paralizzare la vita di tutto e di tutti. Mi chiedo se anche questo fa parte dell’agenda Draghi, che alcuni vorrebbero portare avanti. Ricordo che la Rivoluzione francese inizia quando il terzo Stato chiede un Re, una Legge e un ruolo di imposta. I francesi volevano un sistema giuridico non medievale: il Re non li ascoltò e gli tagliarono la testa, poi arrivarono i codici di Napoleone, la cui forza e semplicità fu alla base dello sviluppo dell’Europa». E l’osannato decisionismo draghiano?«La finanziaria dell’anno scorso era piena di scostamenti di bilancio, nel nome della collaborazione tra parlamento e governo. Questo fino all’elezione per il Quirinale: da lì in poi si instaura una linea “vendicativa”, che proibisce gli scostamenti». Davvero pensa che Draghi si opponga allo scostamento di bilancio perché scottato da ragioni personali-quirinalizie? «Diciamo pure ragioni “antropomorfe”». Lei scrive che il governo Draghi non ha potuto o forse voluto affrontare una crisi che era già visibile in tutta la sua gravità.«I segni c’erano tutti. L’inflazione era cresciuta ben prima della guerra, anche a causa della speculazione e della tassazione». Nel decreto bollette le risorse arrivano anche dall’aumento del gettito: una partita di giro?«Una partita di raggiro. In Italia paghiamo le tasse sulle tasse, in pratica è stata inventata l’imposta sugli aumenti. Prendiamo la benzina, gravata dalle accise e poi dall’Iva sulle accise stesse. Forse, in contesti straordinari come quelli che stiamo vivendo, sarebbe più ragionevole eliminare alla radice queste imposte, piuttosto che tassare e poi parzialmente restituire. E non a tutti». Le aziende energetiche temono gli insoluti, e chiedono alle aziende garanzie bancarie sulle bollette future. Rischiamo fallimenti a catena nel settore energia, una «Lehman energetica»?«La crisi del 2008 venne annunciata nel 2006 dalla crisi di Enron, un colosso che guardacaso speculava sui derivati sull’energia. Le ricorda qualcosa? I derivati sono l’essenza del globalismo finanziario. Non a caso, uno dei consulenti di Palazzo Chigi ipotizzava, in un saggio fenomenale, che i derivati avrebbero salvato dalla fame i contadini indiani». Letta dice che con la vittoria delle destre tornerà al governo chi ci ha portato a un passo dal default. «Letta abbaia sugli spread che superavano 500 dell’autunno 2011. Per me fa fede Draghi, che fino ad aprile di quell’anno disse che la gestione pubblica era stata prudente. Letta inoltre non ricorda che lo spread volò a 537 nel luglio successivo, con il governo Monti da lui patrocinato. Oggi il segretario Pd dovrebbe rileggere Einstein, che nel pieno della crisi del ’29 disse: la soluzione non può essere trovata da chi i problemi li ha creati, e cioè dai globalisti». Tutto sommato, dovremmo rivedere il concetto di «europeismo»?«C’è stata anche un’Europa positiva. Quella che è uscita dalla fase più grave della pandemia grazie agli acquisti comuni dei vaccini, e all’adozione degli eurobond che il governo italiano aveva già proposto dieci anni fa. E ancora: nel 2003 la Commissione Europea e la Bce volevano imporre sanzioni a Germania e Francia. Una decisione che avrebbe cambiato il corso della storia per quei paesi e per l’Europa intera. Ebbene, mi pare di ricordare di essere stato io ad evitare quelle sanzioni, attirandomi le ire dei cosiddetti europeisti. Forse dovremmo finalmente cominciare a distinguere i sedicenti europeisti dai semplici fanatici». Finita la globalizzazione, dunque, qual è la ricetta per uscire dal guado? «Crollata la globalizzazione, non possiamo continuare con la vecchia politica, sempre più scema. Non serve inventarne un’altra, ma riprendere quella adottata prima della globalizzazione. Nel mio libro si ricorda che la democrazia era fondata su quattro pilastri. La Carta Atlantica, modello positivo di democrazia; il Manifesto di Ventotene, che immagina un esercito comune europeo; il discorso di commiato del presidente Eisenhower, che attacca il «complesso militare-industriale» oggi incarnato dai giganti della rete. E infine il trattato di Bretton Woods: un trattato commerciale simile è ancora fondamentale, perché se il mondo non sarà più globale, sarà sempre internazionale. Esiste un modello storico di democrazia, dobbiamo semplicemente riattivarlo».
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.