2022-07-25
Le tratte più atroci furono quelle islamiche
Nonostante i suoi innegabili orrori, il traffico di schiavi occidentale è stato di gran lunga meno brutale e violento rispetto a quello musulmano. Ma soprattutto è con il mondo cristiano che è avvenuta l’abolizione della pratica, anche attraverso le Bolle papali.Sono pochissime le società umane che non hanno conosciuto schiavi. Eppure, la stragrande maggioranza delle persone, quando sente la parola schiavo, pensa a una persona di origine africana nel sud degli Stati Uniti, nelle Antille, o in Brasile. Lo schiavo per antonomasia, quindi, è di origine africana ed è di proprietà di un bianco cristiano. Statisticamente questo tipo di schiavitù è rappresentata nel più del 90% delle narrazioni letterarie o cinematografiche.In realtà questa forma di schiavismo è stata quella di gran lunga minoritaria. Nonostante i suoi innegabili orrori, è stata quella meno atroce e violenta, e, soprattutto, è all’interno del mondo cristiano che è avvenuta l’abolizione della schiavitù. La tratta transatlantica è durata quattro secoli, e di quegli uomini e di quelle donne tratti in schiavitù abbiamo il colore, i discendenti, la musica. Nel continente americano, dagli Stati Uniti al Brasile passando per i Caraibi, vivono 70 milioni di discendenti di africani. Queste persone sono entrate a far parte di una civiltà in maniera brutale e violenta, ma ora ne fanno parte. Sono stati battezzati, condotti nel cristianesimo. Mentre ancora esisteva lo schiavismo, negli Stati Uniti c’erano non solo sacerdoti, ma addirittura vescovi di origine africana. Le Bolle dei Papi cattolici sono state il primo documento che hanno condannato in maniera assoluta e definitiva la schiavitù. La tratta dei neri d’Africa da parte del mondo arabo-musulmano, cominciata a partire dal VII secolo e ufficialmente conclusasi nel XX secolo, può essere equiparata a uno sterminio di massa; un tempo che ha strangolato l’Africa. Si stima di circa 17 milioni il numero di vittime dirette, deportate per morire in pochi anni e spesso castrate, cui si deve aggiungere un numero non calcolabile, ma probabilmente uguale o maggiore di morti nella traversata, e l’infinito numero delle vittime indirette. Quando gli schiavisti arrivavano in un villaggio, lo bruciavano e bruciavano i campi che lo circondavano. Chi restava non era in grado più di sopravvivere. Una volta tolti gli uomini, con la loro forza, non era più possibile arare. Per salvarsi dagli schiavisti le persone abbandonavano le terre fertili per rifugiarsi nei deserti o in mezzo alle rocce delle montagne, tanto che le coste sudanesi del Mar Rosso, ricchissimo di pesce, sono disabitate. Nel 1990 al Cairo 54 ministri degli esteri di paesi islamici riuniti nell’Organizzazione della Conferenza Islamica hanno riaffermato il ruolo dell’islam della Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani. Uno degli articoli raccomanda che gli schiavi vengano trattati sempre con umanità e giustizia. Lo schiavismo islamico si è rivolto prima all’Europa. Non sappiamo quanti siano i milioni di europei rapiti sulle coste meridionali dell’Europa dai pirati saraceni oppure sulla frontiera meridionale dell’Ucraina dei tartari. Quando la merce caucasica non è stata più disponibile, la tratta araba si è scatenata sull’Africa. Spiega il filosofo Pascal Brukner, nel suo saggio Un colpevole quasi perfetto, come siano sono proprio coloro che hanno abolito la schiavitù a esserne considerati gli unici responsabili. A loro è persino negato il diritto di parlare. Soltanto i popoli indigeni avrebbero il diritto di farlo, mentre i bianchi hanno solo il dovere di fare penitenza. Come hanno spiegato intellettuali, ma anche imprenditori e uomini politici francesi, gli autoctoni europei hanno il dovere di evitare al massimo le loro nascite, così da poter