2023-06-18
Problema green: le miniere non rendono più
Prima si estrae il minerale abbondante e ricco, poi quello con grado basso e scadente che richiede maggiore energia per essere lavorato e comporta eccessivo impatto ambientale e costi più alti. Da qui al 2050 serviranno materiali la cui disponibilità è dubbia.La compagnia mineraria svedese Boliden ha annunciato in questi giorni di aver sospeso le attività nella più grande miniera di zinco d’Europa (Tara, in Irlanda) e di voler licenziare i 650 lavoratori entro il prossimo mese, a causa di «perdite finanziarie insostenibili». La miniera di Tara, da cui si estraggono 2 milioni di tonnellate di minerale all’anno contenenti zinco, piombo e argento, è stata afflitta da problemi operativi e aumento dei costi energetici ma soprattutto dal grado del minerale estratto, più basso del previsto. I costi operativi della miniera, quindi, la rendono economicamente insostenibile. Questo almeno fino a che non si alzeranno i prezzi dello zinco. In effetti, in un perverso gioco circolare, alla notizia della chiusura della miniera, il prezzo di riferimento dello zinco è salito del 3% a 2.452 dollari per tonnellata sul London metal exchange (Lme).La transizione verso un mondo a zero emissioni comincia a mostrare evidenti limiti nel segmento upstream, cioè l’estrazione di metalli dalla terra. Il settore minerario è infatti quello che più di altri sarà sotto pressione nei prossimi decenni, poiché per rendere le attività umane neutrali dal punto di vista delle emissioni saranno necessarie inusitate quantità di metalli.Il tema dell’intensità minerale della transizione imposta dal green deal è dunque cruciale. Parlando di generazione elettrica, per avere un megawatt (Mw) di potenza elettrica da fonte rinnovabile servono circa dieci volte più metalli critici di quanti ne servano per avere un megawatt di potenza convenzionale. Per la precisione, 1 Mw di potenza elettrica convenzionale, alimentata a gas naturale, richiede circa una tonnellata di metalli critici (in gran parte rame). Per 1 Mw di potenza eolica su terra invece servono circa 10 tonnellate di metalli critici, tra rame, manganese e zinco. Se l’eolico è offshore, cioè in mare, per un singolo megawatt di potenza servono addirittura 15 tonnellate di metalli critici, di cui 8 tonnellate di rame (fonte Iea). L’aumento della domanda di metalli non riguarderà solo la produzione di energia elettrica. Gli sviluppi necessari delle reti elettriche di trasporto e distribuzione, le auto elettriche a batteria, la produzione di idrogeno per l’industria pesante e gli usi civili come il riscaldamento elettrico delle abitazioni aggiungeranno ulteriore pressione alla domanda. Stando allo scenario Nze (Net zero emission della Iea), che riguarda l’intero pianeta, da qui al 2050 sarà necessario estrarre dalla Terra quantità di materiali la cui effettiva disponibilità è persino dubbia. Si tratta soprattutto di rame, alluminio, nichel, cobalto, litio, grafite, vanadio, nonché delle ben note terre rare (Rare earth elements, Ree) come germanio, disprosio, indio. L’elettrificazione dei consumi energetici implica un aumento della dipendenza dal neodimio, il miglior materiale conosciuto per produrre magneti, indispensabili all’elettrificazione.Un’automobile elettrica necessita di più di 250 kg di metalli critici, otto volte più di una automobile convenzionale. Di questi 250 Kg, circa 70 sono di rame. Secondo Iea, la domanda annuale di metalli crescerà in media di 4 volte da qui al 2040, ma sembra una stima approssimata per difetto. Al 2040 la domanda di litio sarà cresciuta di 42 volte rispetto ai volumi del 2020, quella di grafite di 25 volte, cobalto 21 volte, nichel 19 volte, manganese 8 volte, terre rare 7 volte (fonte Iea). Altre stime vedono un aumento molto più marcato della domanda di metalli, sino a far dubitare che le riserve disponibili siano sufficienti (ad esempio Gtk, il Servizio geologico finlandese).La domanda di rame dovrebbe quasi triplicare, passando da 22 a 60 milioni di tonnellate all’anno. Considerato che le riserve certe ad oggi sono di 890 milioni di tonnellate (secondo lo US Geological Survey, gennaio 2023) ipotizzando di riuscire ad aumentare l’estrazione attuale del 100% entro il 2030 (da circa 20 a circa 40 milioni di tonnellate all’anno in media, ipotesi comunque poco realistica) sarebbero soddisfatti solo i due terzi della domanda e in poco più di vent’anni avremmo esaurito le riserve. Almeno quelle sfruttabili alle condizioni attuali.Il rendimento delle miniere nel tempo tende a calare: prima si estrae il minerale più abbondante e ricco, poi con il tempo è necessario estrarre materiale con grado più basso, più scadente, che richiede più energia per essere lavorato e dunque comporta maggior impatto ambientale e maggiori costi. Il costo, dunque, aumenta man mano che il minerale estratto è di più scarsa qualità, cioè a minore concentrazione di metallo. Restando al rame, considerando anche queste quantità, si arriverebbe a 2,1 miliardi di tonnellate di risorse (US Geological Survey, gennaio 2023). Normalmente, se il prezzo di mercato non è sufficientemente alto da consentire un adeguato ritorno economico dallo sfruttamento di una miniera, quella viene chiusa, proprio come accade in questi giorni con la miniera di Tara. Ma se la domanda è in qualche modo drogata da una urgenza che non si cura del prezzo, le miniere restano aperte e i prezzi salgono. La miniera irlandese di zinco un giorno riaprirà, probabilmente, quando i prezzi dello zinco saliranno tanto da renderne di nuovo redditizio lo sfruttamento.In conclusione, rispetto alla domanda normale di questi metalli, il Green Deal europeo introduce una gigantesca turbativa. Una robusta impennata dei prezzi sarà l’inevitabile effetto collaterale di una tale spinta alla domanda, in un settore in cui la norma è rappresentata da riserve certe, tempi lunghi e rendimenti decrescenti. Il fatto che il green deal imponga certi obiettivi «per legge» ed entro «tempi stretti» forza all’utilizzo di certe tecnologie, quelle più conosciute ad oggi, e dunque di certi materiali. Si altera così l’equilibrio fisiologico di mercato tra domanda e offerta, diffondendo anomalie di cui chi impone queste politiche ha ben poca coscienza (o forse è deciso ad ignorare). Una inflazione strutturalmente alta è ciò che sembra prospettarsi, oltre che un effetto di dipendenza da Paesi terzi, in un contesto di economia a bassa crescita se non in recessione.
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