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2020-01-16
Nelle carte l’orrore del sistema Bibbiano
Ansa
«Sono triste quando mi sono svegliata durante il sonno e la mamma non c'era». Quando la piccola Katia scriveva queste parole su un bigliettino pensava ai suoi genitori naturali. Il papà e la mamma da cui gli assistenti sociali di Bibbiano avevano voluto allontanarla, sostenendo che la maltrattassero. Di più: gli stessi assistenti sociali ripetevano che la bambina con il padre e la madre non voleva più avere nulla a che fare, anzi ne era spaventata. E intanto la piccina annotava: «Sono triste di non essere a casa con i miei».
La storia di Katia, purtroppo, è piuttosto nota. Si tratta della minorenne che fu affidata a due donne, Daniela Bedogni e Fadia Bassmaji, unite civilmente nel giugno 2018. Le «due mamme» (che peraltro percepivano un contributo economico maggiore rispetto ad altri affidatari) avrebbero dovuto prendersi cura della piccina e invece, a quanto risulta dalle carte dell'inchiesta «Angeli e demoni», la vessavano e maltrattavano. Tanto che il gip reggiano Luca Ramponi, mesi fa, ha disposto che la bimba fosse tolta alle due donne e ha vietato ogni forma di contatto.
Katia è stata affidata alla coppia lesbica grazie a una delle protagoniste principali dell'inchiesta, ovvero l'indagata Federica Anghinolfi, dirigente del Servizio di assistenza sociale dell'Unione Comuni Val d'Enza. Costei era anche una fervente attivista Lgbt, e condivideva la lotta arcobaleno con una delle due affidatarie, Fadia Bassmaji. Le due non avevano in comune soltanto la militanza ideologica. Nelle carte dell'inchiesta si legge che Fadia e Federica «risultavano avere avuto in passato tra loro una relazione sentimentale».
I nomi di Anghinolfi, Bassmaji e Bedogni compaiono ripetutamente nelle 71 pagine che compongono l'avviso di chiusura delle indagini della Procura di Reggio Emilia su «Angeli e demoni». Scorrendo le carte, emergono nuovi e disturbanti particolari riguardanti Katia e le sue «due mamme» affidatarie. Tanto per cominciare, le tre donne hanno omesso di riferire al perito del tribunale reggiano «del pregresso e intenso rapporto di amicizia sussistente tra la Bassmaji e la Anghinolfi». Così come hanno evitato di riferire «il loro convincimento di protrarre l'affido della minore fino al compimento della maggiore età». In sostanza, hanno tenuto nascosta le relazione fra l'assistente sociale e una delle affidatarie, e avevano in mente di trasformare l'affidamento di Katia in una sorta di adozione arcobaleno.
Ma questo è niente. Il peggio arriva quando si scopre come le due affidatarie trattavano la piccola. Secondo il pm reggiano Valentina Salvi, Bassmaji e Bedogni «insistevano con la minore ribadendo quanto da lei subito presso la famiglia di origine; colpevolizzavano la bambina, talvolta anche attraverso urla feroci e parolacce». Dicevano a Katia che avrebbe dovuto «svuotare la cantina dei ricordi», cioè confessare gli abusi subiti dai genitori naturali (in realtà mai avvenuti). E poiché lei non collaborava la attaccavano. La Bedogni arrivò a cacciarla fuori dall'auto in una giornata di pioggia, tra insulti e urla («Non ti voglio più!»). Ancora: le «due mamme» la facevano anche sentire in colpa, le ripetevano che, rifiutandosi di parlare, infliggeva loro «sofferenze».
Non è finita. Bassmaji e Bedogni, scrive il pm, «denigravano sistematicamente le figure genitoriali di Katia; incutevano alla bambina la paura e il timore di casuali possibilità di incontro con i genitori, ordinandole di nascondersi all'interno dell'auto e di non frequentare determinati luoghi per evitare di essere vista dai genitori; le facevano compilare un apposito diario contenente le sue emozioni in cui loro stesse formulavano domande suggestive e denigratorie rispetto ai genitori». Insomma, facevano di tutto affinché la piccina temesse o addirittura odiasse papà e mamma. In verità, i genitori cercavano di farsi vivi. Volevano vedere Katia, le mandavano messaggi vocali e scrivevano su Whatsapp. Ma tutte queste comunicazioni venivano tenute nascoste alla piccola. «Ciao bimba mia, il papà non riesce ad avere risposte per portarti a mangiare il sushi fuori, spero che tu stia bene, ti voglio bene», scrive il papà a Katia su Whatsapp. E mentre lui inviava questo messaggio strappacuore, gli assistenti sociali commentavano nella loro chat privata: «Bene, questo messaggio non lo diremo alla bambina».
