2023-09-04
«La Lega non rinuncia alla flat tax»
Massimo Bitonci (Imagoeconomica)
Il sottosegretario Massimo Bitonci: «Lo dico con chiarezza: resta un nostro obiettivo, insieme con la pace sociale, nonostante gli 84 miliardi di minor gettito causati dal Superbonus. Le grandi opere devono uscire dal calcolo del deficit».Massimo Bitonci deputato leghista e sottosegretario del ministero delle Imprese e del Made in Italy; rientrato dalle ferie?«Ho sfruttato il tempo per pensare, studiare e scrivere un po’ in vista del rientro».Che autunno ci aspetta?«I dati Istat confermano il rallentamento del secondo trimestre 2023 rispetto al primo. La diminuzione allo 0,4% rispetto allo 0,3%. Scontiamo una diminuzione assoluta dei consumi interni e degli investimenti. Colpito soprattutto il settore manifattura. Ma anche l’agricoltura, l’edilizia e i servizi. Ma, avendone io la delega diretta, c’è un tema che mi preoccupa particolarmente».Ovvero?«Il credit crunch (stretta sul credito, ndr) è evidente. Una diminuzione del credito bancario su base nazionale del 3,7% su base annua. Ecco perché sto portando avanti la riforma del Fondo garanzia pmi (piccole e medie imprese, ndr). Perché altrimenti al 1° gennaio 2024 torneremmo indietro al 2019».Periodo ante Covid…«Le regole europee col Temporary Framework hanno consentito al Fondo di dare una copertura in termini di garanzia in misura anche pari al 100% del credito. Una leva che consente di alimentare prestiti per 250 miliardi. E le banche hanno attinto volentieri a questa garanzia. Non esiste impresa se non esiste il credito. E non esiste il credito ad oggi senza garanzia statale. Cosa da ricordare a chi protesta contro la tassazione sul margine di interesse straordinario delle banche».Che vuol dire tornare indietro al 2019?«Senza il mio progetto di riforma che ha trovato il plauso delle categorie (associazioni, Confidi e Regioni), il massimale si ridurrebbe da 5 milioni a 2,5 milioni. Le microimprese (che sono il 95% delle oltre 5 milioni di aziende) senza merito creditizio non potrebbero poi più accedere alla garanzia. Con la mia proposta le commissioni per le microimprese verranno inoltre azzerate. L’importo massimo delle operazioni finanziabili senza valutazione del merito creditizio cresce da 25-35.000 euro a 60.000 euro. Si semplifica tutto anche a beneficio dei Confidi rimasti spiazzati durante la pandemia dal maggior intervento del Fondo di garanzia. Anche il cosiddetto terzo settore delle imprese sociali potrà accedere a questi strumenti attraverso una sezione speciale al ministero del Lavoro».Quanti soldi serviranno per questa riforma?«Zero, perché la copertura c’è già. Servirà un decreto congiunto di ministero dell’Economia e dicastero delle Imprese. Inoltre, le cosiddette small and mid cap -che arrivano fino a 499 dipendenti - torneranno ad accedere al Fondo di garanzia e non più a Sace. Realtà quest’ultima più votata al credito con l’estero».Cosa devono aspettarsi le imprese dalla legge di bilancio?«Legge di bilancio molto particolare, questa: tutti gli esperti concordano che sarà la legge del centrodestra, visto che l’anno scorso l’abbiamo approvata al fotofinish essendo arrivati dopo aver vinto le elezioni a cose praticamente fatte. Ma non mi nascondo le criticità».Si mettono le mani avanti?«No, faccio un’analisi razionale. Volontà totale di confermare il taglio al cuneo contributivo. La conferma di questo sgravio costerà dai 9,5 a 10,5 miliardi. Poi 6 miliardi di cosiddette spese obbligatorie per le missioni internazionali, politiche invariate e rinnovo parziale dei contratti della Pubblica amministrazione. C’è il tema del Fondo sanitario, cui tengo molto, da ex sindaco in due comuni. Ho avuto a che fare con problemi molto pratici come, ad esempio, le liste di attesa in aumento e la mancanza di medici. Lì dovranno esserci incrementi e metterci la testa e un po’ di portafoglio. Poi c’è il capitolo comuni e province. E dovremo mettere mano al taglio dell’Irpef. Favoriremo i redditi medio bassi. E nell’attesa del welfare, degli asili nido e del Pnrr, le uniche misure per combattere la denatalità sono due. Il primo è l’assegno unico universale per i cosiddetti incapienti che non hanno reddito a sufficienza cui fare sconti. Lì non vi è nessun taglio. La diminuzione da 18 a 16 miliardi di cui si è favoleggiato dipende da una minore domanda di accesso ai sussidi. Ma vi sono anche le detrazioni dei figli a carico per chi invece ha un reddito. Qui intendiamo lavorare per strutturarle affinché siano subito visibili in busta paga. Preferiamo, come Lega e come centrodestra, misure di questo tipo rispetto ai bonus. E intendiamo lavorare per renderle strutturali anno per anno».Che cifra si aspetta per la legge di bilancio? Si è parlato di 30 miliardi…«Dalle interlocuzioni avute con il ministero dell’Economia questo è l’ordine di grandezza. Ma si fa presto ad arrivare a questa cifra. Quello di cui abbiamo parlato già si aggira su questo importo». C’è anche una delega fiscale da attuare per riformare il fisco. Cosa dobbiamo aspettarci?