2021-11-26
«Le mie opere sono un simbolo della nostra mortalità». Jeff Koons si racconta in mostra a Firenze
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(photo Ela Bialkowska OKNO studio)
Il suo Rabbit detiene il record – con 91,1 milioni di dollari – per l’asta più cara dell’opera di un artista vivente. E il suo matrimonio con Cicciolina, finito con un divorzio, ha occupato le pagine dei tabloid per anni. Si può amarlo oppure odiarlo, ma non c’è nessuno che non conosca il suo lavoro più celebre, Balloon dog, ovvero un “cane di palloncini” formato gigante. E nessuno che non si sia posto la fatidica domanda: quella di Jeff Koons è davvero arte o una presa in giro? Queste opere, prodotte in serie dai suoi collaboratori nello stile di una bottega rinascimentale, valgono davvero milioni, o è tutta una questione di speculazione finanziaria?Oggi Palazzo Strozzi, a Firenze, gli dedica fino al 30 gennaio la più grande mostra italiana, Shine (catalogo Marsilio editori), curata da Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, e Joachim Pisarro, ex curatore del Moma, che nel primo mese di apertura ha attirato 50.000 visitatori, il 60% dei quali arrivati apposta da altre da città: 33 le opere esposte, fra sculture monumentali e quadri, tutte accomunate dal tema della luccicanza. Le superfici specchiate delle statue riflettono lo spettatore, cambiando quindi in continuazione. D’altra parte, Koons riassume così la sua fonte di ispirazione: «Il lavoro dell’artista consiste in un gesto con l’obiettivo di mostrare alle persone qual è il loro potenziale. Non si tratta di creare un oggetto o un’immagine; tutto avviene nella relazione con lo spettatore. È qui che avviene l’arte». Per Koons l’arte è gioia e divertimento. E il suo scopo è far divertire gli altri tanto quanto si diverte lui. Nelle sale sfilano opere simbolo che replicano oggetti banali e souvenir (un palloncino a forma di coniglietto, un canotto-aragosta, un cuore di cioccolato avvolto nella carta, una statuina a forma di ballerina, il busto del Re Sole o un passerotto) e al contempo li esaltano e li nobilitano: la piccola ballerina di ceramica che nella realtà sarebbe una bomboniera da pochi euro, destinata a essere buttata o nascosta in un cassetto, diventa arte quando viene riprodotta con un materiale costoso, l’acciaio, in dimensioni giganti. Sembra eterea e impalpabile, ma pesa tonnellate. Non solo. Ogni opera, mentre “celebra” il consumismo e gli oggetti quotidiani, rimanda ad altro: il cuore incartato non è solo un cioccolatino, ma anche un ex voto e occhieggia alle Madonne barocche. Il canotto-aragosta omaggia Salvador Dalí (che Koons ebbe l’opportunità di incontrare a New York). La ballerina non può non far tornare alla mente le tele di Edgar Degas. Nell’ultima sala svettano due Veneri ispirate alle statuette preistoriche. Le opere instaurano un continuo dialogo fra alto e basso: il busto del Re Sole riproduce sia una statua di marmo di valore sia un souvenir dozzinale ed è esposto nella stessa stanza con due nani da giardino trasformati in sculture milionarie. Il nostro sguardo e l’uso dello stesso materiale per tutte e tre le opere mettono sullo stesso piano l’arte ufficiale e il simbolo kitsch per eccellenza. I palloncini, poi, non sono mai solo palloncini. «I gonfiabili mi attiravano da sempre perché sono antropomorfi», spiega Koons, che al suo celebre «coniglietto» non ha dato un volto perché assume quello di tutti noi quando lo osserviamo trasformandolo in uno specchio, «Noi siamo macchine che respirano. Inspiriamo. Quando gonfiamo, un soffio d’aria riempie il corpo. Quando espiriamo, il nostro ultimo respiro è un simbolo di morte. Quindi i gonfiabili sono collegati al nostro essere, al nostro precario equilibrio tra conservazione e mortalità».Un’intera sala è dedicata alle Gazing balls, palle lucide in vetro soffiato, color blu, affiancate a riproduzioni di opere classiche: statue romane e quadri di Tintoretto, Tiziano e Rubens. Le Gazing balls, nate a Venezia e molto amate dai pittori del Settecento, sono una sorta di portale che permette a tutti di noi di specchiarci e diventare parte dell’opera, abbandonando il timore reverenziale che circonda i classici. Ogni anno vengono realizzate circa dieci opere appartenenti a questa serie, che sembra quasi il capriccio di un bambino, ma ogni sfera deve essere perfetta: su 350 prodotte, in media solo tre ottengono l’approvazione di Koons.