Sfogliando le carte si capisce che Katia non era spaventata dalla sua famiglia: piuttosto aveva paura delle affidatarie, che insistevano ad attribuirle comportamenti «sessualizzati», sostenendo che fossero frutto di passate molestie.
Gli investigatori hanno trovato un disegno in cui Katia «raffigurava le affidatarie mano per la mano con un fumetto contenente la seguente frase: “Vai via Katia perché se ci sei tu non possiamo fare l'amore"». In un altro disegno Katia raffigura Bassmaji e Bedogni «intente a sposarsi e la bambina raffigurata in un escremento con la seguente didascalia: “Mi sono sentita lontana e distante come una cacchetta"». In un'altra occasione Katia scrive: «Mi ha disgustata vedere la Dani che ha leccato il collo della Fadia che le ha morso l'orecchio sessualmente». E ancora: «Ieri mi ha dato fastidio quando la Fadia mi ha dato la buonanotte nuda».
Katia, inoltre, ha raccontato di aver fatto vari sogni «aventi a oggetto spettacoli teatrali pornografici con “peni finti" messi in scena dalle affidatarie». Le due donne, ovviamente, hanno omesso di raccontare che la bambina temeva di «subire violenze» da loro e sognava «catastrofi e scenari simili» in cui comparivano anche le «due mamme».
Ecco come viveva Katia nella splendida utopia arcobaleno che avevano costruito per lei. E pensare che qualche quotidiano, nei giorni scorsi, ha avuto il fegato di descrivere come vittime del circo mediatico i responsabili di questo sistema allucinante.
L’allontanamento dalle famiglie nascondeva un piano per fare soldi
Bugie. Racconti falsi e relazioni distorte. Il tentativo, continuo, di allontanare i bambini dalle famiglie d'origine, recidendo alla radice contatti e rapporti sentimentali. E poi il progetto di creare sempre nuove strutture d'accoglienza, accrescendo il business. La seconda puntata delle accuse sui presunti allontanamenti illeciti dei dieci bambini di Bibbiano è, se possibile, anche peggiore di quella emersa alla fine di giugno, quando il giudice per le indagini preliminari, Luca Ramponi, aveva ordinato gli arresti domiciliari per alcuni dei 27 indagati.
Nell'avviso di conclusione delle indagini, depositato martedì dal pubblico ministero di Reggio Emilia, Valentina Salvi, si leggono ora anche nuove condotte che la Procura ritiene penalmente rilevanti e che concorrono a creare un quadro - se possibile - più fosco. Del resto, negli ultimi sei mesi d'indagine anche i capi d'accusa sono aumentati, da 102 a 108. Sarebbero emersi particolari ancora più pesanti soprattutto su Federica Anghinolfi e Francesco Monopoli, rispettivamente dirigente e operatore dei servizi sociali di Bibbiano. Secondo l'accusa, i due facevano in modo che emergessero soltanto elementi utili per l'allontanamento dei minori.
È paradigmatico il caso della sfortunata adolescente affidata alla coppia omosessuale Daniela Bedogni e Fadia Bassmaji, a loro volta finite nell'inchiesta e indagate per maltrattamenti. Nelle nuove carte della pm Salvi ora compaiono anche i cinici dialoghi di una chat telefonica, dove le assistenti sociali di Bibbiano s'impegnano a evitare che quella stessa bambina sappia che il padre naturale continua disperatamente a cercarla e a volerle bene. La diga è sistematica. Nei dialoghi intercettati si coglie che le operatrici vogliono evitare anche i residui contatti fisici della ragazzina con la sua famiglia: «Come giustifichiamo la sospensione degli incontri protetti?» chiede per esempio un'assistente sociale. Un'altra le risponde: «Relax della minore… vacanza…».
