2022-09-08
Legna, pellet, stufette e generatori. Il «si salvi chi può» fa volare i prezzi
Davanti ai piani fallimentari del governo, anche in Italia parte la corsa al riscaldamento alternativo. E i costi si impennano: se i camini sono raddoppiati, i combustibili sono quadruplicati. Il risparmio non è assicurato.Neppure nel 1973, quando c’era l’austerity e furono imposti i divieti di circolazione dei mezzi privati nei giorni festivi, con sanzioni fino a 1 milione di lire, nessun ministro propose di spegnere i termosifoni e al tempo stesso di comprare lavatrici nuove, come invece dice il Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale diffuso dal ministero per la Transizione ecologica, secondo il quale per risparmiare serve fare prima un investimento cambiando gli elettrodomestici, il cui prezzo nel frattempo è aumentato e di parecchio. Bella scoperta. Facile quindi prevedere che gli italiani, come già stanno facendo svizzeri, tedeschi e finnici, faranno incetta di sistemi alternativi per produrre energia, dall’installazione di pannelli solari anche senza allacciamento alla rete - tanto ci vogliono mesi e la pagano pochissimo - all’acquisto di stufe a pellet, fino alla rimessa in funzione di vecchi camini, con buona pace per le mille (e un po’ assurde), leggi per la limitazione del particolato e anche di quelle che vietano la raccolta di legna sulle sponde di fiumi e laghi, operazione del tutto giustificata dal fatto che il suo costo è quadruplicato negli ultimi sei mesi. E poi, su laghi e fiumi la legna permane fino a marcire, quando non provoca danni alla navigazione e alle infrastrutture. Ma si rischia la multa salata: oltre il divieto di raccolta, una legge del 2011 dice che legna e cippato per la combustione non devono derivare da materiale precedentemente sottoposto a verniciatura, collanti o altri trattamenti chimici (giusto) e devono essere adeguatamente stagionati. Il pellet poi deve essere certificato di classe A1 (secondo la norma Uni En Iso 17225-2). Intanto, dalla primavera scorsa il costo delle stufe che lo bruciano è raddoppiato e tutto fa pensare che, seppure non siano dotate di un’elettronica particolarmente avanzata, stante la carenza di componenti non saranno disponibili per soddisfare la domanda, né certamente diverranno economiche. Un modello capace di scaldare in modo appropriato un piccolo appartamento, a gennaio si comprava con 800 euro e oggi ne costa quasi 2.000; il pellet ha un costo in rapido aumento: un anno fa una tonnellata costava 250 euro, oggi siamo già oltre i 1.000, almeno nella grande distribuzione organizzata, oltre 1 euro al chilogrammo e spesso occorre ordinarlo per tempo, cioè di questi tempi. Tale tipo di combustibile si ottiene da scarti della lavorazione del legno e seppure Germania, Austria e Francia siano i maggiori produttori europei (anche l’Italia lo produce, ma in quantità minori), veniva proposto a un prezzo molto conveniente da Bielorussia e Russia. Ci sono aumenti legati al trasporto (mezzi a gasolio), ma soprattutto quello alla domanda, e ciò colpisce anche la legna tradizionale da ardere, arrivata a quasi 20 euro al quintale contro i 13 dello scorso anno. Se sentiremo un continuo rumore di fondo provenire dal giardino del vicino, probabilmente costui avrà fatto partire il generatore elettrico a benzina. Con 400 euro se ne compra uno da tre chilowattora con motore a scoppio da 200cc e un serbatoio abbastanza grande per farlo funzionare 12 ore filate. Con la benzina a 2 euro al litro non sarà più economico di altri metodi, ma volete mettere la soddisfazione di non restare mai al buio? Certamente per chi riattiva i camini spenti da tempo ci sarà una questione di sicurezza da affrontare, mentre chi abita nei condomini sarà tentato di spegnere il riscaldamento quando non è presente in casa. Attenzione però, che il risparmio si ottiene conservando il calore e non recuperando la temperatura, quindi meglio non abbassarlo al di sotto i 14-15 °C, in modo che i fatidici 19 °C autorizzati dal «soviet» della transizione ecologica si raggiungano in tempo ridotto e siano mantenuti con accensioni brevi. Nella parte più esilarante del piano ministeriale, tra le misure a costo zero, viene suggerito l’utilizzo delle pompe di calore elettriche per il riscaldamento, le stesse usate per il condizionamento estivo. Qui casca l’asino: un tale sistema consuma meno dei termosifoni soltanto quando le temperature sono più miti, quindi serve sperare nelle mezze stagioni, che sfortunatamente al Centronord non durano più di un paio di settimane. Anche perché il principio di funzionamento delle pompe di calore prevede che queste prelevino l’energia necessaria dall’ambiente esterno cedendole poi all’acqua. Assurdo, invece, il consiglio di usarle per il riscaldamento al posto del gas, poiché in caso di blackout oltre che al buio si rimarrebbe anche al freddo. Hanno suscitato ilarità sui social suggerimenti come «abbassamento del fuoco dopo l’ebollizione delle pentole», ispirando chi suggerisce di stirare mettendo gli indumenti sotto il materasso prima di coricarsi, come insegnavano i «nonni» durante il servizio militare. Passi il raccomandare di usare le lavatrici e lavastoviglie a pieno carico, ma chi non lo fa già? In caso di assenza prolungata è utile non lasciare in stand by tv, decoder, eccetera, ma sono pochi watt e conta il lungo periodo. Ma presto bisognerà anche preoccuparsi perché il ministero invita le istituzioni locali ad «attivare monitoraggi su edifici […] mediante il rilevamento dei dati giornalieri di consumo a livello di reti di distribuzione gas cittadine». Scommetto una doccia calda con i lettori: entro qualche settimana proporranno il drone con videocamera termica per misurare la temperatura attraverso le finestre e controllare se non siamo oltre i 19 gradi +/-2. Sempre che il termometro sia preciso.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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