far posto a un’immigrazione talmente massiva da diventare completa sostituzione etnica. Dopo che i bianchi si saranno ridotti a qualche sperduta valle alpina, a qualche dimenticata fattoria islandese e a qualche peschereccio norvegese il mondo sarà migliore? Forse no, ci dicono, ma almeno giustizia sarà stata fatta. La razza bianca è colpevole, e dato che ha ancora l’arroganza di essere troppo forte per essere fisicamente sterminata, le si spiega che sarebbe cortese suicidarsi. Come è possibile che le prime nazioni che hanno abolito la schiavitù siano le uniche a essere subissate di accuse e richieste di risarcimento? Lo schiavismo è stato abbondantemente praticato ed è tuttora praticato da popoli islamici extra africani. Lo schiavismo islamico è stato infinitamente più violento e tragico di quello occidentale. Non è stato solo dannatamente più grosso, dannatamente più esteso nei secoli, ma è stato anche dannatamente più atroce: uno schiavo sopravviveva pochi anni. Ha anche avuto la caratteristica di distruggere il tessuto sociale africano, di annientarlo per secoli, di distruggere civiltà che già esistevano e di rendere impossibile la creazione di nuove. Se l’Africa non è mai riuscita a tener testa a nessun tipo di pressione esterna, con le uniche eccezioni dei pochi popoli che sono sempre stati all’esterno dello schiavismo islamico, lo si deve a questa potenza distruttiva. Le informazioni su questo sono sempre esistite, ma all’interno di libri scritti da bianchi, cioè carogne per definizione, quindi giudicati inattendibili. Quando Malcolm X intervistato su Playboy se ne uscì con la fantastica affermazione che i bianchi cristiani erano schiavisti e gli arabi islamici liberatori, nessuno si ritenne in dovere (o in diritto) di contraddirlo, anche perché pareva brutto e faceva razzista. L’odio contro i bianchi, a questo punto esplose, zampillò ovunque e divenne un must della sinistra liberal, a sua volta da sempre campione assoluto di semi analfabetismo storico. Ci sarà bisogno del libro scandalo dello storico franco-senegalese Tidiane N’Diaye, Le génocide voilé, il genocidio nascosto, apparso nel 2008, per riaffermare la verità. Peccato che il libro sia riuscito a passare inosservato. La sua comparsa avrebbe dovuto provocare un terremoto, soprattutto nel Maghreb e nel Vicino Oriente. Anche Malek Chebel, grande antropologo della civiltà islamica, ha rotto il tabù pubblicando un monumentale Esclavage en terre d’islam (Pluriel, Paris, 2010). Nei libri spiegano come nell’Islam esista una legge teologica che vieta di fare schiavo un islamico. I cristiani rendevano cristiani i loro schiavi, gli islamici non rendevano islamici i loro schiavi. Agli schiavi africani, quindi, era vietato riprodursi: i loro figli avrebbero dovuto essere islamici, quindi non avrebbero potuto essere schiavi. La tratta atlantica portava gli schiavi neri a vivere in schiavitù, generando 70 milioni di discendenti. La tratta araba li portava a morire in schiavitù. La vita media in schiavitù non superava i sette anni. Non potevano sposarsi, non potevano avere figli, spesso venivano castrati. La castrazione riguardava ovviamente i guardiani dell’harem, ma spesso riguardava anche schiavi addetti ad altri lavori, anche a costo di privarli della forza fisica virile. La castrazione è un’operazione atroce sia dal punto di vista chirurgico sia da quello psicologico. Inoltre, all’epoca era gravata da una mortalità dell’80% a causa delle complicanze settiche e renali. La castrazione era quasi sempre riservata anche ai figli nati da unioni dei padroni con donne nere. Questo il motivo per cui noi non associamo la Persia e l’Arabia allo schiavismo, mentre associamo gli Stati Uniti e le Antille. Non ci sono i discendenti, i cromosomi, la musica. Non c’è nulla.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)