Nella chat di altre colleghe gli insulti per un padre di colore: «Oh, comunque noi parliamo anche il ghanese, come si dice “vaff" in ghanese? Muoio dal ridere».
Nelle carte sembrano confermati anche i peggiori sospetti sugli psicoterapeuti del Centro Hansel e Gretel di Moncalieri, attivo a Bibbiano. Si legge che, negli incontri con i bambini allontanati da casa, «denigrano sistematicamente le figure genitoriali»; li spaventano descrivendo i danni che subirebbero «negli incontri con i familiari»; dicono ai piccoli pazienti che loro posto «si fingerebbero morti piuttosto che rivederli». La pm Salvi continua ad accusare gli psicologi di avere indotto nei piccoli pazienti la confessione di abusi inesistenti. Nadia Bolognini, che nell'inchiesta è tra i principali indagati con il marito Claudio Foti, a sua volta psicologo e fondatore di Hansel e Gretel, avrebbe suggerito a una dei suoi piccoli pazienti «con sistematicità e convinzione» che il padre «le pizzicava la patatina»: e questo soltanto per superare le «incongruenze nei parziali dichiarati, indotti nella bimba». Altrove, si legge che la psicologa si sarebbe «nascosta sotto a un lenzuolo per suggerire all'orecchio di un bambino le risposte sugli abusi subiti», da fornire alle domande che lei stessa formulava, e alle quali (con tutta evidenza) «il bambino non rispondeva spontaneamente». In un altro caso, la Bolognini avrebbe indotto una ragazzina a convincersi «che i tagli che s'infliggeva derivavano dai rapporti sessuali» subiti in famiglia.
Sulla psicoterapeuta grava anche l'accusa di aver lavorato meno di quanto avrebbe dovuto: il Comune di Bibbiano e Hansel e Gretel avevano concordato un compenso orario di 135 euro (che pure il giudice Ramponi sostiene essere doppio rispetto ai valori di mercato), che sarebbe rimasto invariato anche se la durata dei colloqui con i bambini scendeva a 55, a 50 e perfino a 45 minuti. Ma ora emerge che generoso forfait aveva ceduto il passo a un'allegra danza delle ore. Su 115 sedute monitorate, la cui durata avrebbe dovuto essere almeno di 45 minuti, la Bolognini avrebbe «concluso anticipatamente la prestazione in 61 incontri», quindi in oltre il 53% del totale. Malgrado l'autoriduzione, la professionista ha però sempre fatturato una parcella intera: 135 euro.
Resta infine il capitolo relativo a Foti, lo psicologo fondatore di Hansel e Gretel. Nelle carte depositate due giorni fa dalla pm Salvi si legge che il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, insieme ai responsabili dei servizi sociali comunali, stava per varare il progetto di «una comunità per 18 minori in affido, vittime di maltrattamenti e/o abusi sessuali». Carletti intendeva creare una struttura, chiamata Utopia: ne era stata disegnata la planimetria ed era già stata addirittura concordata con Foti «una retta giornaliera da 250 euro a minore». La cifra «incorporava il servizio di psicoterapia», ovviamente affidato senza gara al Centro Hansel e Gretel. A Foti il sindaco aveva concesso anche di realizzare un «centro studi adiacente» alla comunità Utopia, dove ne «avrebbe formato gli operatori», sempre a pagamento. La comunità sarebbe stata gestita dall'associazione Rompere il silenzio, del cui direttivo fanno parte non soltanto quattro degli indagati, e cioè Foti, sua moglie Bolognini, Monopoli e l'Anghinolfi «quale associata occulta», ma anche l'avvocato di Foti, Andrea Coffari. Il servizio di psicoterapia «avrebbe avuto un incasso annuale già calcolato di circa 130.000 euro, di cui 30.000 sarebbero stati versati, a titolo di contributo, a Rompere il silenzio».
