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2025-03-20
Leopardi filosofo e anticipatore di Nietzsche: l’intuizione di Emanuele Severino
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Giacomo Leopardi (Getty Images)
Di Giacomo Leopardi, tutti ricordiamo qualche verso di A Silvia, imparato sui banchi di scuola, e qualche aneddoto sulla vita infelice e la gobba. Recentemente, anche il piccolo e il grande schermo hanno riproposto vita e gesta del poeta recanatese, con la miniserie Rai Leopardi - Il poeta dell'infinito e prima ancora con il film Il giovane favoloso. Quello che spesso sfugge in questi ritratti più o meno convenzionali è tuttavia il potentissimo carattere filosofico del pensiero leopardiano. Il poeta non era solo un ragazzo malinconico dallo spiccato talento lirico, ma anche un uomo di smisurata cultura e di intelletto assai fine, come riconobbe persino Friedrich Nietzsche.
Tra coloro che hanno riconosciuto questo aspetto di Leopardi c’è sicuramente il filosofo Emanuele Severino, che al poeta ha dedicato due libri (Il nulla e la poesia e Cosa arcana e stupenda) e che ha non a caso sostenuto che «Leopardi è non solo il primo pensatore dell’età della tecnica, e apre la strada poi percorsa da tutta la filosofia contemporanea, ma vede il futuro essenziale dell’Occidente: l’approssimarsi del paradiso della civiltà della tecnica e l’inevitabilità del suo fallimento». Aggiunge il pensatore bresciano: «Certo, rispetto ai greci, tutti i pensatori dell’Occidente sono epigoni […]. Ma Leopardi è il grande epigono che, mezzo secolo prima di Nietzsche, sta alla svolta che conduce fuori della tradizione della nostra civiltà; non si limita ad osservare per primo il curvarsi della strada: è il primo di coloro che producono la curvatura e vede dove essa conduce».
Che cos’è, del resto, il tema leopardiano della «strage delle illusioni» se non l’anticipazione preveggente dei dibattiti sulla fine delle ideologie, la crisi della metanarrazioni, il pensiero debole e il nichilismo emersi nella filosofia contemporanea (e in maniera molto più confusa) solamente negli ultimi decenni del Novecento? La «strage delle illusioni», infatti, non è altro che ciò che Nietzsche ha chiamato «la morte di Dio». Le illusioni, per Leopardi, sono tutte le verità che l’uomo crede di trovare, tutti i presunti punti fermi, tutte le certezze consolatorie di cui, appunto, la realtà si occupa di fare strage. Ma non per questo possono essere derubricate a mere fandonie di cui liberarsi «illuministicamente». Le illusioni sono false, sì, ma anche necessarie. Il 30 giugno 1820, in una lettera a Pietro Giordani, Leopardi scrive: «Io non tengo le illusioni per mera vanità, ma per cose in certo modo sostanziali, giacché non sono capricci particolari di questo o quello, ma naturali e ingenite essenzialmente in ciascheduno; e compongono tutta la nostra vita». E nello Zibaldone si legge, in un appunto ancora anteriore: «Io considero le illusioni come cosa in certo modo reale stante ch’elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana, e date dalla natura a tutti quanti gli uomini, in maniera che non è lecito spregiarle come sogni di un solo, ma propri veramente dell’uomo e voluti dalla natura, e senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa ecc. Onde sono necessari ed entrano sostanzialmente nel composto ed ordine delle cose».
Il punto focale è allora quello di trovare un modo per far leva sulle illusioni senza, per così dire, «illudersi». È qui che subentra l’elemento «assoluto» della politica. Nella comunità politica le illusioni funzionano in modo virtuoso. L’uomo ne comprende la natura di false verità, ma rende allo stesso tempo eticamente grande grazie alle passioni che esse suscitano. La patria è quindi l’unica illusione virtuosa, una finzione che eleva l’uomo anziché abbrutirlo. Infatti «senza amor nazionale non si dà virtù grande».
Anche il cosiddetto linguistic turn, la svolta linguistica che ha portato la riflessione filosofica contemporanea a interrogarsi sul modo in cui il pensiero si dà necessariamente attraverso il linguaggio, ha illustri antecedenti in Leopardi, che nello Zibaldone ci torna sopra varie volte: «Ciascuno pensa nella sua lingua»; «Un’idea senza parola o modo di esprimerla, ci sfugge, o ci erra nel pensiero come indefinita e mal nota a noi medesimi che l’abbiamo concepita»; «Non si pensa se non parlando»; «Le idee sono inseparabili dalle parole». E se non mancano, in Leopardi, tematiche di stampo illuministico, a cominciare dall’importanza sociale e politica della «conversazione» e dell’opinione pubblica, si tratta pur sempre di quello che Franco Volpi, su Repubblica, definì «un illuminismo nero». Da qui gli arcinoti e amari riferimenti, ne La ginestra, alle «magnifiche sorti e progressive» e al «secol superbo e sciocco». Ma anche il suo rifiuto delle ingegnerie istituzionali che, con ottimismo bovino, vorrebbero dare la felicità agli uomini. Lo dice chiaramente il poeta stesso nella lettera a Pietro Giordani del 29 luglio 1828, in cui si scaglia contro «l’inutilità quasi perfetta degli studi fatti da Solone in poi per ottenere la perfezione degli stati civili e la felicità dei popoli» e vario altro «furore di calcoli e di arzigogoli politici e legislativi».
