2023-03-27
Leonardo circasso e i romani neri. La storia fatta a pezzi per ideologia
Le recenti teorie che fanno del genio toscano un mezzo caucasico sono la punta dell’iceberg: da tempo va di moda riscrivere il passato in chiave politicamente corretta. È toccato pure all’Urbe e alla Grecia.Leonardo da Vinci? Era mezzo circasso. O forse mezzo cinese. Con degli echi del Magreb. Era venuto da un barcone. Ed era chiaramente gay. L’artista che in tutto il mondo è sinonimo di genio italiano riceve in patria un curioso trattamento. Strattonato dallo spirito del tempo in ogni direzione, il visionario autore del Cenacolo è stato decostruito, pezzo dopo pezzo, al solo fine di trovare qualche indizio che lo disitalianizzasse. «scoperta» azzardataLa «scoperta» di Carlo Vecce, docente all’Università Orientale di Napoli, ha fatto il giro del mondo. Lo studioso ha rinvenuto nell’archivio di Stato di Firenze un documento risalente al 1453 - anno di nascita di Leonardo - in cui Piero da Vinci emancipava una certa Caterina, schiava di origine circassa. Partendo da questo ritrovamento, Vecce ha scritto un romanzo, Il sorriso di Caterina, suggerendo che la donna fosse quella Caterina messa incinta da Piero fuori da giuste nozze e madre di Leonardo. Ma, come scrive lo storico Emanuele Mastrangelo sul sito del Centro studi Machiavelli, «quello che manca è la “pistola fumante”: quante Caterine avranno girato attorno a ser Piero da Vinci come vicine di casa, servitrici, semplici conoscenti?». La ricostruzione, del resto, è stata presentata sui giornali di tutto il mondo appunto come una mera ipotesi. Solo in Italia se ne è voluto fare la «prova» definitiva e inoppugnabile. Dalla possibile origine circassa, poi, c’è chi è partito per la tangente. «Arrivò in Italia su un barcone», ha titolato Quotidiano.net. Lo stesso Vecce, citato dall’Ansa, ci ha tenuto a precisare che Leonardo «non è italiano, lo è solo per metà. È figlio di un notaio, ma per l’altra metà Leonardo è figlio di una straniera, di una schiava, di una donna al più basso gradino sociale di quell’epoca, una donna scesa da un barcone». Attualizzazioni politiche farlocche, ne abbiamo? Mastrangelo ha citato comunque lo studioso di Oxford Martin Kemp, secondo cui l’identità della madre per come la sapevamo (una banale contadina locale) «non va incontro alla necessità popolare di una storia sensazionale in sintonia con l’attuale ossessione per la schiavitù». Sempre l’articolo del Centro studi Machiavelli ha del resto ricordato alcune delle ipotesi più fantasiose uscite fuori negli anni su Leonardo: da quella che, partendo da una presunta impronta digitale ricostruita, ne deduceva una «origine araba» a quella di chi ha accostato scrittura mancina e dieta vegetariana addirittura a natali per metà cinesi. Per non farsi mancare nulla, L’Espresso, per mano di Angiola Codacci-Pisanelli, ha intervistato Vecce, tirandogli fuori con le pinze l’ipotesi di influssi magrebini. Domanda: «Leonardo può essere stato influenzato dalla scrittura araba?». Risposta: «Probabilmente sì». Tanto basta per titolare «Un’eco del Magreb nella scrittura al contrario di Leonardo da Vinci». Se aggiungiamo la presunta omosessualità dell’artista, su cui non poté esimersi dal fantasticare la serie tv Leonardo, del 2021, abbiamo il quadro perfetto: il da Vinci era praticamente un candidato del Pd della Schlein. il legionario nubianoIl povero artista di Vinci non è l’unico a cui sia toccato lo shampoo decostruttore. Pensiamo solo ai romani. Ora, se c’è qualcosa che identifica l’Italia nel mondo, oltre a Leonardo, è il Colosseo. Eppure, qualche mese fa, la pagina Facebook del Parco archeologico del Colosseo ha condiviso un articolo de L’Espresso (di nuovo, e sempre per mano della Codacci-Pisanelli) intitolato testualmente «Segui Enea per scoprire le radici turche di romani ed etruschi». Paragonando Enea a Ulisse (definito «eroe solitario ed egoista»), la giornalista ha spiegato: «Ulisse cerca di tornare a casa, Enea invece è un esule in fuga verso una nuova patria. Per questo è diventato un simbolo delle migrazioni moderne sulle coste del Mediterraneo e della multiculturalità che lega ogni civiltà alle altre». Quindi Enea migrante turco. Ve lo immaginate, mentre scende dal barcone con il fez, stile Totò in Un turco napoletano? Peccato che l’antica Anatolia fosse abitata per lo più da popoli indoeuropei e che i turchi siano arrivati nell’area solo a partire dall’XI secolo. Ed è bene precisare che lo stesso viaggio di Enea fu pensato da Virgilio anch’esso come un «ritorno a casa», dato che il capostipite della stirpe di Enea era Dardano, il mitico fondatore di