Salvini parla di affidi, Bonaccini beve. Scontro ravvicinato prima del voto
Dieci giorni fa Stefano Bonaccini aveva annullato la tappa bibbianese del suo tour elettorale, per paura delle contestazioni di oltre 200 genitori riuniti in un flash mob. Sabato prossimo, alla conferenza sul tema affidi prevista alle 18 a Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, è però atteso Matteo Salvini e il candidato del centrosinistra deve aver pensato che non era il caso di perdersi un po' di flash di fotografi. A poche centinaia di metri, nella frazione di Salvaterra, Bonaccini ha perciò organizzato alla stessa ora un aperitivo in piazza, i volantini circolano già da giorni. Mentre il leader leghista e la deputata ex 5 stelle, Veronica Giannone, oggi del gruppo Misto, parleranno di «Se solo mi ascoltaste. La voce dei minori all'interno dei tribunali», il presidente uscente della Regione offrirà uno spritz ai suoi sostenitori. Una bella pensata, evitare ogni confronto quando ormai si avvicina il processo sui presunti affidi illeciti nella Val d'Enza. «Bonaccini poteva partecipare, non avevamo nulla in contrario. Siamo apolitici», commenta l'organizzatore dell'incontro, Marco Vigliotti, leader di Voce bikers, associazione che ha preso a cuore la vicenda dei bimbi e delle famiglie vittime di «Angeli e demoni».
Motociclisti di ogni parte di Italia sensibili ai temi sociali. Lo scorso agosto organizzarono la prima protesta contro lo scandalo Bibbiano, in sella alle loro due ruote. Due mesi dopo, a ottobre, altra azione coordinata «per tenere alta l'attenzione sul tema bambini, che non si toccano. Avevamo invitato esponenti del Pd, nessuno ci ha risposto». Pensavano di muoversi nuovamente solo ad aprile di quest'anno, stavano organizzando un grande raduno di biker da tutta Italia «ma l'affermazione delle sardine, che ritengono “assurdo" continuare a parlare di Bibbiano", ci ha fatto cambiare idea. Dovevamo mobilitarci subito. Come abbiamo scritto a fine novembre sui social: poco importa se il messaggio delle sardine vuole contrastare una campagna elettorale, hanno migliaia di argomenti da poter mettere sul tavolo di cui discutere, i bambini però vanno lasciati in pace, vanno difesi e tutelati, tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero ma bisogna azionare il cervello e misurare le parole», si accalora Vigliotti.
Casalgrandese, 42 anni, una piccola impresa nel settore edile, seguito da centinaia di biker e sui social da circa 200.000 persone, ha messo in piedi l'appuntamento di sabato 18 gennaio per parlare di affidi e per lanciare la provocatoria idea di una onlus che «aiuti qualsiasi persona che abbia bisogno di assistenza sociale, a poter contare su pareri di esperti che diano i consigli giusti. Ci sto lavorando da mesi, con riscontri di professionisti, genitori, addetti ai lavori da ogni parte d'Italia». Del progetto, di cui si parlerà sabato a Casalgrande, non vuole anticipare di più. È felice che Matteo Salvini abbia dato subito la sua disponibilità.
Durante l'incontro di sabato verrà affrontato anche il tema dei regali di Natale 2018 mai consegnati ai bimbi dati in affido. «Giocattoli, libri, lettere che i legittimi genitori avevano pensato e scritto per i loro piccoli, ancora accatastati negli uffici degli assistenti sociali di Bibbiano», spiega il leader di Voce bikers. «Il sindaco di Cavriago, Francesca Bedogni, con delega ai servizi sociali dell'Unione Val d'Enza, ci ha risposto che “sono stati sequestrati" a gennaio 2019 “e pertanto non sono nella disponibilità". Vogliamo chiarezza, perché quello era solo un verbale di sequestro da parte dei carabinieri, nessun magistrato lo ha poi convalidato per quel che ci risulta. Abbiamo un avvocato che ci segue, non siamo degli sprovveduti».
Le indagini sul «sistema Bibbiano» hanno rivelato come l'accordo tra gli operatori sociali fosse proprio quello di non consegnare regali né lettere, lasciando i poveri bambini non solo lontani dalle famiglie ma nella tremenda convinzione che a mamma e papà di loro non importasse più niente. «Sabato prossimo, prima dell'incontro con Salvini, saremo davanti al Comune di Cavriago, tutti in moto, per chiedere che quei doni vengano finalmente consegnati a distanza di più di un anno. L'incontro è sempre aperto a Bonaccini, molti genitori apprezzerebbero. Perché questo scandalo vergognoso non è solo “un piccolo raffreddore"».
