2021-03-13
Le lezioni «inattuali» di de Maistre: più leggi si scrivono più lo Stato è debole
Joseph De Maistre (Getty Images)
Il grande pensatore reazionario morto 200 anni fa riteneva che le costituzioni fossero il risultato della ragione e dell’esperienzaIn una fase di triste decadenza intellettuale come quella che stiamo attraversando il nome di Joseph de Maistre, morto a Torino duecento anni fa, il 26 febbraio 1821 (era nato nel 1753 a Chambéry, nella Savoia), è noto probabilmente a una minoranza sempre più esigua di persone. Mentre nell’Ottocento il conte savoiardo, il grande critico della Rivoluzione francese, l’autore delle Considerazioni sulla Francia, del Saggio sulle costituzioni politiche, del Papa, delle postume Serate di San Pietroburgo (tutte opere tradotte in italiano), fu oggetto di aspre critiche, di altrettanto robuste apologie, comunque di un’attenzione costante, da Comte a Lamartine, da Baudelaire a Barbey d’Aurevilley, e nel Novecento fu riscoperto persino come precursore del Fascismo (da parte di Isaiah Berlin) o come fine letterato per certi aspetti preveggente (per esempio nel saggio di Emil Cioran sul «pensiero reazionario») o ancora solo come teorico della teocrazia e inventore della «metapolitica» (la «metafisica della politica»), il nuovo secolo pare invece non sapere che farsene di un critico aspro ma acuto della Rivoluzione francese e sismografo sensibile dei movimenti più profondi della modernità.Va anche detto che non mancarono, ancora nell’Ottocento, in Italia o meglio nel Regno di Sardegna, di cui era stato suddito, persino coloro i quali vollero farne o un profeta della «unità d’Italia» o persino un liberale, come fece Albert Blanc, curatore della maistriana Correspondence diplomatique, (1860), che ai testi, scelti piuttosto arbitrariamente, premise una discutibile prefazione che vedeva in de Maistre non più il difensore del trono e dell’altare, ma un progressista. Indubbiamente, l’idea che de Maistre potesse essere un precursore del Risorgimento italiano era falsa, mentre assai meno lo erano altre interpretazioni, che dietro il difensore della infallibilità papale vedevano piuttosto un pagano travestito, come per esempio aveva fatto il Faguet, più capace di cogliere la complessità dottrinale e umana di de Maistre, che in effetti forse non per caso in gioventù aveva fatto parte della massoneria e si era più che incuriosito per l’esoterismo del «filosofo sconosciuto», Louis Claude de Saint-Martin. De Maistre sapeva leggere dentro la storia quel tanto o poco di demonico che muoveva uomini e cose e spesso proprio dal demonico era necessariamente attratto, fosse quello di Socrate o quello di Goethe.In verità, de Maistre è ancora oggi un serbatoio di idee, non sempre coerenti tra loro, ma tutte profonde e intelligenti. Cioran, nei suoi Exercices d’admiration (Oeuvres, Gallimard-Pléiade, 1980), lo mette insieme a San Paolo e a Nietzsche proprio come un «genio della provocazione». Del resto a molti bigotti pareva più un giacobino (nero) che un servitore ossequioso del re, che del resto aveva rappresentato con onore in Russia fino al 1816, pur dimenticato e lasciato praticamente in miseria: intendo quel re di Sardegna, uno di quegli avari Savoia che di aristocratico avevano ben poco, a confronto semmai coi loro sudditi liguri, tutta un’altra razza, come scrisse von Treitschke.Uomo dolce, padre affettuosissimo, conversatore finissimo: virtù contro le quali il solito radicale da salotto ricorderebbe subito l’apologeta del boia come «perno della società» (ma pagine simili a quelle di de Maistre si possono leggere anche in Baudelaire e poi nel Roger Caillois del Collegio di Sociologia) e della «divinità» della guerra. Ma sono proprio le sue contraddizioni che rendono il conte de Maistre attualissimo e lettura d’obbligo per chi non ha arrugginito tutti gli ingranaggi cerebrali e conserva anche un po’ di fegato, necessario per leggere i suoi paradossi, le sue stravaganze: come si fa a scrivere che tutto nella Rivoluzione francese è «miracolosamente cattivo»? Il