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Riduci
Il poeta recanatese è stato anche un pensatore di primissima grandezza, capace di anticipare gran parte dei temi del pensiero contemporaneo e anche di tracciare la strada del futuro.Di Giacomo Leopardi, tutti ricordiamo qualche verso di A Silvia, imparato sui banchi di scuola, e qualche aneddoto sulla vita infelice e la gobba. Recentemente, anche il piccolo e il grande schermo hanno riproposto vita e gesta del poeta recanatese, con la miniserie Rai Leopardi - Il poeta dell'infinito e prima ancora con il film Il giovane favoloso. Quello che spesso sfugge in questi ritratti più o meno convenzionali è tuttavia il potentissimo carattere filosofico del pensiero leopardiano. Il poeta non era solo un ragazzo malinconico dallo spiccato talento lirico, ma anche un uomo di smisurata cultura e di intelletto assai fine, come riconobbe persino Friedrich Nietzsche.Tra coloro che hanno riconosciuto questo aspetto di Leopardi c’è sicuramente il filosofo Emanuele Severino, che al poeta ha dedicato due libri (Il nulla e la poesia e Cosa arcana e stupenda) e che ha non a caso sostenuto che «Leopardi è non solo il primo pensatore dell’età della tecnica, e apre la strada poi percorsa da tutta la filosofia contemporanea, ma vede il futuro essenziale dell’Occidente: l’approssimarsi del paradiso della civiltà della tecnica e l’inevitabilità del suo fallimento». Aggiunge il pensatore bresciano: «Certo, rispetto ai greci, tutti i pensatori dell’Occidente sono epigoni […]. Ma Leopardi è il grande epigono che, mezzo secolo prima di Nietzsche, sta alla svolta che conduce fuori della tradizione della nostra civiltà; non si limita ad osservare per primo il curvarsi della strada: è il primo di coloro che producono la curvatura e vede dove essa conduce». Che cos’è, del resto, il tema leopardiano della «strage delle illusioni» se non l’anticipazione preveggente dei dibattiti sulla fine delle ideologie, la crisi della metanarrazioni, il pensiero debole e il nichilismo emersi nella filosofia contemporanea (e in maniera molto più confusa) solamente negli ultimi decenni del Novecento? La «strage delle illusioni», infatti, non è altro che ciò che Nietzsche ha chiamato «la morte di Dio». Le illusioni, per Leopardi, sono tutte le verità che l’uomo crede di trovare, tutti i presunti punti fermi, tutte le certezze consolatorie di cui, appunto, la realtà si occupa di fare strage. Ma non per questo possono essere derubricate a mere fandonie di cui liberarsi «illuministicamente». Le illusioni sono false, sì, ma anche necessarie. Il 30 giugno 1820, in una lettera a Pietro Giordani, Leopardi scrive: «Io non tengo le illusioni per mera vanità, ma per cose in certo modo sostanziali, giacché non sono capricci particolari di questo o quello, ma naturali e ingenite essenzialmente in ciascheduno; e compongono tutta la nostra vita». E nello Zibaldone si legge, in un appunto ancora anteriore: «Io considero le illusioni come cosa in certo modo reale stante ch’elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana, e date dalla natura a tutti quanti gli uomini, in maniera che non è lecito spregiarle come sogni di un solo, ma propri veramente dell’uomo e voluti dalla natura, e senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa ecc. Onde sono necessari ed entrano sostanzialmente nel composto ed ordine delle cose».Il punto focale è allora quello di trovare un modo per far leva sulle illusioni senza, per così dire, «illudersi». È qui che subentra l’elemento «assoluto» della politica. Nella comunità politica le illusioni funzionano in modo virtuoso. L’uomo ne comprende la natura di false verità, ma rende allo stesso tempo eticamente grande grazie alle passioni che esse suscitano. La patria è quindi l’unica illusione virtuosa, una finzione che eleva l’uomo anziché abbrutirlo. Infatti «senza amor nazionale non si dà virtù grande».Anche il cosiddetto linguistic turn, la svolta linguistica che ha portato la riflessione filosofica contemporanea a interrogarsi sul modo in cui il pensiero si dà necessariamente attraverso il linguaggio, ha illustri antecedenti in Leopardi, che nello Zibaldone ci torna sopra varie volte: «Ciascuno pensa nella sua lingua»; «Un’idea senza parola o modo di esprimerla, ci sfugge, o ci erra nel pensiero come indefinita e mal nota a noi medesimi che l’abbiamo concepita»; «Non si pensa se non parlando»; «Le idee sono inseparabili dalle parole». E se non mancano, in Leopardi, tematiche di stampo illuministico, a cominciare dall’importanza sociale e politica della «conversazione» e dell’opinione pubblica, si tratta pur sempre di quello che Franco Volpi, su Repubblica, definì «un illuminismo nero». Da qui gli arcinoti e amari riferimenti, ne La ginestra, alle «magnifiche sorti e progressive» e al «secol superbo e sciocco». Ma anche il suo rifiuto delle ingegnerie istituzionali che, con ottimismo bovino, vorrebbero dare la felicità agli uomini. Lo dice chiaramente il poeta stesso nella lettera a Pietro Giordani del 29 luglio 1828, in cui si scaglia contro «l’inutilità quasi perfetta degli studi fatti da Solone in poi per ottenere la perfezione degli stati civili e la felicità dei popoli» e vario altro «furore di calcoli e di arzigogoli politici e legislativi».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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