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Riduci
Nell'inchiesta di «Angeli e demoni» i dettagli sulla vita della piccola Katia con le donne a cui era stata affidata: «Mi disgustano le loro effusioni in casa, mi sento a disagio».Recidere alla radice contatti e rapporti sentimentali. E creare sempre nuove strutture d'accoglienza, accrescendo il business. Un obiettivo da raggiungere facendo confessare abusi inesistenti.Il leghista sabato a Casalgrande a un convegno organizzato da un'associazione di biker, che protestano anche per la mancata consegna dei regali di Natale ai bimbi «rubati». Poco distante, il candidato dem offre l'aperitivo.Lo speciale contiene tre articoli «Sono triste quando mi sono svegliata durante il sonno e la mamma non c'era». Quando la piccola Katia scriveva queste parole su un bigliettino pensava ai suoi genitori naturali. Il papà e la mamma da cui gli assistenti sociali di Bibbiano avevano voluto allontanarla, sostenendo che la maltrattassero. Di più: gli stessi assistenti sociali ripetevano che la bambina con il padre e la madre non voleva più avere nulla a che fare, anzi ne era spaventata. E intanto la piccina annotava: «Sono triste di non essere a casa con i miei». La storia di Katia, purtroppo, è piuttosto nota. Si tratta della minorenne che fu affidata a due donne, Daniela Bedogni e Fadia Bassmaji, unite civilmente nel giugno 2018. Le «due mamme» (che peraltro percepivano un contributo economico maggiore rispetto ad altri affidatari) avrebbero dovuto prendersi cura della piccina e invece, a quanto risulta dalle carte dell'inchiesta «Angeli e demoni», la vessavano e maltrattavano. Tanto che il gip reggiano Luca Ramponi, mesi fa, ha disposto che la bimba fosse tolta alle due donne e ha vietato ogni forma di contatto. Katia è stata affidata alla coppia lesbica grazie a una delle protagoniste principali dell'inchiesta, ovvero l'indagata Federica Anghinolfi, dirigente del Servizio di assistenza sociale dell'Unione Comuni Val d'Enza. Costei era anche una fervente attivista Lgbt, e condivideva la lotta arcobaleno con una delle due affidatarie, Fadia Bassmaji. Le due non avevano in comune soltanto la militanza ideologica. Nelle carte dell'inchiesta si legge che Fadia e Federica «risultavano avere avuto in passato tra loro una relazione sentimentale». I nomi di Anghinolfi, Bassmaji e Bedogni compaiono ripetutamente nelle 71 pagine che compongono l'avviso di chiusura delle indagini della Procura di Reggio Emilia su «Angeli e demoni». Scorrendo le carte, emergono nuovi e disturbanti particolari riguardanti Katia e le sue «due mamme» affidatarie. Tanto per cominciare, le tre donne hanno omesso di riferire al perito del tribunale reggiano «del pregresso e intenso rapporto di amicizia sussistente tra la Bassmaji e la Anghinolfi». Così come hanno evitato di riferire «il loro convincimento di protrarre l'affido della minore fino al compimento della maggiore età». In sostanza, hanno tenuto nascosta le relazione fra l'assistente sociale e una delle affidatarie, e avevano in mente di trasformare l'affidamento di Katia in una sorta di adozione arcobaleno. Ma questo è niente. Il peggio arriva quando si scopre come le due affidatarie trattavano la piccola. Secondo il pm reggiano Valentina Salvi, Bassmaji e Bedogni «insistevano con la minore ribadendo quanto da lei subito presso la famiglia di origine; colpevolizzavano la bambina, talvolta anche attraverso urla feroci e parolacce». Dicevano a Katia che avrebbe dovuto «svuotare la cantina dei ricordi», cioè confessare gli abusi subiti dai genitori naturali (in realtà mai avvenuti). E poiché lei non collaborava la attaccavano. La Bedogni arrivò a cacciarla fuori dall'auto in una giornata di pioggia, tra insulti e urla («Non ti voglio più!»). Ancora: le «due mamme» la facevano anche sentire in colpa, le ripetevano che, rifiutandosi di parlare, infliggeva loro «sofferenze». Non è finita. Bassmaji e Bedogni, scrive il