2024-01-06
Ritorna alla Camera la legge sui cda che divide finanza milanese e romana
Alberto Nagel e Francesco Gaetano Caltagirone (Ansa)
Dopo le festività il ddl Capitali approderà in Aula. Faro sulla norma che modifica le regole per eleggere i consigli di amministrazione. La delega interverrà sulla proporzionalità dei posti: il vero nodo per chi investe.Il disegno di legge sui capitali finirà in Aula alla Camera nelle prossime settimane di gennaio. Non è ancora nota la data, la si conoscerà quando alla ripresa dei lavori dopo la pausa natalizia verrà fissato il calendario, ma di certo manca solo un ultimo voto. Poi avrà la strada libera e con esso anche la norma più discussa nel sistema finanziario e contenuta nel ddl, ovvero quella relativa alle nuove regole per presentare candidati del cda uscente al momento del rinnovo dei vertici delle società quotate. Novità che allungano le distanze tra Roma e la finanza del Nord, in particolare quella rappresentata dalle Generali e da Mediobanca, guidata dall’ad Alberto Nagel. Vediamo le ragioni di queste visioni diverse. Ricordando, prima, che a proporre le modifiche al testo base sono stati i relatori Fausto Orsomarso (Fdi) e Dario Damiani (Fi). Dopo mesi di audizioni, e dopo alcune perplessità sollevate anche dal Mef, è stata a messa a terra una versione di sintesi smussando gli angoli e tenendo conto di alcuni rilievi. Oggi è lo stesso consiglio di amministrazione uscente a proporre all’assemblea dei soci i propri successori. Con le nuove regole la lista del cda dovrà essere proposta con il voto favorevole di due terzi dei consiglieri (unico caso di maggioranza qualificata nella votazione dei cda, a parte il diritto di veto delle minoranze sulle questioni relative alle parti correlate), deve contenere un numero di candidati pari al numero da eleggere maggiorato di un terzo. Si tratta di un impianto molto dissuasivo dell’uso di liste del consiglio, soprattutto grazie alla norma che dà maggiore spazio in cda alle liste di minoranza nel caso in cui la lista del consiglio risulti la più votata. Dove stanno, quindi, le divisioni tra la finanza del Nord, ma anche tra gli interessi dei grandi fondi di investimento, e Roma? Gli emendamenti proposti, e poi smussati, da Orsomarso e Damiani, erano allineati alle posizioni espresse lo scorso 27 giugno durante un’audizione in commissione Finanze del Senato da Francesco Gaetano Caltagirone, azionista di Mediobanca e Generali. Caltagirone aveva sottolineato che la governance di una società quotata in Italia con il meccanismo della lista del cda «rischia, con un’iperbole, di creare una autocrazia» criticando poi il meccanismo, nato negli Stati Uniti e calato nella realtà italiana, «in una struttura di diritto completamente diversa» dove l’azionista stabile non può scegliere i singoli componenti ma la lista in blocco e chi fa la lista «inserisce persone che assecondano la loro visione». La nuova norma dispiegherà i suoi effetti dal 2025, anno in cui andrà in scadenza proprio il board del Leone di Trieste che sia l’imprenditore romano editore del Messaggero, sia la cassaforte Delfin della famiglia Del Vecchio, in qualità di azionisti forti, vorrebbero rinnovare alle loro condizioni. Già nel 2022 l’imprenditore romano aveva tentato di contrapporre una propria lista a quella proposta dal consiglio uscente e appoggiata da Mediobanca con il rinnovo del mandato all’ad Philippe Donnet. Il blitz con l’alleato Delfin sulla compagnia assicurativa non era però riuscito perché gli investitori istituzionali si era schierati a larga maggioranza per la riconferma di Donnet. Il premier Giorgia Meloni giovedì ha difeso la norma rispondendo a una domanda in conferenza stampa. «Non credo sia corretta la lettura secondo la quale rischia di allontanare gli investimenti e rendere ingovernabili alcuni grandi gruppi», ha detto. Sottolineando che il provvedimento sulle modalità di presentazione della lista del board «serve a limitare il meccanismo con cui si perpetuano all’infinito i cda a prescindere dai soci. Al mercato una previsione che rafforza il peso degli azionisti piace. Io ci vedo una norma che consente di avvicinare investimenti a qualcosa che non ha sempre funzionato in passato». Sul mercato operano anche i grandi fondi azionisti delle società quotate su cui impatteranno le nuove regole. I fondi stranieri non si sono espressi finora. Questo probabilmente perché c’è un dettaglio fondamentale che la legge delega potrà chiarire, ovvero come verrà applicato il premio di maggioranza. Il ddl capitali prevede la distribuzione proporzionale dei posti in consiglio in base ai voti ricevuti. Se una lista di minoranza prende il 20% dei voti ha diritto al 20% dei posti (oggi il vincitore prende tutto anche se ha pochi voti di scarto rispetto alla lista arrivata seconda). Quanto al super premio alle minoranze (il 49% dei posti in cda per la lista che raccoglie più del 20% dei voti in assemblea) previsto inizialmente, ha lasciato posto a parametri più morbidi: alla lista di minoranza che prenderà più del 20% dei voti spetterà un numero di posti definiti con il metodo proporzionale. Non è però chiaro come verrà data questa proporzionalità. E per un fondo azionista si tratta di un dettaglio determinante per scegliere il campo in cui giocare calibrando la strategia sul margine ipotizzabile che potrebbe cambiare gli equilibri nella governance a fine partita. Se la progessività si ferma al 33% è un conto, se consente di arrivare quasi alla soglia del 49 un altro. Sulle nuove norme si è intanto espresso in un’intervista rilasciata a novembre, dopo l’approvazione del ddl in Senato, il ceo di Generali Philippe Donnet dichiarando di avere «qualche perplessità» perché «si corre il rischio di rendere ingovernabile le grandi società quotate. Non vedo la necessità di stravolgere un sistema che funziona ed è già molto vicino alle migliori prassi internazionali, specialmente in Europa». A fine settembre si era levata la voce anche del presidente della Consob, Paolo Savona: «Il disegno di legge è nato per incanalare il risparmio verso strumenti connessi con gli investimenti produttivi e proteggerlo dall’inflazione», aveva detto. Sottolineando che il processo deve innestarsi senza che qualcuno «faccia passare una norma per avere un vantaggio piccolo e solo per sé stesso».Intanto, le liste alternative a quella del cda stanno alla finestra. All’ultima assemblea di Mediobanca del 28 ottobre, il 40,4% del capitale si è espresso a favore dai candidati del board uscente. Mentre la lista «lunga» presentata da Delfin si è piazzata al 32%.