lettore si eserciti su questa definizione: non finirà mai di pensare, sempre più in profondità. Ma anche, se vuole averne orrore, il suo giudizio sul tribunale spagnolo dell’inquisizione: «Nulla di più calmo, di più circospetto, di più umano per natura».Il suo libro del 1819, Il Papa, un elogio del sovrano di Roma, può essere letto come un’apologia del potere universale della Chiesa cattolica, ma anche, seguendo l’interpretazione di Cioran, come un modo di prendere le distanze dalla statua che lo stesso lodatore erige: «Ogni apologia dovrebbe essere un assassinio per entusiasmo». Del resto, se gli scritti pubblicati sono pieni di paradossi e di provocazioni geniali, le lettere private sono la testimonianza di un uomo di assoluto buon senso, premuroso e prudente. E tuttavia guai a farsene prendere, perché il vero de Maistre, quello che bisognerebbe leggere ancor oggi, sta almeno in due lezioni inattuali (ma ce ne sono altre): la prima, che il male e la malattia non sono l’assenza di bene o l’assenza di salute, una mancanza insomma, bensì proprio un qualcosa che esiste, nelle cose, nel mondo, nell’essere. Chi pensa di poter combattere il male «facendo il buono», come tanti emeriti imbecilli dei nostri giorni, non ha capito nulla di come vanno veramente le cose o finge di non averle capite, perché il male e la malattia, come il dolore, sono inestirpabili dal mondo reale e solo chi li conosce può dominarli (per un po’, mai per sempre, essendo il punto più alto della vita la morte). Per questo la politica è sempre «politica sperimentale», capace di cogliere l’opera della Provvidenza (ma se si vuole dello Spirito di Hegel) negli affari dell’uomo, soggetto di libertà ma sempre legato alla «flessibile catena» della divinità, che sotterraneamente orienta tutte le vicende storiche.«Politica sperimentale», ovvero rifiuto delle costruzioni ideologiche, che vorrebbero assoggettare il mondo a progetti puramente normativi, astratti, nati nella mente di qualcuno ma da imporre poi materialmente a tutti, come, per esempio, i «diritti dell’uomo», che dalla Rivoluzione in francese in poi si moltiplicano senza sosta, accoppiandosi tra loro e producendo all’infinito sempre nuovi, più «moderni« diritti. Certo, c’è dell’assolutismo in de Maistre e tutti gli assolutismi, utopistici o reazionari, alla fine «si assomigliano e si ritrovano», come scrive ancora Cioran. E tuttavia non mancano nemmeno gli accessi di moderazione.Ma un’altra lezione va ricordata, di grande attualità, quella sulle costituzioni delle nazioni, che non possono essere scritte, ma che sono il risultato della ragione e dell’esperienza. De Maistre pone la differenza tra le costituzioni normative scritte e le costituzioni politiche, non necessariamente scritte, le prime progetti che non fanno i conti con quelle che Norberto Bobbio (uno che invitava a leggere i pensatori «reazionari») chiamava le «dure repliche della storia», che smantellano come carte al vento le idee di nuove società prodotte dall’alto semplicemente scrivendo più o meno bene delle norme «costituzionali»; dall’altro le costituzioni che partono dalla storia e dal concreto, prendono atto della machiavelliana «realtà effettuale» e la organizzano senza violentarla, piegandosi con intelligenza alla tradizione di un Paese, che spesso anche nel male mostra sempre molti grani di bene. Non a caso, scrive de Maistre nel Saggio sulle costituzioni, «ogni istituzione falsa scrive molto, perché avverte la sua debolezza e cerca un appoggio».Leggere Joseph de Maistre, se fatto con spirito critico, può servire anche a comprendere il vuoto su cui si reggono le istituzioni oggi in Italia. Un vuoto che difficilmente potrà essere colmato, ma del quale, in attesa di un qualche Napoleone (non a caso da de Maistre sotterraneamente assai ammirato), si potranno almeno capire le cause. La caducità delle sue profezie, l’ortodossia spinta agli estremi ci suscitano passione per le eresie e vocazione allo scetticismo. Anche questa è una delle lezioni di questo «profeta del passato», «morto con l’Europa».