pm, «denigravano sistematicamente le figure genitoriali di Katia; incutevano alla bambina la paura e il timore di casuali possibilità di incontro con i genitori, ordinandole di nascondersi all'interno dell'auto e di non frequentare determinati luoghi per evitare di essere vista dai genitori; le facevano compilare un apposito diario contenente le sue emozioni in cui loro stesse formulavano domande suggestive e denigratorie rispetto ai genitori». Insomma, facevano di tutto affinché la piccina temesse o addirittura odiasse papà e mamma. In verità, i genitori cercavano di farsi vivi. Volevano vedere Katia, le mandavano messaggi vocali e scrivevano su Whatsapp. Ma tutte queste comunicazioni venivano tenute nascoste alla piccola. «Ciao bimba mia, il papà non riesce ad avere risposte per portarti a mangiare il sushi fuori, spero che tu stia bene, ti voglio bene», scrive il papà a Katia su Whatsapp. E mentre lui inviava questo messaggio strappacuore, gli assistenti sociali commentavano nella loro chat privata: «Bene, questo messaggio non lo diremo alla bambina». Sfogliando le carte si capisce che Katia non era spaventata dalla sua famiglia: piuttosto aveva paura delle affidatarie, che insistevano ad attribuirle comportamenti «sessualizzati», sostenendo che fossero frutto di passate molestie. Gli investigatori hanno trovato un disegno in cui Katia «raffigurava le affidatarie mano per la mano con un fumetto contenente la seguente frase: “Vai via Katia perché se ci sei tu non possiamo fare l'amore"». In un altro disegno Katia raffigura Bassmaji e Bedogni «intente a sposarsi e la bambina raffigurata in un escremento con la seguente didascalia: “Mi sono sentita lontana e distante come una cacchetta"». In un'altra occasione Katia scrive: «Mi ha disgustata vedere la Dani che ha leccato il collo della Fadia che le ha morso l'orecchio sessualmente». E ancora: «Ieri mi ha dato fastidio quando la Fadia mi ha dato la buonanotte nuda». Katia, inoltre, ha raccontato di aver fatto vari sogni «aventi a oggetto spettacoli teatrali pornografici con “peni finti" messi in scena dalle affidatarie». Le due donne, ovviamente, hanno omesso di raccontare che la bambina temeva di «subire violenze» da loro e sognava «catastrofi e scenari simili» in cui comparivano anche le «due mamme». Ecco come viveva Katia nella splendida utopia arcobaleno che avevano costruito per lei. 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La seconda puntata delle accuse sui presunti allontanamenti illeciti dei dieci bambini di Bibbiano è, se possibile, anche peggiore di quella emersa alla fine di giugno, quando il giudice per le indagini preliminari, Luca Ramponi, aveva ordinato gli arresti domiciliari per alcuni dei 27 indagati. Nell'avviso di conclusione delle indagini, depositato martedì dal pubblico ministero di Reggio Emilia, Valentina Salvi, si leggono ora anche nuove condotte che la Procura ritiene penalmente rilevanti e che concorrono a creare un quadro - se possibile - più fosco. Del resto, negli ultimi sei mesi d'indagine anche i capi d'accusa sono aumentati, da 102 a 108. Sarebbero emersi particolari ancora più pesanti soprattutto su Federica Anghinolfi e Francesco Monopoli, rispettivamente dirigente e operatore dei servizi sociali di Bibbiano. Secondo l'accusa, i due facevano in modo che emergessero soltanto elementi utili per l'allontanamento dei minori. È paradigmatico il caso della sfortunata adolescente affidata alla coppia omosessuale Daniela Bedogni e Fadia Bassmaji, a loro volta finite nell'inchiesta e indagate per maltrattamenti. Nelle nuove carte della pm Salvi ora compaiono anche i cinici dialoghi di una chat telefonica, dove le assistenti sociali di Bibbiano s'impegnano a evitare che quella stessa bambina sappia che il padre naturale continua disperatamente a cercarla e a volerle bene. La diga è sistematica. Nei dialoghi intercettati si coglie che le operatrici vogliono evitare anche i residui contatti