2020-12-27
L’esplorazione «salvatica» di Rigoni Stern
L'autore, noto per i racconti della guerra, era anche un fine osservatore delle piante che incontrava tra le sue montagne. In un volume, diventato la bibbia dei «biofili», raccolse 20 ritratti di giganti verdi che lo hanno accompagnato durante la vitaNel 1991 i tipi di Einaudi stampano un libretto di Mario Rigoni Stern (1921-2008), Arboreto salvatico. Il libello abbraccia 20 testi usciti sul quotidiano La Stampa e dedicati ad altrettante specie di piante che l'autore incontra camminando fra i boschi e le sue montagne intorno ad Asiago. Questo libretto è quasi diventato un must, o come direbbero i musicologi, uno standard, tanto che credo sia l'opera italiana più citata in tutti i libri dedicati agli alberi pubblicati in seguito, nei successivi tre decenni, sia da saggisti di natura e del paesaggio che da accademici, da camminatori viaggiatori esploratori nonché poeti. Eppure, come informa accuratamente lo storico Giuseppe Mendicino nel suo ricco saggio Mario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri (Priuli & Verlucca, 2017): «All'Einaudi in un primo momento hanno dei dubbi: l'idea di raccogliere scritti dedicati alle piante appare sin troppo originale, ma dopo averli letti ne comprendono le qualità narrative e letterarie. Non si tratta di un piccolo trattato botanico: ogni albero è lo spunto per riallacciare i fili della memoria su eventi piccoli o grandi, ma comunque importanti per la vita dell'autore». Mi sono sempre chiesto se il titolo fosse sbocciato immediatamente o se, come spesso avviene in via Biancamano, fosse frutto di una mediazione, quando non di un'imposizione editoriale. Mendicino ce lo dice: Rigoni Stern propone «una serie di possibili titoli, nell'ordine: Arboreto salvatico, Racconti di alberi, Boscomisto, Libro degli Alberi. Lascia la scelta all'Einaudi: che fortunatamente cade su Arboreto Salvatico, indubbiamente il più originale». Chi scrive non ha avuto la stessa fortuna visto che Il mondo è un bosco, titolo che ora porta uno dei miei saggi, pubblicato un quarto di secolo dopo per lo stesso marchio, è stato deciso d'imperio dal direttore di collana, mentre fra quelli che avevo proposto resta per me un rammarico non essere stato capace, o meglio sufficientemente convincente, per far sì che s'intitolasse Arborgrammaticus, come di mio continuo a pensarlo.Nell'edizione originale in copertina finisce Casa colonca con betulle di Gustav Klimt, mentre nell'edizione attualmente in circolazione, ristampata nei Supercoralli nel 2015, un bosco spoglio nebbioso e tardo autunnale del fotografo Vance Geller. La prima volta che lo presi in mano ero poco più che ventenne, negli anni confusi dei cosiddetti studi universitari, o meglio negli anni in cui avrei dovuto studiare e invece facevo dell'altro. In effetti al tempo mi parve un libro curioso, 20 alberi, non ero ancora diventato un Homo Radix che attraversa costantemente il paesaggio in cerca di biophilia, come la chiamano oggi in molti. Allora gli alberi erano alberi come le rane erano rane, la musica classica tutta musica classica e così via. Tentavo di raggruppare la realtà, piuttosto che di discernere, di separare, di distinguere. E così lo lessi, ma con una certa distrazione. I capolavori di Rigoni Stern erano altri: Il sergente nella neve, Ritorno sul Don, Storia di Tönle, Il bosco degli urogalli. Successivamente ci sono ritornato tante volte e oramai le piante che descrive mi sono diventate familiari quasi come i grandi alberi che vado ritmicamente a ritrovare, sparsi qui sulle alpi e le prealpi, o in giro per l'Italia.Il larice o Larix decidua è uno degli alberi che Rigoni Stern ama di più, poiché cresce aggrappato alle rocce e sostiene le furiose nevicate invernali e i venti sostenuti, sopravvive alle scosse dei fulmini e decora coi suoi colori infiammati di fine autunno i paesaggi già strepitosi delle montagne. Ricorda gli usi di un tempo, quando si incideva il tronco alla base e si raccoglieva la resina da cui si estraeva la trementina, usatissima in medicina quando dai pittori. E poi le qualità del suo legno, utile in edilizia, ovviamente, ma anche per le scandole dei tetti, mobili, botti, mastelli. I Veneziani hanno edificato chiese e cà su pali di larice piantati in laguna, poiché «immarcescibili». L'abete rosso o Peccio o Picea excelsa, oggi Picea abies, è un altro albero comune, nelle sue aree come in Val di Fiemme, entrambi territori duramente provati dai venti dirompenti della tempesta Vaia che nell'ottobre di due anni fa ha strappato via 13-14 milioni di alberi in un sol battito di tamburo. Rigoni Stern ricorda quando era bambino e si celebrava la festa degli alberi, mettendo a dimora pianticelle di peccio, al tempo in cui questa attività serviva doppiamente: non solo si rimboschiva un territorio colpito tragicamente dalla follia della Prima guerra mondiale, ma si ripuliva la terra dei residuati bellici, quali armi, granate inesplose e così via. L'abete bianco o Abies alba invece è più alto e nobile, e Rigoni Stern ricorda quel grande albero che è stato l'Avez del Prinzipe, il gigante alto 54 metri che cresceva a Malga Laghetto, sui pianori d'intorno a Lavarone, prima di essere abbattuto anch'esso dal vento; fu il più alto albero autoctono dell'arco alpino italiano, amato da Robert Musil e visitato da Sigmund Freud, ospite all'Hotel du Lac di Lavarone nelle estati del 1906 e del 1907.Il noce o Juglans regia, l'ultimo albero a buttare le foglie, di cui è noto e ricercato il frutto, come abbiamo visto quando abbiamo ricordato, nelle settimane scorse, il miracolo delle noci descritto da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi, ma nondimeno il legname: «Duro, pesante, compatto; si può facilmente dividere in fogli per intarsi e impiallacciature, è buono di tornio, allo scalpello, alla pialla, per mobili di pregio, per calci di fucile, per pavimenti di lusso». Al tempo sotto il noce si andavano a baciare gli innamorati, era di buon auspicio come lanciare le noci agli sposi, proprio come adesso si fa con le manciate di riso. Magari tirando più in basso. E poi l'acero, il melo, il pero, il pioppo, il ciliegio, il gelso, il salice, la quercia, il castagno, l'ulivo, il pino, la sequoia, il faggio, il tiglio, il tasso, il frassino, il sorbo e la betulla. Per ogni albero Mario Rigoni Stern ci ricorda episodi della propria vita, descrive le qualità e alcuni dettagli botanico-forestali. Certo, Rigoni Stern era un uomo interessato a tutta la natura, come testimoniano i romanzi e i tanti racconti, dedicati spesso anche agli animali - si pensi ad esempio alla vasta raccolta Uomini, boschi e api, Il libro degli animali, o Stagioni, pubblicato due anni prima della morte. Un altro long-seller del genere, Le voci del bosco (1998) di Mauro Corona, è stato ispirato proprio da Arboreto salvatico.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)