Il mezzo per l’ecotour da Brescia a Torino si è fermato ad Alessandria. Per arrivare al comizio al segretario è servita un’auto. La scusa: non ci sono ricariche. È la sintesi delle idee ecologiste fuori dalla realtà e dannose. La Bce premia lo studio che smonta la tassa sulla CO2: porta inflazione.
Il mezzo per l’ecotour da Brescia a Torino si è fermato ad Alessandria. Per arrivare al comizio al segretario è servita un’auto. La scusa: non ci sono ricariche. È la sintesi delle idee ecologiste fuori dalla realtà e dannose. La Bce premia lo studio che smonta la tassa sulla CO2: porta inflazione.Un bus chiamato débâcle, simbolo perfetto della campagna elettorale del Partito democratico. Intendiamoci, non è che noi si vada in giro a cercarle, le perle di tristezza offerte dai dem. È Enrico Letta che continua a offrircele ogni giorno con insistenza, così tanta da sfiorare lo stalking. L’ultima l’ha scodellata sabato a Torino, in Piazza d'Armi, dove è apparso nel tardo pomeriggio a bordo di un’auto elettrica. Del resto, tra i temi centrali della proposta politica del segretario piddino c’è proprio la cosiddetta svolta green, tutta basata sull’utilizzo di energie alternative. «Questo tour con i nostri mezzi elettrici si rivela una bellissima occasione per raccontare al Paese che la mobilità sostenibile deve essere il futuro», ha detto il dolce Enrico soddisfatto. C’è stato solo un piccolo inconveniente. Dicevamo che Letta è arrivato sotto la Mole con l’auto. Significa che non ha utilizzato il consueto bus, anch’esso elettrico, che aveva scelto per spostarsi durante l’intero tour elettorale. Il motivo l’ha svelato il Corriere della Sera, edizione torinese: il pullmino aveva esaurito la batteria dopo aver traghettato il candidato fino ad Alessandria. Secondo gli organizzatori dell’evento Pd, il bus «aveva la batteria quasi scarica, non sarebbe riuscito ad arrivare ad Alessandria e tornare indietro». Già in tempi non sospetti chi scrive aveva suggerito ai dem un cambiamento di slogan: al posto dell’attuale «scegli» troveremmo più opportuno un secco «spegni». A quanto pare, tale modifica non può più essere rinviata. E si tratta senza dubbio di una circostanza piuttosto ridicola: l’uomo che imposta la sua campagna sul verde elettrificato si trova improvvisamente con la batteria a terra, roba da sprofondare. Il povero segretario, non sapendo come uscirne, ha utilizzato la antica strategia sinistra: dare la colpa alla società, alle cause sistemiche. «Per il nostro Paese è complicatissimo oggi usare l’elettrico», ha piagnucolato. «Ecco perché il nostro ecotour è anche una denuncia rispetto alle difficoltà per l’Italia di vivere una mobilità sostenibile». Bel tentativo, ma ad essere sinceri la sbandierata «denuncia» è arrivata solo dopo che il bus ha mollato il colpo. In aggiunta, c’è poco da incolpare il sistema: il Pd governa da tempo immemore, per cui non ha che da prendersela con sé stesso. La manfrina potrebbe anche finire qui, con Letta che, come al solito, si rende patetico e il sipario che si abbassa tra gli sghignazzi del pubblico. Però non è mica così semplice, perché accanto all’aspetto comico della vicenda ce n'è pure uno radicalmente tragico, che ci riguarda tutti.metafora dell’Italia Il mezzo guidato da Letta che all’improvviso si spegne è una spaventosa evocazione dell’Italia che potrebbe essere e che già in parte è. Mostra plasticamente ciò che accade quando si vuole infilare a forza la realtà nella forma troppo stretta dell’ideologia. Oggi siamo una nazione che rischia, appunto, di rimanere senza energia. E non per via delle malefatte di Vladimir Putin o per colpa di qualche complotto fascio-sovranista. Se il costo dell’energia è aumentato lo dobbiamo in primis (e soprattutto, almeno allo stato attuale) alle scriteriate decisioni sulla transizione ecologica. A livello europeo prima e italiano poi il Fronte dei Buoni ha voluto forzare la mano, imporre limiti all’utilizzo dei fossili e alle emissioni, e così facendo ci ha lanciato in una svolta «green» a cui di sicuro non eravamo pronti. Non è che ci servisse chissà quale training emotivo, il fatto è che il buon vecchio tessuto produttivo non era in condizione di reggere un impatto che avrebbe potuto (e dovuto) per lo meno essere più graduale. agli ordini di gretaTornando a Letta, le possibilità sono due: o le risorse verdi sono utili ed efficienti, in quel caso è lui che non è capace di utilizzarle per caricare il suo bus elettorale (e se non sai gestire un bus, non puoi gestire una nazione). Se invece - come lo stesso segretario dem dichiara - l’elettrico qui da noi non è a regime, come non lo sono le altre energie cosiddette pulite, allora non è il caso di mollare i fossili in tutta fretta per gettarsi nel vuoto solo perché ce lo hanno ordinato Greta Thunberg o il principe Carlo. Comunque la si giri, il risultato è il medesimo: si resta a piedi. Se a restare privo di energia è il camioncino di Letta, c’è persino il rischio che qualcuno si risparmi un comizio soporifero e vagamente irritante. Ma se al buio finiscono imprese e famiglie, è il disastro. Ergo, l’incidente torinese ci pare un cattivo presagio da tenere in seria considerazione: volete affidarvi a uno che si stacca la spina da solo?
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.