fisici della ragazzina con la sua famiglia: «Come giustifichiamo la sospensione degli incontri protetti?» chiede per esempio un'assistente sociale. Un'altra le risponde: «Relax della minore… vacanza…». Nella chat di altre colleghe gli insulti per un padre di colore: «Oh, comunque noi parliamo anche il ghanese, come si dice “vaff" in ghanese? Muoio dal ridere». Nelle carte sembrano confermati anche i peggiori sospetti sugli psicoterapeuti del Centro Hansel e Gretel di Moncalieri, attivo a Bibbiano. Si legge che, negli incontri con i bambini allontanati da casa, «denigrano sistematicamente le figure genitoriali»; li spaventano descrivendo i danni che subirebbero «negli incontri con i familiari»; dicono ai piccoli pazienti che loro posto «si fingerebbero morti piuttosto che rivederli». La pm Salvi continua ad accusare gli psicologi di avere indotto nei piccoli pazienti la confessione di abusi inesistenti. Nadia Bolognini, che nell'inchiesta è tra i principali indagati con il marito Claudio Foti, a sua volta psicologo e fondatore di Hansel e Gretel, avrebbe suggerito a una dei suoi piccoli pazienti «con sistematicità e convinzione» che il padre «le pizzicava la patatina»: e questo soltanto per superare le «incongruenze nei parziali dichiarati, indotti nella bimba». Altrove, si legge che la psicologa si sarebbe «nascosta sotto a un lenzuolo per suggerire all'orecchio di un bambino le risposte sugli abusi subiti», da fornire alle domande che lei stessa formulava, e alle quali (con tutta evidenza) «il bambino non rispondeva spontaneamente». In un altro caso, la Bolognini avrebbe indotto una ragazzina a convincersi «che i tagli che s'infliggeva derivavano dai rapporti sessuali» subiti in famiglia. Sulla psicoterapeuta grava anche l'accusa di aver lavorato meno di quanto avrebbe dovuto: il Comune di Bibbiano e Hansel e Gretel avevano concordato un compenso orario di 135 euro (che pure il giudice Ramponi sostiene essere doppio rispetto ai valori di mercato), che sarebbe rimasto invariato anche se la durata dei colloqui con i bambini scendeva a 55, a 50 e perfino a 45 minuti. Ma ora emerge che generoso forfait aveva ceduto il passo a un'allegra danza delle ore. Su 115 sedute monitorate, la cui durata avrebbe dovuto essere almeno di 45 minuti, la Bolognini avrebbe «concluso anticipatamente la prestazione in 61 incontri», quindi in oltre il 53% del totale. Malgrado l'autoriduzione, la professionista ha però sempre fatturato una parcella intera: 135 euro. Resta infine il capitolo relativo a Foti, lo psicologo fondatore di Hansel e Gretel. Nelle carte depositate due giorni fa dalla pm Salvi si legge che il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, insieme ai responsabili dei servizi sociali comunali, stava per varare il progetto di «una comunità per 18 minori in affido, vittime di maltrattamenti e/o abusi sessuali». Carletti intendeva creare una struttura, chiamata Utopia: ne era stata disegnata la planimetria ed era già stata addirittura concordata con Foti «una retta giornaliera da 250 euro a minore». La cifra «incorporava il servizio di psicoterapia», ovviamente affidato senza gara al Centro Hansel e Gretel. A Foti il sindaco aveva concesso anche di realizzare un «centro studi adiacente» alla comunità Utopia, dove ne «avrebbe formato gli operatori», sempre a pagamento. La comunità sarebbe stata gestita dall'associazione Rompere il silenzio, del cui direttivo fanno parte non soltanto quattro degli indagati, e cioè Foti, sua moglie Bolognini, Monopoli e l'Anghinolfi «quale associata occulta», ma anche l'avvocato di Foti, Andrea Coffari. 