
Gian Marco Grosso, assolto ieri dall'accusa di riciclaggio, era un dirigente del centro fiduciario dell'istituto genovese all'epoca di Giovanni Berneschi. Specializzato in stratagemmi, ora fa il cacciatore di evasori. È stato assolto proprio ieri dall'accusa di riciclaggio, dopo una lunga vicenda giudiziaria che lo ha portato anche ad essere arrestato: Gian Marco Grosso, 50 anni, ex dirigente di Carige che lavorava al centro fiduciario, il ramo della banca che si occupava di investimenti finanziari dei clienti vip, può festeggiare sia la decisione del giudice di Genova, Silvia Carpanini, che il suo nuovo posto di lavoro all'Agenzia delle entrate. Iniziato a onor del vero già da diverse settimane. Tutti assolti: Grosso, la moglie dell'ex presidente di Carige Giovanni Berneschi, Umberta Rotondo, l'ex dirigente Antonio Cipollina e l'ex procuratore finanziario Marcello Senarega erano accusati di riciclaggio per l'operazione di rientro dalla Svizzera di 12 milioni di euro intestati alla moglie di Berneschi (uscito dal processo per intervenuta prescrizione).Il pm Marcello Maresca aveva chiesto la condanna a due anni ciascuno per Antonio Cipollina e Gian Marco Grosso, gli allora vertici del centro fiduciario finiti ai domiciliari quando, nel 2014, esplose l'inchiesta della Guardia di finanza. Conclusa positivamente per Grosso e gli altri imputati la vicenda giudiziaria, resta aperta quella legata al «nuovo» lavoro dell'ex manager di Carige: dal 2015 è impiegato all'Agenzia delle entrate, con il compito di riscuotere le tasse. L'Agenzia delle entrate, lo ricordiamo, è un ente pubblico che opera sotto la vigilanza dal ministero dell'Economia: lo stesso ministero che ha inflitto a Grosso una sanzione di 300.000 euro, supermulta che ora, alla luce dell'assoluzione, potrebbe essere annullata.Il caso di Grosso, sollevato ieri dalla Stampa e dal Secolo XIX, è paradossale: seppure in maniera perfettamente legale, infatti, l'ex manager ha iniziato a lavorare all'Agenzia delle entrate mentre era imputato in un processo relativo a reati di carattere finanziario. La svolta della sua vita si compie tutta a cavallo tra il 2014 e il 2015. Nel 2014 la Carige finisce al centro dello scandalo, i magistrati mettono sotto accusa i vertici dell'istituto e i due manager Grosso e Cipollina. Grosso viene licenziato, fa causa per riottenere il posto di lavoro, perde. A quel punto, partecipa a un concorso per 20 posti di funzionario all'Agenzia delle entrate: le prove si svolgono tra la primavera e l'estate del 2015, Grosso si classifica al quindicesimo posto su circa 1.000 partecipanti. Del resto, di tasse se ne intende: nella «precedente vita» ha lavorato dall'altra parte della barricata, l'esperienza e la competenza non mancano.Insieme ad altri 26 concorrenti, Grosso viene inquadrato come «tirocinante»: ricomincia da zero, anzi da meno di mille euro al mese, lo stipendio previsto per quel tipo di inquadramento professionale. In sede non ha neanche una postazione e una password, ma il neo tirocinante si dimostra subito uno che di tasse e di evasori se ne intende, e si mette in luce come uno dei tirocinanti più preparati. Il bando dell'Agenzia dell'entrate prevede che i 20 neoassunti più brillanti saranno in seguito assunti a tempo indeterminato, con uno stipendio base che oscilla tra i 1.600 e i 1.800 euro al mese e la qualifica di funzionario. Grosso rientra nella top 20 e viene assunto: oggi lavora nella sede di Savona, ha accesso ai dati fiscali degli italiani, ha una sua scrivania e i colleghi lo considerano uno dei più bravi.Il suo avvocato, Agostino Zurzolo, interpellato dalla Stampa, replica alle perplessità: «Il dottor Grosso ha vinto un regolare concorso, dichiarando al momento della presentazione della domanda il procedimento penale cui era sottoposto. Perciò», aggiunge Zurzolo, «è stato collocato in una sede diversa da quella in cui aveva prestato servizio per Banca Carige». Una storia a lieto fine, quella di Gian Marco Grosso: dopo aver passato metà della sua vita dalla parte dei milionari vip, quelli sempre in cerca di uno stratagemma per risparmiare sulle tasse, ora si ritrova a dare la caccia agli evasori. C'è da scommettere che sarà molto, molto difficile farla franca, con un segugio come lui all'Agenzia delle entrate: i trucchi per aggirare il fisco li conosce molto bene, meglio delle sue «prede». Il classico ex hacker che viene assunto dalla azienda informatica per sviluppare i programmi di cyber security.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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