«Punteremo innanzitutto su un’operazione liquidità rateizzando gli acconti. Questo ci consentirà di dare alle imprese respiro finanziario». Vi state focalizzando molto sulla liquidità alle imprese. Prima con la messa in sicurezza del Fondo di garanzia per l’accesso al credito. Ora con questa misura.«Sì, perché la ripresa prima o poi verrà e noi ci preoccupiamo perché le imprese siano pronte a raccogliere questa sfida al momento giusto. Il tema della cassa è essenziale. Per le imprese infatti lavoriamo per fermare l’avanzata del credit crunch. Ma anche per le famiglie il tema è evidente. L’inflazione pesa sul carrello della spesa. Le stime indicano una discesa dell’inflazione al 5,5% su base annua. Ma sul carrello della spesa siamo sempre intorno al 9,2%. Questa colpisce le famiglie che hanno una propensione al consumo pari al 100%. Bassi redditi che vanno via sulle bollette e sugli alimentari. L’inflazione è una media. Ma noi dobbiamo guardare a cosa effettivamente acquista la gente. E questa acquista dove l’inflazione è al 10%. Non al 2%. E la diminuzione dei consumi a livello di contabilità Istat non è dovuta alla dinamica dei prezzi che calano. Ma alle scelte dei consumatori».Peraltro, un’inflazione che cala non vuol dire che i prezzi diminuiscono. Ma semplicemente che aumentano di meno.«Io presiedo il Cncu (Consiglio nazionale consumatori e utenti, ndr). È qui che è nata l’idea del trimestre antinflazione promossa, solo dopo, dal ministro Urso. Idea che pure la Francia ha fatto propria. Chiamiamo produttori e grande distribuzione a fare uno sforzo per contenere al massimo l’aumento dei prezzi su un dato paniere di beni a largo consumo. È una sorta di concertazione. Ci sarà chi aderirà e chi no. Ma sarà un’occasione di «marketing» anche per la grande distribuzione organizzata. Per far capire di essere vicina alle necessità dei consumatori. Magari sfruttando l’occasione per promuovere le loro marche commerciali».Però mi sembra di capire che il momento di tagliare le imposte non è ancora arrivato. O sbaglio?«Consideri che ci sono eredità del passato molto pesanti. Mi riferisco in particolare al Superbonus 110%. Noi siamo arrivati a luglio con 84 miliardi di spesa. O meglio, minor gettito».I precedenti governi hanno usufruito dell’aumento del Pil ma ora arriva il conto da pagare.«Compensazioni e detrazioni che fanno mancato gettito. E gli ultimi dati ci dicono che le irregolarità ammontano a circa 12 miliardi di euro. Nessuno nega che abbia avuto effetti positivi sul Pil. Ma il costo ed il mancato gettito ora sono una iattura per noi che dobbiamo impostare la manovra. Lo dicevamo quattro anni fa e lo confermiamo ora a ragion veduta. Se la percentuale fosse stata del 75%, dell’85% ma al limite anche del 90%, ci sarebbe stato quel sano contrasto di interessi fra i contraenti. Cosa che non avrebbe consentito la lievitazione dei costi fuori misura. E poi non guardiamo ancora a chi sono andati questi benefici».Io conosco personalmente persone che si sono rifatte la villa gratis a Forte dei Marmi.«Ed ancora non abbiamo dati certi. Comunque, oggi sappiamo che mancano all’appello 84 miliardi che avremmo potuto spendere in misure importanti per la crescita economica».I precedenti governi hanno goduto degli effetti sul Pil. Ora c’è il conto da pagare su questo esecutivo.«Peraltro, siamo in grado di valutare quale minimo impatto ci sia stato in termini di percentuale del patrimonio immobiliare riqualificato secondo gli standard europei. Meno del 2%. Tutti soldi che mancano per sostenere le famiglie e le imprese oggi. Anche nel settore edile. E comunque sia chiara una cosa. Voglio dirla con grande chiarezza».Prego…«La Lega non rinuncia a portare avanti l’obiettivo della flat tax per tutti e della pace fiscale. Anche questo lo facciamo a ragion veduta. Assieme al collega Garavaglia abbiamo messo a punto il regime forfettario nel 2018. Da allora sono state aperte 2,1 milioni di partite Iva. Su un totale di cinque milioni. Uno strumento importante per favorire anche le start up che nei primi cinque anni pagano il 5% di tasse. Le dirò di più. C’è stato un incremento di gettito grazie anche alle nuove imprese avviate».Sulle grandi opere si va avanti?«Assolutamente sì. Opere strategiche ed infrastrutture rilevanti su tutto il territorio nazionale. Una sana politica keynesiana da portare avanti. È questa la linea che facciamo nostra per la riforma del Patto di Stabilità. Gli investimenti in grandi opere non devono essere conteggiati ai fini dei parametri di spesa. Non sono come la spesa corrente, su cui le limitazioni devono continuare esserci. Sono misure di sviluppo dell’economia e del Paese». La polemica sui porti da privatizzare mentre si entra dentro Telecom non ha quindi molto senso.«Lo ha già spiegato il nostro segretario che non è affatto una priorità la privatizzazione dei porti».