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Sabato prossimo, alla conferenza sul tema affidi prevista alle 18 a Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, è però atteso Matteo Salvini e il candidato del centrosinistra deve aver pensato che non era il caso di perdersi un po' di flash di fotografi. A poche centinaia di metri, nella frazione di Salvaterra, Bonaccini ha perciò organizzato alla stessa ora un aperitivo in piazza, i volantini circolano già da giorni. Mentre il leader leghista e la deputata ex 5 stelle, Veronica Giannone, oggi del gruppo Misto, parleranno di «Se solo mi ascoltaste. La voce dei minori all'interno dei tribunali», il presidente uscente della Regione offrirà uno spritz ai suoi sostenitori. Una bella pensata, evitare ogni confronto quando ormai si avvicina il processo sui presunti affidi illeciti nella Val d'Enza. «Bonaccini poteva partecipare, non avevamo nulla in contrario. Siamo apolitici», commenta l'organizzatore dell'incontro, Marco Vigliotti, leader di Voce bikers, associazione che ha preso a cuore la vicenda dei bimbi e delle famiglie vittime di «Angeli e demoni». Motociclisti di ogni parte di Italia sensibili ai temi sociali. Lo scorso agosto organizzarono la prima protesta contro lo scandalo Bibbiano, in sella alle loro due ruote. Due mesi dopo, a ottobre, altra azione coordinata «per tenere alta l'attenzione sul tema bambini, che non si toccano. Avevamo invitato esponenti del Pd, nessuno ci ha risposto». Pensavano di muoversi nuovamente solo ad aprile di quest'anno, stavano organizzando un grande raduno di biker da tutta Italia «ma l'affermazione delle sardine, che ritengono “assurdo" continuare a parlare di Bibbiano", ci ha fatto cambiare idea. Dovevamo mobilitarci subito. Come abbiamo scritto a fine novembre sui social: poco importa se il messaggio delle sardine vuole contrastare una campagna elettorale, hanno migliaia di argomenti da poter mettere sul tavolo di cui discutere, i bambini però vanno lasciati in pace, vanno difesi e tutelati, tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero ma bisogna azionare il cervello e misurare le parole», si accalora Vigliotti. Casalgrandese, 42 anni, una piccola impresa nel settore edile, seguito da centinaia di biker e sui social da circa 200.000 persone, ha messo in piedi l'appuntamento di sabato 18 gennaio per parlare di affidi e per lanciare la provocatoria idea di una onlus che «aiuti qualsiasi persona che abbia bisogno di assistenza sociale, a poter contare su pareri di esperti che diano i consigli giusti. Ci sto lavorando da mesi, con riscontri di professionisti, genitori, addetti ai lavori da ogni parte d'Italia». Del progetto, di cui si parlerà sabato a Casalgrande, non vuole anticipare di più. È felice che Matteo Salvini abbia dato subito la sua disponibilità. Durante l'incontro di sabato verrà affrontato anche il tema dei regali di Natale 2018 mai consegnati ai bimbi dati in affido. «Giocattoli, libri, lettere che i legittimi genitori avevano pensato e scritto per i loro piccoli, ancora accatastati negli uffici degli assistenti sociali di Bibbiano», spiega il leader di Voce bikers. «Il sindaco di Cavriago, Francesca Bedogni, con delega ai servizi sociali dell'Unione Val d'Enza, ci ha risposto che “sono stati sequestrati" a gennaio 2019 “e pertanto non sono nella disponibilità". Vogliamo chiarezza, perché quello era solo un verbale di sequestro da parte dei carabinieri, nessun magistrato lo ha poi convalidato per quel che ci risulta. Abbiamo un avvocato che ci segue, non siamo degli sprovveduti». Le indagini sul «sistema Bibbiano» hanno rivelato come l'accordo tra gli operatori sociali fosse proprio quello di non consegnare regali né lettere, lasciando i poveri bambini non solo lontani dalle famiglie ma nella tremenda convinzione che a mamma e papà di loro non importasse più niente. «Sabato prossimo, prima dell'incontro con Salvini, saremo davanti al Comune di Cavriago, tutti in moto, per chiedere che quei doni vengano finalmente consegnati a distanza di più di un anno. L'incontro è sempre aperto a Bonaccini, molti genitori apprezzerebbero. Perché questo scandalo vergognoso non è solo “un piccolo raffreddore"».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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