Troia, originario, secondo versioni italiche, di Corito, cioè Cortona. Tutto questo emerge chiarissimamente nell’Eneide, in cui si sprona l’eroe a ricercare «l’antica madre», cioè appunto la terra italica.Qualche anno fa, del resto, destò diverse polemiche il programma Life in Roman Britain History. The Story of Britain, un documentario animato della Bbc in cui compariva bellamente un soldato romano dalle fattezze subsahariane. Dopo le prevedibili critiche, l’autorevole storica Mary Beard, professoressa di studi classici a Cambridge, intervenne definendo il documentario Bbc «abbastanza accurato», spingendosi a ravvisare nella figura del centurione africano ritratto un personaggio realmente esistito, il governatore Quinto Lollio Urbico, che comandò sulla Britannia tra il 139 e il 142 (Repubblica riassunse il dibattito con un lapidario, ancorché virgolettato «Fatevene una ragione: gli antichi romani erano molto africani (persino in Britannia)»). In realtà, come spiegò lo studioso Stefano Bianchi, Lollio Urbico era discendente di famiglie romane appartenenti a due gentes italiche, quella dei Lolli (laziale) e quella dei Granii (campana), le quali si erano trasferite nella provincia numidica. Altro che legionario nero. Sempre Bianchi ha peraltro ricordato un episodio significativo: quando l’imperatore Settimio Severo si trovava nei pressi di Luguvallum (l’attuale cittadina inglese di Carlisle) un soldato etiope, scurissimo, gli si fece incontro con una ghirlanda formata con rami di cipresso, ma l’imperatore trasse dal colore della sua pelle un presagio talmente funesto da chiedere di allontanarlo: il che fa di Settimio Severo una cattiva persona, senz’altro, ma dimostra anche quanto poco fosse frequente quel tipo di incarnato nelle guarnigioni romane stanziate in Britannia. Achille d’egittoMa se Roma piange, Atene non ride. Nel 2018, di nuovo la Bbc, stavolta in società con Netflix, ha prodotto la serie televisiva in otto parti Troy: Fall of a city, in cui attori neri hanno interpretato Achille, Patroclo, Enea e Zeus. Certo, in questo caso abbiamo a che fare con personaggi del mito e non possiamo appellarci agli storici. Ma le descrizioni fisiche dei personaggi omerici sono chiare e non rimandano certo a tipi umani africani (ma è pur vero che Omero era cieco, quindi vai a fidarti...). Pietra miliare di questa tendenza all’africanizzazione della Grecia è un libro celebre: Black Athena, di Martin Bernal, saggio che pretendeva di evidenziare le «radici afroasiatiche» della civiltà greca (il «modello antico»), decostruendo un presunto «modello ariano» che avrebbe ispirato le nostre conoscenze tradizionali sull’Ellade. È appena il caso di sottolineare la portata politica di questi «studi»: «Se ho ragione sollecitando il rigetto del modello ariano e la sua sostituzione col modello antico riveduto, sarà allora necessario non solo ripensare le basi fondamentali della “civiltà occidentale”, ma anche riconoscere la penetrazione del razzismo e dello “chauvinismo continentale” in tutta la nostra storiografia o filosofia dello scrivere storia», spiegava Bernal. Come hanno fatto notare vari studiosi, tuttavia, Bernal si sarebbe appoggiato principalmente su Ecateo di Abdera, un vero e proprio storico di corte al servizio di Tolomeo I, re d’Egitto. Da qui la tendenza a ricondurre ogni civiltà esistita a radici egiziane. Sulla scia di Bernal, comunque, nacque una moda piuttosto folle, in cui ci fu chi arrivò a ritenere che Socrate fosse africano, e cose simili. Atena Nera è oggi ricordato come uno dei libri accademici con maggiori recensioni negative. «Secondo la mia stima approssimativa», ha commentato Jacques Berlinerblau, «le recensioni accademiche negative di Black Athena hanno superato quelle positive o moderate con un margine di circa sette a tre. Si potrebbe dedurre che questo rapporto testimoni l’intrinseca non plausibilità delle ipotesi di Bernal. Dopotutto, una pletora ideologicamente disparata di accademici concorda sul fatto che le teorie di Bernal siano semplicemente insostenibili». Ronald H. Fritze ha aggiunto: «Ciò che sembra ancora più significativo, se si continua a credere nell’esistenza di competenze e autorità accademiche, è che la maggior parte delle recensioni positive di Bernal sono state scritte da persone che non sono studiosi dei classici, di egittologia, di studi di storia del Vicino Oriente antico, di archeologia o di storia intellettuale europea». Insomma, chi sapeva di cosa si stava parlando, lo ha bocciato; chi non ne sapeva, ma era mosso da un interesse politico, lo ha promosso. Brutta bestia l’ideologia.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)