2021-06-04
Il padre è uno stupratore, gli affidano i figli
Donna aveva denunciato per violenza l'ex, finendo con i bimbi in strutture protette fatiscenti: materassi insanguinati e topi morti. Le lamentele avrebbero infastidito le assistenti sociali, e i ragazzi sono andati al papà condannato. Inquisite 9 operatrici a Bologna. Nove assistenti sociali sono indagate, a Bologna, per falso ideologico. Per quasi 10 anni avrebbero fatto mancare aiuto a una madre e ai suoi due figli, vittime di un padre denunciato per maltrattamenti e violenza sessuale, e condannato in via definitiva lo scorso febbraio. L'indagine è partita da una denuncia di 17 pagine, presentata lo scorso 9 aprile dalla donna, T.C., che accusa i servizi sociali di aver anche spezzato il suo rapporto con i due figli. La procura bolognese ha risposto aprendo velocemente le indagini e affidandole al pubblico ministero Manuela Cavallo. Il primo giugno T.C. è già stata ascoltata per più di tre ore, ma gli interrogatori sono destinati a continuare. La donna racconta di aver vissuto accanto al compagno per 12 anni infernali: «Venivo picchiata», scrive T.C. nella denuncia, «violentata, umiliata, minacciata di essere sfregiata con l'acido. Mi diceva che avrebbe scannato i nostri figli se solo lo avessi lasciato o denunciato». Inevitabilmente anche i due bimbi, il maschio nato nel 2000 e la femmina nata nel 2004, portano nell'animo i risultati di quella difficilissima convivenza. Una via d'uscita potrebbe aprirsi nell'agosto 2012, quando T.C. trova il coraggio di denunciare il compagno e viene trasferita in una prima struttura protetta. A quel punto, invece, comincia un nuovo incubo. Nel suo esposto, documentato da più di una fotografia, T. C. denuncia di essere stata trattata come un pacco postale, trasferita in una sequenza di strutture squallide, dove viene costretta a convivere «con i topi» e a mangiare «cibo scaduto». In una casa famiglia la donna dice di aver dovuto dormire per terra, con i figli piccoli, «perché il materasso era sporco di sangue mestruale e impregnato di urina». T.C. si lamenta, anche perché i bimbi, che hanno dovuto cambiare scuola per evitare il rischio d'incontrare il padre, nel frattempo indagato per maltrattamenti e violenza sessuale, piangono e si disperano. Ogni giorno la donna chiede perché dalla casa comune non venga allontanato il compagno, per potervi fare ritorno con i figli. Le continue lamentele di T.C. ottengono il risultato opposto: probabilmente infastidite dalla sua insistenza, le assistenti sociali cominciano a percepire la donna come «ostile» e le impongono perfino la visita di una psichiatra. La diagnosi nega qualsiasi disturbo, ma a quel punto il rapporto di fiducia tra la donna e le istituzioni, già incrinato, si spezza. La situazione precipita. Le assistenti sociali diventano punitive nei confronti di T.C., tanto da decidere di far incontrare padre e figli: «Contro la loro volontà», sottolinea la donna nella denuncia, «in quanto avevano ancora molta paura di lui e non volevano vederlo». A poco serve che nell'ottobre 2013 l'uomo venga arrestato per due settimane, e che all'uscita dal carcere gli sia proibito di avvicinarsi ai membri della sua famiglia. T.C. sostiene che anche in quel periodo i servizi sociali «continuavano a obbligarmi a conservare gli incontri tra padre e i bimbi». Il risultato, protesta disperata la donna, è che la figlia diventa aggressiva nei suoi confronti, e il figlio ha comportamenti alimentari patologici. La giustizia penale, intanto, va avanti. Nell'aprile 2016 il loro padre viene condannato a tre anni di reclusione per violenza privata, violenze sessuali e maltrattamenti, e nel settembre 2018 la condanna viene confermata in appello. Questo non impedisce l'incredibile paradosso che figlio e figlia vengano affidati in esclusiva al condannato: «Tutto avviene senza l'autorizzazione del giudice», denuncia T.C, «e per iniziativa degli assistenti sociali». Nonostante la donna non sia mai stata privata della potestà genitoriale, e malgrado nessuno certifichi la sua minima mancanza come madre, T.C. si trova quindi in una posizione assurda: è lei a doversi assoggettare ad alcuni anni d'incontri protetti con i figli. Sono incontri fugaci e strazianti, che minano alla radice il rapporto tra T.C. e i due bimbi. «Ogni volta», protesta oggi, «mi veniva ripetuto che quella era la volontà dei miei bambini, e che il giudice aveva acconsentito. In tutti questi anni, però, io non sono mai stata ascoltata da un giudice. Mai». Mentre in Cassazione il processo contro il compagno di T.C. lentamente avanza, i due ragazzi ormai adolescenti restano con lui e i rapporti con la madre poco a poco s'interrompono. Lo scorso 5 febbraio l'ex compagno di T.C. è stato condannato in via definitiva a 2 anni e 11 mesi di reclusione per violenza sessuale. Ma il risultato della storia, per T.C., non cambia: i due figli restano con il padre e il rapporto con la madre sembra compromesso. Nel luglio di un anno fa T.C. ha incontrato sua figlia ed è riuscita ad abbracciarla. Fino a Natale si sono viste. Poi la situazione è regredita. «Tutto quel che vorrei», dice la donna, «sono i miei figli. Mi mancano... Sono stata una madre dal 2000 al 2014. Dopo, è stato il buio. Vorrei solo capire perché».È per questo se, assistita dall'avvocato Pasqualino Miraglia di Modena, due mesi fa T.C. si è decisa a denunciare «per tutti i reati che potranno essere ravvisati» le nove assistenti sociali che dal 2012 a oggi hanno seguito il suo caso. Il Comune respinge le accuse e sostiene che «ogni attività svolta è stata autorizzata in via preventiva dall'autorità giudiziaria»: cioè dal Tribunale dei minori di Bologna che nel 2019 era già finito nelle polemiche per gli allontanamenti dei bimbi di Bibbiano. Su quella vicenda, dallo scorso ottobre, al tribunale di Reggio Emilia è in corso l'udienza preliminare. Adesso, anche sul terribile caso di T.C., la parola passa alla magistratura.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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